Achille Lauro presenta “Lauro”: Il mio disco è spontaneo, irriverente e tormentato

Achille Lauro pubblica LAURO il sesto album di inediti in uscita oggi per Elektra Records/Warner Music Italy. Questo suo lavoro parla al mondo degli irrisolti, dei fuori rotta, dei falliti e fagocita vite, storie d’amore, riflessioni sul bene, sul male e ciò che sta nel mezzo. Ogni lettera del suo nome identifica un genere musicale mentre i testi danno voce a un vorticoso tormento interiore. L’immaginario estetico dipinge i tratti di una generazione fuori controllo, che non trova risposte nella violenza bensì nel desiderio di voler essere di più, di volersi superare, di raggiungere l’obiettivo velocemente e bene.

Achille Lauro

Achille Lauro

“Lauro”, title track dell’album, ripercorre le fasi della carriera dell’artista, citando alcuni dei momenti topici della sua storia. Specchietto del suo percorso accelerato, la traccia racconta come, nonostante tutti i cambiamenti che la musica ha comportato, Lauro sia rimasto legato alle sue origini e al suo vecchio mondo. “Noi siamo la nuova Generazione X. Non crediamo nella chiesa, nei genitori, nell’arte. Figli dei fiori del male, artisti del niente. Cristo ha smesso di porgerci la guancia. Ma a noi, esattamente come chi era venuto prima, sta bene così”, spiega Lauro nella scheda album, “Generazione X è un pezzo punk, fuori da qualsiasi schema discografico e legge di mercato. Si rifà al mondo degli irrisolti, dei fuori rotta, dei falliti. Siamo noi la nuova religione, la religione dell’irriverenza”.

Intervista:

“Sono una persona che scrive tanto. Quando ho qualcosa da dire, la dico e quando ho qualcosa da dare la do. Mi sono ritrovato con un centinaio di brani scritti scritti in maniera spontanea. Non scrivo solo canzoni, molte frasi le trovate anche nel libro uscito a inizio 2020. Sono riflessioni su di me, ogni sensazione fa parte di un tutto. Guardo al passato con malinconia, guardo al futuro da sognatore, sono spinto a scrivere e a immaginare quello che non c’è. Vi chiedo di avere cura di queste undici facce di me. Non mi interessa che le persone si rispecchino in ciò che scrivo ma voglio che sia preso per quello che è e che se ne abbia rispetto. Mi sono chiesto se il mio personaggio possa sovrastare il mio fare musica ma in quel caso sarei rimasto nella mia comfort zone, non avrei cambiato genere e non avrei sfruttato Sanremo per fare uno show nello show, non avrei pubblicato dischi side. Io porto avanti dei progetti artistici, dovrei quindi fare successo eliminando chi sono? Io sono questo e continuo a fare questo. Le persone che lavorano con me mi danno fiducia, le ho selezionate negli anni in base alla passione mostrata per il proprio lavoro. Non mi piace chiamare arte ciò che facciamo, siamo artigiani e lavoriamo concependo il fallimento come una possibilità. Quelli che hanno criticato le mie performance a Sanremo dicendo che eravamo sul palco a caso dovrebbero trascorrere sette giorni con me e il mio staff per capire quanto lavoro c’è dietro.

Quando scrivo non è mai nulla a caso, è difficile far capire i sottostrati di quello che c’è sotto ma sono felice di sapere che un po’ per volta sto riuscendo a farlo capire a un po’ più di persone. Anche il disco si divide in due macro aree: una parte più introspettiva che descrive le tempeste dentro di noi, e nello specifico la mia, che vivo in uno stato di tormento perenne. Sono figlio di gente onesta, mio padre ha fatto il professore universitario tutta la vita e non c’era appoggio economico. Forse la mia voglia di arrivare viene dal un lato caratteriale tipico di un sognatore punk rock grunge che ha investito in tutto quello che aveva a disposizione.

In “Generazione X” fotografo la mia generazione, non ho fatto un percorso scolastico ordinario. Amo sapere, amo conoscere e mi sono accorto che la mia generazione sia molto simile a quella del ‘60 e dell’80: non si crede nella Chiesa, nel matrimonio, in se stessi. Non sanno chi vorrebbero essere, vivono oggi e basta e non capiscono né chi vogliono essere né lavorarci su. In “Femmina” mi dissocio dal maschio che si nasconde pericolosamente dietro la virilità, che fa finta di niente e che vuole essere uomo ad ogni costo. Nella periferia da dove vengo, le persone non sono istruite al rispetto della figura femminile. Sono allergico a quel mondo lì, ho avuto la fortuna di capire presto chi volessi diventare e chi non volevo essere. Non rinnego nulla di chi sono stato e di dove sono cresciuto. A volte a Roma la gente vive un senso di abbandono, questa città decadente regala tanto e fa sì che tanti artisti riescano a veicolare queste emozioni nei loro brani. Ringrazio la periferia e la mia città, senza non sarei chi sono oggi. Rifarei tutto e non scambierei nulla con nient’altro.

Video: Marilù

Mi sento molto vicino alla difesa dei diritti umani in generale. Se vogliamo immaginare un futuro, è doveroso operare un cambiamento, siamo in un momento di transizione e imprigionare le persone dentro dei recinti, significa privarci della novità, di un futuro nuovo. Se non partiamo dai diritti umani, da dove vogliamo partire? Siamo figli di stereotipi pericolosi, se questi sono i presupposti non abbiamo imparato un bel niente.
Nel mio piccolo, faccio parte di una generazione in continua ricerca. Il tormento interiore si attenua quando finisco una canzone che, l’attimo dopo diventa già vecchia. Questa continua ossessione per quel qualcosa in più permane, vivo cercando di costruire qualcosa di immaginato e in funzione di quello che voglio sia il mio futuro. Di momenti per me ce ne sono pochi, niente nasce dal niente, io sono il frullato di quello che sono stato. Le canzoni mi fanno tornare esattamente al momento in cui sono state scritte, fanno parte di miei momenti molto personali ed è forse per questo che definisco questo come il mio ultimo disco; ho bisogno di vivere. Nonostante io abbia già 30/40 pezzi molto a fuoco, voglio prima vivere e poi ritornare su quello che faccio per dare veramente me stesso”.

Raffaella Sbrescia