Rita Marcotulli: Ne ” I Caraviaggianti” il jazz si addolcisce, si veste di seta, scalda e coinvolge.

E’ la first lady del jazz nostrano, la figlia piena di talento ben curato che siamo fieri di avere e che ci riempie di orgoglio e commozione. E’ un monumento della musica internazionale. Eppure nulla si coniuga meglio con Rita Marcotulli del termine “semplicità”.
Oddio, non lo è la sua musica, “semplice”, come ci dimostra l’ambizioso progetto ispirato alle opere di Caravaggio che ha presentato il 20 novembre all’ Auditorium Ennio Morricone di Roma, al cospetto di una platea numerosa ed attenta, e che prende appunto il nome di “ I Caraviaggianti”: un nome dalla sonorità itinerante, come itineranti sono i musicanti. Ma la parola musicante, spesso impropriamente accostata ad un’accezione riduttiva, contiene anche in sé l’essenza dell’aspetto squisitamente figurativo della musica e di chi la esegue. E così, se il Beato Angelico ha i suoi angeli, Caravaggio vanta un ensemble musicale di livello elevatissimo: oltre alla madre del progetto, Mieko Miyazaky (koto e voce), Israel Varela (batteria e voce), Tore Brunborg al sax, Michel Benita al contrabbasso, Marco Decimo al violoncello e l’impareggiabile Michele Rabbia alle percussioni. E, a incorniciare il tutto, la voce di Stefano Benni che con parole sospese tra la narrazione e la poesia, racconta di luci ed ombre, di amori e odi, di turbamenti onirici e contenuti deliri: pennellate verbali che accarezzano le immagini e le note di questo straordinario concerto.
Più che un concerto, una vera e propria esperienza, che nulla deroga alla semplificazione o alla superficialità, e nonostante ciò risulta accessibilissima e coinvolgente.

ph Roberta Gioberti

ph Roberta Gioberti

Le immagini si intrecciano con le note, si scompongono e si ricompongono, prendono vita, ci parlano ben oltre la già più che esaustiva comunicativa del genio che ha rivoluzionato il mondo della pittura e non solo.
Un’esperienza multisensoriale, quindi, che fonde musica, arte e parole, per condurci in un’immersione totale attraverso le note del pianoforte, intrecciate con sonorità jazz, classiche e contemporanee, senza soluzione di continuità: fatto che porta alla nascita di un linguaggio unico, qualcosa che appartiene a Rita e solo a Rita.
Caravaggio è sempre stato considerato il pittore delle tenebre, per quella sua capacità di gestire in maniera così suggestiva il chiaroscuro, e per la peculiarità della sua biografia così avvolta nel torbido, così vicina a quel substrato umano che spesso viene calpestato perché invisibile. Ebbe il coraggio di entrarci dentro al lato oscuro delle persone, di abbracciare la genuina espressione popolana, più che popolare e di vestirla di bellezza, incanto, purezza e dignità. Caravaggio non mise il colore sulla luce, ma al contrario, tirò fuori la luce dalle tenebre tanto in senso pittorico quanto umano, e con la luce il colore, e l’intensità dei sentimenti.
Lo scambio di sguardi tra la Zingara e il bel Giovine de “La buona Ventura”, diventa così intenso e espressivo, mentre corrono vellutate le note del Sax di Brunborg, da farci dimenticare che in realtà si tratta di un sotterfugio: sembra quasi amore, e poi alla fine l’amore, spesso, è un sotterfugio.
Medusa è la rabbia, ma anche tanta umanità per quella figura femminile violata, che ha pagato per tutti lo scotto dell’affronto.
E ancora il fiotto di sangue che sgorga dalla gola di Oloferne nel momento in cui una sdegnata Giuditta affonda la lama, momento reso quasi catartico dall’incessante susseguirsi di note sincopate, e per finire un ritorno all’armonia e all’equilibrio nel rendere omaggio al celebre Canestro, con sottolineature musicali distese e descrittive. Sono solo alcuni dei tratti salienti di un progetto che convince e vince.

Attraverso le note, Rita Marcotulli dipinge con i suoni le atmosfere cariche di contrasto e di emozione delle opere del grande maestro del baroccco.
Ogni brano è un omaggio a un quadro, una luce che illumina un dettaglio, un’ombra che cela un mistero. La musica diventa così un’estensione della pittura, un’interpretazione sonora che ci permette di penetrare più a fondo nell’anima delle opere.

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Ora, sappiamo tutti come il jazz possa essere ostico a volte anche al pubblico più raffinato. Lo sa anche Rita Marcotulli, come ha sottolineato durante il bel concerto che ha tenuto questa estate nel Palazzo dei Priori di Perugia, nell’ambito della rassegna di Umbria Jazz, a cui abbiamo avuto il privilegio di assistere.
Ma l’incanto di questa Donna straripante di talento consiste proprio in questo. Con la sua semplicità, con la capacità che ha non solo di articolare pentagrammi perfetti e suggestivi, ma di farli arrivare sotto forma di musica ed energia al pubblico, quel jazz si addolcisce, si veste di seta, scalda e coinvolge.
E il pubblico, il suo pubblico, la ama proprio per questo.
Grazie Rita.

Roberta Gioberti

Tim Summer Hits 2024: le dichiarazioni della conferenza stampa. Una Roma di cuore e generosa si prepara a un’estate ricca di eventi e di musica.

E’ stato illustrato questa mattina nella Sala del Consiglio Comunale in Campidoglio il Tim Summer Hits 2024, presenti i due conduttori, l’oramai veterana Andrea Delogu e un Carlo Conti che ha appena avuto conferma dell’incarico per i prossimi due anni della conduzione del Festival di Sanremo, in sostituzione di Amadeus.
L’edizione di quest’anno si terrà esclusivamente a Roma, in Piazza del Popolo, dove saranno realizzate da martedì 11 a venerdì 14 giugno le quattro puntate che saranno poi trasmesse da Rai 1, traslocando così in prima rete.
Si tratta di un evento totalmente gratuito, che vedrà la partecipazione di oltre 70 artisti del mondo della musica pop; da Antonello Venditti a Tommaso Paradiso, a Piero Pelù, Fedez, Achille Lauro, Elodie, Loredana Berté, i Pooh. Ce ne sarà per tutti i gusti e tutte le età.
Alla presenza di un compiaciuto Roberto Gualtieri che ben sappiamo quanto apprezzi la musica, ascoltarla e praticarla e dell’assessore capitolino al Turismo e ai Grandi eventi Alessandro Onorato che hanno fatto gli onori di casa, hanno partecipato il direttore Intrattenimento Prime Time Marcello Ciannamea e la direttrice di Rai Radio 2, Simona Sala, Ferdinando Salzano, fondatore di Friends & Partners, e Gian Paolo Tagliavia AD di Rai Pubblicità e Sandra Aitala, responsabile Brand Strategy, Media e Commercial Communication.

Tim Summer Hits 2024 - conferenza stampa Ph Roberta Gioberti

Tim Summer Hits 2024 – conferenza stampa Ph Roberta Gioberti

Un evento importante per Roma, dice Gualtieri, e soprattutto un evento gratuito, per dare la possibilità anche a chi abbia disponibilità limitate di prendere parte alla grande kermesse musicale che, come ogni anno, coinvolgerà la Capitale in decine di eventi e che, in qualche maniera, partiranno proprio da qui. La maggioranza degli artisti che si esibiranno sul palco del Tim Summer Hits 24, infatti, sarà anche protagonista con concerti individuali della stagione musicale estiva capitolina, che presenta oramai da anni un’offerta varia e di assoluta qualità, com’è giusto che una Capitale faccia.
Di sicuro gli spazi per fare musica a Roma non mancano, ma ha un valore abbastanza simbolico, per il Sindaco Roberto Gualtieri che la manifestazione si tenga proprio in Piazza del Popolo, perché sia proprio il popolo a riappropriarsi della musica. E, va detto, d’iniziative gratuite o quasi, e di assoluta qualità quest’anno a Roma se ne terranno parecchie. Una bella notizia che sicuramente rallegra gli animi in tempi in cui si è fatto più difficile sostenere i costi degli svaghi, visto il vertiginoso aumento del costo della vita in generale.
Una Roma di cuore, generosa, così come ci piace che sia.
Concetto ripreso e ribadito dall’assessore Onorato, che così commenta l’introduzione del Sindaco: “Siamo la capitale dei concerti live a pagamento ma non tutti possono permettersi un biglietto per il Circo Massimo, le Terme di Caracalla o lo Stadio Olimpico. Questo non vuol dire che gli eventi non devono essere pagati, ma bisogna garantire a tutti la possibilità di poter ascoltare gli artisti che riempiranno quei luoghi e Tim Summer Hits riesce a dare questa possibilità”. E annuncia il progetto dei fuochi d’artificio senza rumore e quello degli spettacoli sulle nove piattaforme galleggianti lungo il Tevere, da Ponte Regina Margherita a Ponte Sant’Angelo. Un’estate romana che cerca di recuperare i gloriosi fasti dei tempi di Nicolini e rendersi il più possibile fruibile alla collettività.

Tim Summer Hits 2024 - conferenza stampa Ph Roberta Gioberti

Tim Summer Hits 2024 – conferenza stampa Ph Roberta Gioberti

La parola passa poi ai due conduttori: la dolce e graziosa Andrea Delogu, entusiasta della visibilità e dell’accoglienza che la Capitale ha riservato all’evento, evento che ha già condotto nelle precedenti edizioni, si dice contentissima di questa oramai collaudata partnership, e scherza con Carlo Conti che non manca a sua volta di sottolineare come sia stato grazie alla Fiorentina che ha passato i quarti di finale la sera in cui gli è stata prospettata la conduzione dell’evento, che ha accettato, sull’onda di un entusiasmo che però, a giudicare dall’atteggiamento scherzoso e rilassato con cui ha affrontato le domande un poco insidiose dei giornalisti riguardo Sanremo, non ci sembra essere scemato, anzi.
I due hanno già avuto modo di collaborare: fu, infatti, proprio Carlo Conti a inserire la Delogu nella commissione per la scelta delle nuove proposte di Sanremo, alla sua prima conduzione, proprio per la capacità di cogliere in qualche maniera il talento degli artisti e coniugarlo alle esigenze del pubblico più giovane.
Se ne discute di musica, dell’orientamento dell’orecchio musicale della nuove generazioni, e proprio in riferimento a questo fatto, tanto Conti quanto la Delogu concordano con l’Assessore Onorato quando afferma che il proporre artisti graditi al pubblico più giovane insieme a quelli che incontrano i gusti di genitori e, qualche volta, nonni, sia di aiuto tanto agli uni quanto agli altri per accorciare le distanze e facilitare anche in questo senso la comunicazione. Con il non celato auspicio che sia l’orecchio proprio dei più giovani ad apprezzare quel qualcosa che la musica ha già raccontato, e che oggi è spesso mortificato dalle generazioni più recenti.
Dopo le polemiche sanremesi e non solo, la domanda circa la possibilità per gli artisti, visto anche il delicato momento storico che stiamo attraversando, di fare dichiarazioni o esprimere stati d’animo era prevedibile. Per tutta risposta Conti ha dichiarato che per lui, escluso tutto quello che può rientrare nell’ambito dell’esplicitamente offensivo, non ci saranno problemi.

Tim Summer Hits 2024 - conferenza stampa Ph Roberta Gioberti

Tim Summer Hits 2024 – conferenza stampa Ph Roberta Gioberti

Insomma quattro giornate di musica pop, intense e ricche, cui consigliamo vivamente di non mancare.
Di seguito la scaletta:
Martedì 11 giugno con: Ana Mena, Annalisa, Antonello Venditti, Arisa, Baby K, Dargen D’Amico, Emma, Ermal Meta, Fred De Palma, Gazzelle, Geolier, Gianna Nannini, Jvli, Il Tre, Mahmood, Matteo Paolillo, Olly, Petit, Rhove, Tananai e i The Kolors.
Mercoledì 12 giugno: Alessandra Amoroso, Alfa, Annalisa, Articolo 31, BigMama, Bnkr44, Clara, Coma_Cose, Eiffel 65, Elettra Lamborghini, Fiorella Mannoia, Gaia, Ghali, Icy Subzero, Lda, Loredana Bertè, Mahmood, Massimo Pericolo, Noemi, Pino D’Angió, Raf, Rocco Hunt, Shade, Tananai, Tommaso Paradiso e Tony Effe.

Giovedì 13 giugno: Achille Lauro, Alessandra Amoroso, Angelina Mango, Bigmama, Bresh, Capo Plaza, Corona, Elodie, Emis Killa, Fedez, Francesco Gabbani, Francesco Renga, Gaia, Gigi D’Alessio, Holden, Malika Ayane, Mara Sattei, Nek, Pooh, Rose Villain, Tony effe.
Venerdì 14 giugno: Aiello, Anna, Benji & Fede, Boomdabash, Colapesce Dimartino, Emma, Fabrizio Moro, Irama, Jvli, La Rappresentante di Lista, La Sad, Mr. Rain, Olly, Orietta Berti, Paola & Chiara, Piero Pelù, Ricchi e Poveri, Santi Francesi, Sarah e Umberto Tozzi.

Roberta Gioberti

“Dal Blues al Jazz, con Andamento Lento”: Tullio De Piscopo scuote gli animi di Roma.

Tullio De Piscopo ph Roberta Gioberti

Tullio De Piscopo ph Roberta Gioberti

Ci sono note che ci hanno commossi quando, per la prima volta nella nostra vita, le abbiamo ascoltate. Sono note che hanno segnato la nostra esistenza, i momenti più significativi nel bene e nel male.
Sono le note che il maestro Tullio de Piscopo ha scelto per cominciare il concerto “Dal Blues al Jazz, con Andamento Lento”, che ha fatto tappa all’Auditorium Parco della Musica di Roma il 25 marzo scorso. “Tu dimmi quando”, quando…fraseggi musicali che una volta nella vita si sono avvicinati a ciascuno di noi, fermando quel preciso attimo, che non avrebbe potuto essere meglio commentato.
Che Pino Daniele sarà in qualche maniera coprotagonista della serata, lo si comprende subito, e ci sarebbe da meravigliarsi se così non fosse: Tullio de Piscopo, quasi 60 anni di fantastica carriera musicale, ha scelto di portare sul palco il binomio cui è sicuramente stato più affettivamente legato nella vita, e gliene siamo grati.
E’ tuttavia necessario fare un tuffo nel passato, per capire il senso profondo del panorama musicale partenopeo di quegli anni, e del suo potenziale esplosivo che coinvolse l’intera penisola, e che ebbe sicuramente come fulcro Pino Daniele.

Tullio De Piscopo ph Roberta Gioberti

Tullio De Piscopo ph Roberta Gioberti

Esisteva un sound, un groove che in quei tempi scuoteva gli animi, e partiva proprio da Napoli, città non estranea di certo alla musicalità, ma con un profondo desiderio, un’esigenza di rinnovamento, di raccontare cose nuove in modo nuovo.
Nacque così il Sound Napoletano, partì underground, mischiando funk, reggae, soul, jazz, e addirittura la disco: un’enorme fucina di invenzione e innovazione. Edoardo Bennato cantava di favole e rock, la Nuova Compagnia di Canto Popolare e i Musicanova reinterpretavano la tradizione, i Napoli Centrale sul sax di James Senese portavano il calore del sole nel jazz, Roberto de Simone approfondiva la storia della musica partenopea di spessore, insomma, Napoli fu un vero vulcano (in tutti i sensi), da cui esplosero note intriganti.
Pino Daniele, già membro dei Napoli Centrale, scelse di mettere su un suo gruppo, e affidò la batteria a Tullio de Piscopo, che sapeva fare del percuotere virtuosismo.
Imparammo così a conoscere questo artista incredibile che confeziona fraseggi con le bacchette, quasi fossero magiche, che trasforma il rumore in musica, che sostiene i concerti con un’energia e una mimica rimaste intatte nel corso degli anni: le stesse che abbiamo avuto l’entusiasmo di ritrovare all’Auditorium il 25 marzo. Non invecchia, Tullio de Piscopo, e non invecchiano i suoi brani, la sua energia, la sua capacità di trascinare nell’ascolto, che si tratti di un saltellante funk, o di un impegnato blues.
E’ Toledo, brano musicale contenuto in “Bella ‘mbriana” a dare inizio alle danze, che saranno realmente danze. Danze del pubblico, che non riesce a trattenere l’immenso desiderio di partecipazione, e danze ritmiche sul palco, per una serata di spessore e nello stesso tempo divertente.
E’ un viaggio musicale attraverso le mille esperienze di Tullio de Piscopo questo concerto, un viaggio dove si intrecciano i generi musicali più disparati: jazz, rock, etno, pop, blues e tanto funky. Le sue collaborazioni sono innumerevoli e di prestigio, basti pensare a Quincy Jones, Lucio Dalla, Franco Battiato, Astor Piazzolla. Una scalata che potremmo definire di successo, ma non sarebbe adeguato: una scalata di qualità, in cui le collaborazioni sono state stimolo di crescita e arricchimento.

Tullio De Piscopo ph Roberta Gioberti

Tullio De Piscopo ph Roberta Gioberti

E così, in questo concerto incredibilmente bello, Tullio si racconta e ci racconta, attraverso aneddoti, scherzi, giochi con il pubblico, serrate rollate di tamburi e momenti di grande commozione: il racconto della genesi del Libertango di Astor Piazzolla, e la sua esecuzione in “andamento lento”, e, ultimo regalo, l’incantevole Canto d’Oriente, e il ricordo dell’ultimo incontro con Pino Daniele.
Due ore di energia travolgente, accompagnato da una band di musicisti di talento, a ripercorrere quasi 60 anni di carriera, farciti di racconti divertenti, aneddoti, storie emozionanti, creando un’atmosfera intima e coinvolgente.
Un concerto da non perdere, l’occasione per cantare, ballare e divertirsi ma anche commuoversi e riflettere con uno degli artisti più poliedrici del nostro panorama musicale, talentuoso e innovativo.

Roberta Gioberti

Marlene Kuntz portano il Catartica tour all’Orion di Roma ed è un’onda di pura energia

Cosa resterà di questi anni ottanta, si chiedeva Raf. Oggi possiamo dire tanta, tantissima buona musica. Così tanta e così buona che gli anni novanta si sono trovati a cercare disperatamente una dimensione musicale che potesse rappresentarli al meglio, senza dover necessariamente scadere nel manierismo. E se all’estero il grunge stava assolvendo al ruolo di manifesto di una crescente necessità di trovare una forma espressiva che raccontasse quegli anni, in Italia quel vuoto doveva essere in qualche modo riempito.

1994, Cuneo: un terremoto scuote il panorama musicale italiano, e non sarà possibile dimenticarlo. In una città così lontana dai centri che per tradizione sfornavano da sempre le novità discografiche d’interesse, prese corpo e scrittura un album dal titolo emblematico: “Catartica”.

Marlene Kuntz ph Roberta Gioberti

Marlene Kuntz ph Roberta Gioberti

Tre ragazzi si affacciavano alla scena musicale e lo facevano con il senso di inquietudine proprio di quegli anni. Il bisogno di ritrovare il sorriso a tutti i costi degli anni ’80 (almeno musicalmente parlando) lasciava la scena al desiderio di tornare a lavorare sulle emozioni e sui sentimenti a livello più profondo, di spezzare catene che, nel lungo periodo si erano trasformate da avvolgenti virgulti in vere e proprie selve oscure e impenetrabili dell’animo umano. Cristiano Godano, Riccardo Tesio, Luca Bergia divennero portavoce di un nuovo movimento musicale che si prefiggeva di rompere con gli schemi sincopati e ritmici degli anni precedenti e fare emergere sonorità aspre, per certi aspetti evocative del prog strettamente inteso, e testi che ne fossero all’altezza.

Sono trascorsi 30 anni, e siamo all’Orion, a Roma, gremito come non mai per celebrare un anniversario davvero speciale. Un pubblico eterogeneo, ma ben intenzionato a stare lì per questo evento e non solo per riempire una serata un poco noiosa, come troppo spesso accade. C’è chi quell’esordio lo ricorda bene, perché può dire “io c’ero” e lo ha guardato in tempi coetanei con la meraviglia di un bambino, gomito a gomito con un pubblico più recente ma non meno affascinato. Si spengono le luci, parte la musica e Cristiano Godano e i suoi compagni irrompono sul palco a far esplodere una carica immediata che travolge ogni anima presente. La scaletta è un viaggio a ritroso nel tempo, un tuffo deciso nelle atmosfere di Catartica. Brani iconici come Musa Distratta e Lieve si alternano a gemme nascoste, regalando al pubblico un’atmosfera ricca di emozioni. La band è in forma smagliante, non li dimostra i suoi anni, Godano ipnotizza con la sua voce graffiante e intensa, è un vortice che travolge, un’onda di pura energia che non lascia scampo.

Marlene Kuntz ph Roberta Gioberti

Marlene Kuntz ph Roberta Gioberti

Un tuffo nel passato che non cede mai alla nostalgia: arrangiamenti inediti donano alla rivisitazione dei brani di Catartica una nuova linfa e una freschezza inaspettata. Due ore di musica intensa, un vortice di potenza che si accompagna ad un’apoteosi di applausi e alla consapevolezza che si sta assistendo a un evento irripetibile. I Marlene Kuntz, come sempre, non sono solo una band, sono un’esperienza, che ha segnato la vita di una generazione e che continua ad emozionare trent’anni dopo come il primo giorno. Un’esperienza che culmina nell’intenso momento di commozione che accompagna il ricordo di Luca Bergia, membro fondatore, recentemente e prematuramente scomparso: la sua presenza aleggia sul palco invisibile ma ben palpabile.

Marlene Kuntz ph Roberta Gioberti

Marlene Kuntz ph Roberta Gioberti

Tutte le date del tour sono sold out, ma la speranza è che i Marlene Kuntz decidano di regalare ai fan un tour estivo, un’ultima occasione per lasciarsi travolgere dall’onda di note senza tempo di questa band che è oramai a pieno titolo entrata di diritto nella leggenda del rock nostrano. No, non è una “festa del cazzo”, citando un loro noto motto, ma una festa che, idealmente, continuerà a risuonare per sempre.

Roberta Gioberti

Daniele Silvestri live: trenta concerti a Roma per emozionarsi, divertirsi, sognare, riflettere ed essergli grati.

Il tempo vola, e Daniele Silvestri lo marca a ritmo di musica e versi. L’idea di tenere trenta concerti a Roma in occasione del trentennale di carriera, è sicuramente singolare, e potrebbe sembrare, di primo acchito, partorita da una mente megalomane e autoreferenziale. Ma già dalle prime slides che scorrono sul grande schermo che fa da fondale all’intima scenografia dello spettacolo che il cantautore romano presenta all’Auditorium Parco della Musica di Roma, si capisce che, in realtà, si tratta di ben altro.

Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

E’ un racconto, il racconto di una storia che ne contiene molte altre, come in un gioco di scatole cinesi: un racconto articolato su più puntate, che poco delega all’autoreferenzialità, lasciando molto spazio ai contributi fondamentali di quanti, nel corso di questi anni di carriera, hanno concorso ad arricchirla e a farla crescere, fino a consacrarla ai nostri giorni come quella del più talentuoso e poetico cantautore di seconda generazione.
Uno spettacolo denso di parole: ed  è proprio dalla parola che comincia, Silvestri, da quell’elemento che ci permette di raccontare le storie.
Già, perché le parole non creano le storie, ma le raccontano. Le storie sono lì, nella vita di tutti i giorni, nelle cose che facciamo, nelle persone che incontriamo, nelle esperienze di viaggio, nel consolidarsi di amicizie, nei ricordi di infanzia, nelle gesta della squadra del cuore, nelle collaborazioni artistiche: sono decine, centinaia di storie che, a volte, diventano canzoni.
Le parole Silvestri  le ha ereditate dal padre, la musica per farle vivere dalla madre, e sono rapidissimi gli accenni ai primi anni di vita e al contesto familiare, prima che “L’Uomo intero”, intensa dedica alla figura paterna, si diffonda sulla gremita sala Petrassi, già introdotta allo spettacolo da alcuni minuti di racconto “rappato” alla sua maniera, con quel modo elegante e pieno di fraseggi a volte anche improvvisati cui ci ha abituati nel corso del tempo.
Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Il concerto sarà lunghissimo, lo sappiamo, ma la cosa non ci preoccupa, perché Silvestri è una garanzia e di sicuro saprà tenere alto il tono e l’attenzione, accompagnandoci attraverso la narrazione di questi trent’anni durante i quali le sue note hanno raccontato anche molto di noi, in percorsi a volte incidenti, altre volte paralleli, accarezzando i nostri stati d’animo con poesia ma anche con molta ironia.  Il percorso musicale si dipana tra le note di Mi Persi, Acrobati, La Mia Casa, Desaparecido, L’uomo col Megafono, Le strade di Francia, tutto sostenuto in maniera magistrale dalla band con cui Silvestri collabora da anni: Piero Monterisi alla batteria, Gianluca Misiti alle tastiere, Jose Ramon Caraballo alle percussioni e alla tromba, Gabriele Lazzarotti al basso, Marco Santoro al fagotto, tromba e cori, Duilio Galioto a tastiere e cori e Daniele Fiaschi alle chitarre.
Un primo atto intenso, che riprende, dopo una decina di minuti di pausa, con l’ospite di turno.  Da Max Gazzé, a Cammariere, a Finaz, a Rodrigo D’Erasmo: trenta ospiti diversi, uno per serata. Per ospitarli, una piccola “rubrica”: Le cose che abbiamo in comune.
Questa sera è il momento di Petra Magoni, e dei suoi virtuosismi vocali che si alternano ai racconti delle esperienze vissute insieme, di quelle parallele e al  ricordo dei mentori condivisi.
Per lei “La doccia”, perfetta in un duetto dai toni graffianti, e l’incantevole “L’Autostrada”, che, a mio avviso, rimane il più bel brano del cantautore romano.
Petra Magoni non è un’ospite “facile”, e Silvestri ne è pienamente all’altezza, assecondandone la gestualità, l’estro vocale e la simpatica impertinenza.
Al pubblico, canti a due voci irripetibili, consumati alla carta in  un momento di altissima performance musicale e teatrale.
Daniele Silvestri e Petra Magoni @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri e Petra Magoni @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

E’ poi la volta di un ospite virtuale, Fulminacci, e del brano scritto a quattro mani “L’uomo allo specchio”: già, perché in questo racconto non manca l’attenzione che Silvestri rivolge ai cantautori di terza generazione, come ha dimostrato al grande pubblico nella collaborazione con Rancore, che è proseguita sui palchi, dopo l’esibizione sanremese di tre anni fa, e che ha riscosso il consenso della critica e della stampa.
Ancora a seguire, il meraviglioso filmato “A Guerra Finita” di Simone Massi, già proposto nel precedente tour e oggetto di un riuscito esperimento, ad accompagnare la conosciutissima “Il mio Nemico”, brano che surriscalda una platea  molto coinvolta, e il commovente omaggio a Gino Strada, alla sua memoria, con “Le Navi”, occasione per lanciare l’appello per Emergency e per la Life Support.  E, da volontaria di Emergency, approfitto di questo spazio per ringraziare di cuore per il sostegno, che va avanti da anni.
Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Siamo arrivati ai bis, a concludere in leggerezza con “La Paranza” e il finale canonico e catartico di “Testardo” che vede un pubblico travolgente e travolto portarsi sotto palco per i saluti.
30 anni di carriera e più di 180 brani pubblicati:  sicuramente il materiale per 30 concerti c’è. E anche la voglia in qualcuno, sicuramente, di tornare una seconda volta.
Non resta che l’applauso lunghissimo, l’abbraccio del pubblico romano (in realtà molti vengono da fuori),  e il grazie da parte nostra a un ragazzo, oramai uomo, che ci ha fatto emozionare, divertire, sognare, ballare e urlare per 30 anni. Un grazie che parte da Roma e arriva lontano: alle nostre emozioni e alle nostre coscienze.
Roberta Gioberti
Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Le date del Tour, prodotto da OTR LIVE, che ringraziamo, le trovate di seguito.
Gennaio
18, 19, 20, 21, 26, 27, 30, 31
Febbraio
1, 2, 26, 27, 28
Marzo
1, 2, 3, 8, 9, 10, 11, 13, 14, 15, 27, 28, 29
Aprile
11, 12, 13, 14

LA CORSA DIETRO IL VENTO: il racconto del nuovo spettacolo di Gioele Dix dai racconti di Dino Buzzati

Chi incontra Buzzati nella vita, lo incontra, generalmente, durante l’adolescenza. Il deserto dei Tartari fa parte di quella dozzina di libri di cui, tra i tredici e i diciotto anni non puoi ignorare la non sempre facile lettura. Salvo poi riprenderlo in mano per caso una quarantina di anni dopo, rileggerlo, e vederti scorrere tutta la vita davanti. Sfido chiunque a non voltare l’ultima pagina, accarezzarsi le palpebre e sentirle umide.
Con i racconti, la storia è un poco diversa: non è un approccio adolescenziale, almeno, non didatticamente. Li leggi se li trovi, ci inciampi, resti rapito, intrappolato. Se ti accade un “incidente di percorso” simile a dodici tredici anni, come accadde a Gioele Dix, diventano parte del tuo immaginario, ti lasciano dentro un segno che ti porti tutta la vita.
Non parliamo della grande epopea, della storia di un ritorno, di una vita, del suo scorrere e del suo senso. Non parliamo della metafora dell’esistenza, ma delle storie che questa esistenza vanno a creare, agitandola come una battigia irrequieta a volte, a volte lieve, immobile, sospesa.
DIX
I racconti di Buzzati, è vero, sono i racconti perfetti: quelli in cui ti puoi ritrovare in ogni istante, tanto che narrino l’amore, quanto l’amicizia, la curiosità, l’avidità, l’ipocondria, l’umorismo, la vanità e la poesia. Puoi ritrovarli in un retrogusto, ora aspro ora dolce, in un ricamo di stiletto di sole che abbraccia una nuvola poco prima di tramontare, in una corsia d’ospedale e nei suoi odori, nel latrato notturno di un cane. Perché Buzzati è una suggestione, è qualcosa di più di un racconto, è un’atmosfera reiterata: insomma, se scopri di averla, se la trovi gemella, quell’aura ti accompagnerà tutta la vita.
Così, nell’immaginario di un passante, piovono nel cuore della notte fogli di carta appallottolata, piccoli scarabocchi ripiegati su se stessi, forse liriche, forse note a piè di pagina.
“La pallottola di carta” è il racconto che fa da starter a uno spettacolo che culla l’umore della platea tra ironia, risate, ombre, luci, misteri, pause, attese, sospensioni. Affiancato da una bravissima Valentina Cardinali, Gioele Dix, con l’eleganza attoriale che lo contraddistingue da sempre, costruisce una narrazione fluida e varia, sulla bella scenografia disegnata da Angelo Lodi, pescando dal vasto patrimonio di racconti brevi dello scrittore e giornalista bellunese vestendo e svestendo letteralmente i panni di molte storie, di molti personaggi, che entrano e escono da dimensioni reali o fantasiose, in maniera repentina, ricordando a volte il trasformismo di Fregoli, in versione minimalista. Tanti protagonisti che si rincorrono su una sorta di fil rouge, che è l’atmosfera buzzatiana. Sono sogni, paure, fantasmi e figure eccentriche ispirate a Buzzati e attualizzate, per portare fuori un sé, fatto a tratti di irrequietezze, a tratti di paradossi, a tratti di garbate ostilità, con quella grazia narrativa che fa di Gioele Dix uno dei migliori e più intelligenti e originali attori che il nostro teatro vanta.
Uno spettacolo incredibilmente gradevole, che penetra le emozioni con il sorriso, anche le più inquietanti. E che resta.
Roberta Gioberti

La Cantata dei Pastori alla Sala Umberto di Roma: un momento di alta teatralità che rivendica il proprio riconoscimento come patrimonio dell’umanità.

Era il 1977, e in casa entrava il primo TV a colori: uno scatolo gigantesco con tubo catodico che, quel Natale, catalizzò l’attenzione più del presepe. E proprio quel Natale la Rai trasmise la rappresentazione del più bel presepe vivente che avessi mai visto, e tale è rimasto nel tempo.
La Cantata dei Pastori, i colori meravigliosi, le risate senza capire nemmeno bene cosa si dicessero Sarchiapone e Razzullo: bastava la gestualità a incantare una ragazzina di una decina di anni. E poi le voci, questo passare da momenti di raffinata comicità ad altri di alto lirismo, erano un qualcosa che, sospeso nel fiabesco, aveva un effetto ipnotico.
Da allora, ogni volta che ho potuto, ho ripetuto il magico rituale, regalandomi un classico che dal 1698 racchiude in sé tutta l’essenza del Natale, nel suo aspetto sacro e profano, proprio come rappresentato nell’arte presepiale più famosa del mondo.
La Cantata dei Pastori

La Cantata dei Pastori

La messa in scena del 1977 venne curata dal Maestro De Simone, e rappresentò in qualche modo uno stravolgimento rivoluzionario dell’opera, una riscrittura integrale. Interpreti i membri della Nuova Compagnia di Canto popolare, tra i quali spiccava un esilarante e irresistibile Peppe Barra. E fu proprio a Peppe Barra, immenso e granitico esponente della tradizione musicale partenopea che il Maestro De Simone cedette il testimone della regia dell’opera, che giunge ai nostri giorni con tutta la sua carica di effetto scenico, musicale e interpretativo.
La storia, liberamente ispirata all’Opera Pastorale Sacra di Andrea Perrucci racconta dell’attesa e la nascita di Ninno, Gesù, attraverso le rocambolesche peripezie dello scrivano Razzullo, ruolo di Peppe Barra per destinazione, e di Sarchiapone, un comico e un poco grottesco personaggio napoletano, convinto di avere grandi doti di avvenenza e fascino. Il ruolo in cui Concetta Barra fu indimenticabile, nella versione messa in scena in questi giorni alla Sala Umberto di Roma, è magistralmente ricoperto da Lalla Esposito, leggera, divertente, mai esagerata. Uno dei migliori Sarchiapone nella storia della Cantata.
La Cantata dei Pastori

La Cantata dei Pastori

Gli arrangiamenti sono affidati al Maestro Giorgio Mellone, storico membro del gruppo che da anni accompagna Peppe Barra nelle sue tournée, e vantano il pregio di essere stati molto sfoltiti e modernizzati, donando all’opera una freschezza e un’attualità necessarie, considerata la longevità della rappresentazione, che attraversa le epoche storiche adeguandovisi, ma senza per questo perdere nulla delle proprie caratteristiche satiriche e auliche. Un’impresa non facile, sicuramente, ma anche molto ben riuscita, come sono stati a significare i frequenti applausi a scena aperta, la partecipazione del pubblico, la sala affollatissima.
Seguire testualmente la Cantata non è facile, nemmeno per un Partenopeo. Tuttavia sicuramente il valore aggiunto dato dal lavoro di Peppe Barra, tanto alla regia quanto sul palco fa sì che resti un’opera accessibile a tutti, incantevole nelle scenografie e nei costumi, commovente e divertente: una vera epifania, una gioia per il cuore, un momento di alta teatralità che, giustamente, rivendica il proprio riconoscimento come patrimonio dell’umanità.
La Cantata dei Pastori

La Cantata dei Pastori

E nell’augurare che tale riconoscimento arrivi, possiamo dire che non è Natale senza la Cantata: un Natale che scende tra noi, in qualche modo ci rappresenta con molta fedeltà, e, lontano da logiche coercitive, ci restituisce tutto il suo spirito di festa a metà tra il religioso e il laico, come prendere parte a uno di quei presepi magnifici, in cui tutti, protagonisti di una eterna lotta tra il bene e il male, sperano in un mondo migliore.
Roberta Gioberti
La Cantata dei Pastori

La Cantata dei Pastori

Daniele Silvestri incanta Roma con il concerto di chiusura del suo tour. Il live report

Una sala Santa Cecilia gremita, quella che attende l’ultima data del tour di Daniele Silvestri, tour cominciato ad ottobre, che si conclude qui a Roma, con un concerto fortemente voluto. Chiusura in casa, e il pubblico non delude, accorrendo in massa a quello che, ancora non lo sappiamo, ma entrerà nella storia come uno dei più bei concerti dell’ultimo decennio.
Daniele Silvestri live - Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri live – Roma ph Roberta Gioberti

Chi già aveva avuto modo di vederlo all’Auditorium della Conciliazione, non è rimasto perplesso di fronte alla scenografia di stampo teatrale che ha accolto i musicisti all’inizio della performance. Due poltrone, una scrivania, molte lampade da camera, una ambientazione salottiera suggestiva ma anomala per un concerto di Silvestri. E lui, seduto al tavolo, che immagina la scrittura di un brano, o meglio, lo scrive. Tra tentennamenti, piccole correzioni, valutazioni musicali. Fino a quando la musica entra in scena. L’intenzione dell’autore è quella di portarci in una sala di registrazione, e raccontarci la genesi delle canzoni: come nascono, quali sono gli spunti che danno il la alla vena creativa, quali le storie cui si ispirano. Si alternano brani dell’ultimo lavoro, una scrittura molto impegnata sotto il profilo sociale e politico, a brani che già conosciamo, ma di cui, probabilmente, ignoriamo l’iter creativo e come hanno accompagnato Silvestri nel corso degli anni, quali emozioni si sono loro affiancate.
Daniele Silvestri live - Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri live – Roma ph Roberta Gioberti

E’ un metronomo a scandire il tempo di Tik Tak, il brano che dà il via alla musica, e anche ultimo singolo che preannuncia l’uscita del lavoro più recente del cantautore romano. Scritto con l’ottimo chitarrista e amico Daniele Fiaschi, il brano prende la forma di una specie di labirinto testuale e verbale, interrotto da inserti musicali. Momenti di ritmica, momenti corali, e il rap che è proprio di Silvestri, e che lo caratterizza da sempre. Un rap addolcito, armonicamente strutturato ma non per questo meno graffiante. Una tecnica che l’artista padroneggia con assoluta perfezione. Si susseguono poi storie. Storie che già conosciamo e storie che impariamo ora, sul palco, come vengono, frutto di una continua rielaborazione che durante il tour ha dato vita ad arrangiamenti ed esecuzioni mai una identica all’altra. Un lavoro in divenire, e l’esatto opposto di quanto di solito accade: non un tour per presentare un disco, ma un disco che parte embrione e durante il tour cresce, arricchendosi di volta in volta di sonorità e ritmi e pause e strofe diverse. E in questo sicuramente consiste l’originalità del lavoro proposto da Silvestri e dalla sua band, quella delle occasioni di lusso, cui si aggiungono la tromba e le percussioni di Jose Ramon Caraballo Armas che tanto rievocano le sonorità di Buena Vista Social Club. Insomma, un lavoro discografico non confezionato a tavolino, ma creato giorno per giorno, tappa per tappa, concerto per concerto. Un Work in Progress, che si arricchisce di sonorità, silenzi, emozioni, oggetti, uno scambio diretto con il pubblico, un feeling ininterrotto.
Daniele Silvestri live - Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri live – Roma ph Roberta Gioberti

Quattro ore di concerto, tra brani inediti e brani conosciuti, ma diversamente arrangiati, un pubblico assetato e mai sazio,, il ricordo di Pietrangeli e la citazione di Contessa, un omaggio emozionante a Lucio Dalla e una dedica commovente a Gino Strada, commovente e autentica, impreziosita dalle animazioni di Simone Massi, che il pubblico asseconda e accoglie con una lunga standing ovation.
Quattro ore e potrebbe continuare ancora. Un commosso Silvestri si concede senza remore, abbraccia chi per il bis si è riversato sotto palco, stringe mani, è visibilmente commosso.
Raramente ha deluso, Daniele Silvestri, nel corso della sua carriera, forse mai.
Ma con questo tour sicuramente si pone sul gradino più alto del podio.
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L’esperienza mi insegna che se un concerto ti torna su è stato sicuramente un buon concerto. E le immagini, i suoni, le parole del 30 dicembre 2022 all’Auditorium Parco della musica di Roma, continuano a riecheggiarmi nella mente, come un racconto in divenire che non ha un capitolo finale.
Grazie Daniele, per le intense emozioni.
Roberta Gioberti
Daniele Silvestri live - Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri live – Roma ph Roberta Gioberti

La Maschera live all’Alcazar di Roma: Sotto chi téne o core

Sotto chi téne o core è un’esortazione.
Già, perché quest’organo vitale, il più vitale, quello che segna i battiti, ma non solo, quello che fa la differenza, nella vita, sembra aver perso molte delle caratteristiche che gli sono proprie, oltre un aspetto del tutto fisiologico: il cuore casa dei sentimenti, domicilio dell’empatia, stimolo del coraggio.
Ma cosa vuole dire, nella realtà, averlo, un cuore, sentire di averlo e farsi sotto?
Con un lavoro incredibilmente accurato, tanto nella scrittura dei testi quanto in quella musicale, ce lo dicono Roberto Colella e la sua band la Maschera, di cui vogliamo citare i componenti, perché questo sì, è un vero collettivo: alle chitarre l’eccezionale e plurilaureato Alessandro Morlando, alla batteria il generoso Marco Salvatore, al basso il solido Antonio Gomez, l’eclettico Michele Maione alle percussioni, il delicato, nascosto e potente Vincenzo Capasso ai fiati.
La Maschera ph Roberta Gioberti

La Maschera ph Roberta Gioberti

Una premessa a quanto scriverò, è d’obbligo. Per capire il senso dell’avere un cuore, un concerto de La Maschera va vissuto dal vivo. Se poi si ha la fortuna, come l’ha avuta la sottoscritta, di poter accedere al backstage, beh, allora la pienezza del senso diventa completa. Sei ragazzi in sinergia, non solo sul palco, ma anche underground. Un unicum.
Colella racconta che fu proprio Capasso, quando si incontrarono, a convincerlo a rendere pubblici i suoi brani. E così, al ragazzo del respiro, dobbiamo, probabilmente, una delle più ricche, genuine ed entusiasmanti realtà musicali del momento.
La Maschera nasce a Napoli e con Napoli cresce e si articola in dimensioni sonore sempre più sofisticate, testi commoventi, che non scadono mai nel melenso, impegno sociale, integrazione.
Già, perché Napoli, con tutte le contraddizioni che conosciamo, alla fine diventa sinonimo di integrazione da sempre. Accoglienza è un fatto diverso: si può accogliere mantenendo una diffidenza che crea di fatto un muro, o si può, accogliendo, integrare.
La Maschera ph Roberta Gioberti

La Maschera ph Roberta Gioberti

Napoli molto conosce di emigrazione e di coraggio, come tutto il sud Italia. Se la canzone napoletana di repertorio ha avuto tanto successo nel corso dei decenni, non è solo perché oggettivamente bella, ma perché, ovunque arrivasse, trovava uno scampolo di casa ad accoglierla: persone col fisico domiciliato altrove, ma col cuore residente nella terra d’origine. E questo La Maschera lo racconta assai bene in Amarcord, titolo sicuramente evocativo, come lo è il testo, di emozioni e sentimenti.
Tanti i partenopei accorsi all’Alcazar, ma tanti anche i romani. E, lasciandoci coinvolgere dalle parole di Colella, non distingueremo tra romani e stranieri: l’importante è stato esserci col cuore, senza campanilismi o circoscrizioni di sorta. Dico solo questo, che spero sia significativo. All’inizio cercavo un posto sottopalco, e sono stata guardata con diffidenza: trascorsi 10 minuti, sono stati tutti disponibilissimi alle mie incursioni. E’ questa la barriera che dobbiamo imparare a superare, quella dei 10 minuti di diffidenza, per renderci conto che siamo esseri umani, ognuno col suo bagaglio di cose positive e negative da portare all’altro, e ognuno in cerca di una forma di accoglienza.
La Maschera tutto ciò sa esprimerlo in maniera genuina, in lessico dialettale, ma, si sa, universale, se abbiamo imparato da Pino Daniele cosa fosse la cazzimma.
Non alberga qui di casa,la cazzimma, ed è una bella cosa.
La Maschera ph Roberta Gioberti

La Maschera ph Roberta Gioberti

Insomma, pure se siete altoatesini, non importa: lo sappiamo che il cuore parla un linguaggio universale. Quindi la sola cosa che resta da dire è andàteveli a sentire dal vivo se vi ricapita: troverete sei spettacolari e formati musicisti, e un cuore che batte e non vi deluderà. La prossima data sarà Pisa il 16 dicembre, e poi Napoli il 21. Se ne riparlerà in primavera, e sicuramente con nuovi entusiasmi, con nuove prospettive, con nuove sonorità e attimi di profonda commozione. Nel frattempo ascoltateli: sono un vulcano che erutta amore.
Roberta Gioberti
La Maschera ph Roberta Gioberti

La Maschera ph Roberta Gioberti

 

La Maschera ph Roberta Gioberti

La Maschera ph Roberta Gioberti

 

Alessandro Bergonzoni all’Auditorium Parco della Musica: sulle ali di una riflessione

Nel panorama teatrale nostrano, che vanta nomi di indiscutibile spessore e valenza artistica, ne esiste uno solo che sa trasformare in estasi dialettica il flusso di coscienza: Alessandro Bergonzoni.
Sono decenni che ci incanta come il pifferaio magico, travolgendoci nella scia della musicalità della parola piena di senso, doppio senso, nonsenso, senso travisato o travisabile. E sono decenni che, stregati, seguiamo quella scia, e vorremmo non finisse mai.
E Bergonzoni non delude, si ripresenta puntualmente e mai ripetitivo, a risucchiarci in quella scia verbale, che chiede soltanto di seguirla, con naturalezza. Una sorta di percorso che, attraverso la parola e il suo trasformarsi, scioglie nodi, libera pensieri, li riallinea senza cercare un ordine, solo un filo: quel filo magico che è il suono del pifferaio.
Se il titolo dello spettacolo è Trascendi e Sali (il sale è qualcosa di ricorrente e prezioso nel teatro di Bergonzoni, indispensabile, come lo è quello della terra), la prima cosa che arriva d’impatto a te, seduto in platea, alla vista di una struttura pensile illuminata a toni freddi, è trasalire. Ed ecco che si apre il sipario dell’immaginario, lo sguardo sulla sola parte visibile dell’attore, i piedi, e l’udito rapito dal flusso.
Il segreto per gustarsi in pienezza uno spettacolo teatrale così, è lasciarsi completamente andare, come in una pratica di rilassamento: solo che qui si arriva da zero a cento in pochi secondi, nel monologo si entra con immediatezza, le pareti rugose del cervello si distendono, e tutto scivola, si ferma solo l’attimo necessario alla riflessione, alla risata, all’applauso a scena aperta (tanti sempre), e riparte, rinvigorito.
Bergonzoni ph Roberta Gioberti

Bergonzoni ph Roberta Gioberti

Domande su domande, si parla di noi, ma ancora non sai se di migranti, di crisi, di ingiustizie sociali, di donne e dei loro diritti: tutto viene introdotto insieme, in rapida successione, e poi piano trascende, e tu con lui. E sale, e tu con lui. E poi esplode, ma senza deflagrazione. Esplode sotto forma di rivendicazioni, da dietro un pannello, la sola cosa visiva su cui ti concentri, sono le mani che rubricano tutta una serie di urgenze che esigono risposte.
Battute su battute, che fanno ridere, e tempi del tutto peculiari, che ti lasciano quel momento per pensare “spesso”, denso, corposo.
Così, avanti per due ore: e alla fine il pubblico, che dovrebbe essere esausto, ne vuole ancora. E l’attore ancora si concede.
Tra la prima messa in scena e quella che ha fatto il SoldOut all’Auditorium Parco della Musica di Roma il 6 e il 7 dicembre, c’è stata di mezzo una pandemia, e sicuramente il trascendere si è trasformato. L’osservazione, qualcosa che una pausa forzata dai ritmi di tutti i giorni ci ha obbligati, ha preso peso, è diventata essenza e non solo sguardo: osservare un minuto di silenzio e farlo molto da vicino, diventa un’esperienza quasi mistica. E non mancano le sferzate a certe conduzioni, sferzate al fianco, mai al cuore, come il chiedersi se lavorare e ammalarsi o vivere e non lavorare, tra tanti pappataci, pappa taci Papa Taci, di questa baraonda Bara Onda…per i cucchi che siamo tutti e ancora Cucchi e anche re geni, Regeni: siamo tutti Cucchi e Regeni: il pubblico non trattiene gli applausi.
Sarebbe rimasto volentieri altre due ore, ma non è possibile.
E nel congedarsi dalla magia di una espressione teatrale che non conosce eguali, si allontana sulle ali di una riflessione, come sempre: l’importante non è essere le ali. Ma avere le ali…
Roberta Gioberti

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