Marlene Kuntz portano il Catartica tour all’Orion di Roma ed è un’onda di pura energia

Cosa resterà di questi anni ottanta, si chiedeva Raf. Oggi possiamo dire tanta, tantissima buona musica. Così tanta e così buona che gli anni novanta si sono trovati a cercare disperatamente una dimensione musicale che potesse rappresentarli al meglio, senza dover necessariamente scadere nel manierismo. E se all’estero il grunge stava assolvendo al ruolo di manifesto di una crescente necessità di trovare una forma espressiva che raccontasse quegli anni, in Italia quel vuoto doveva essere in qualche modo riempito.

1994, Cuneo: un terremoto scuote il panorama musicale italiano, e non sarà possibile dimenticarlo. In una città così lontana dai centri che per tradizione sfornavano da sempre le novità discografiche d’interesse, prese corpo e scrittura un album dal titolo emblematico: “Catartica”.

Marlene Kuntz ph Roberta Gioberti

Marlene Kuntz ph Roberta Gioberti

Tre ragazzi si affacciavano alla scena musicale e lo facevano con il senso di inquietudine proprio di quegli anni. Il bisogno di ritrovare il sorriso a tutti i costi degli anni ’80 (almeno musicalmente parlando) lasciava la scena al desiderio di tornare a lavorare sulle emozioni e sui sentimenti a livello più profondo, di spezzare catene che, nel lungo periodo si erano trasformate da avvolgenti virgulti in vere e proprie selve oscure e impenetrabili dell’animo umano. Cristiano Godano, Riccardo Tesio, Luca Bergia divennero portavoce di un nuovo movimento musicale che si prefiggeva di rompere con gli schemi sincopati e ritmici degli anni precedenti e fare emergere sonorità aspre, per certi aspetti evocative del prog strettamente inteso, e testi che ne fossero all’altezza.

Sono trascorsi 30 anni, e siamo all’Orion, a Roma, gremito come non mai per celebrare un anniversario davvero speciale. Un pubblico eterogeneo, ma ben intenzionato a stare lì per questo evento e non solo per riempire una serata un poco noiosa, come troppo spesso accade. C’è chi quell’esordio lo ricorda bene, perché può dire “io c’ero” e lo ha guardato in tempi coetanei con la meraviglia di un bambino, gomito a gomito con un pubblico più recente ma non meno affascinato. Si spengono le luci, parte la musica e Cristiano Godano e i suoi compagni irrompono sul palco a far esplodere una carica immediata che travolge ogni anima presente. La scaletta è un viaggio a ritroso nel tempo, un tuffo deciso nelle atmosfere di Catartica. Brani iconici come Musa Distratta e Lieve si alternano a gemme nascoste, regalando al pubblico un’atmosfera ricca di emozioni. La band è in forma smagliante, non li dimostra i suoi anni, Godano ipnotizza con la sua voce graffiante e intensa, è un vortice che travolge, un’onda di pura energia che non lascia scampo.

Marlene Kuntz ph Roberta Gioberti

Marlene Kuntz ph Roberta Gioberti

Un tuffo nel passato che non cede mai alla nostalgia: arrangiamenti inediti donano alla rivisitazione dei brani di Catartica una nuova linfa e una freschezza inaspettata. Due ore di musica intensa, un vortice di potenza che si accompagna ad un’apoteosi di applausi e alla consapevolezza che si sta assistendo a un evento irripetibile. I Marlene Kuntz, come sempre, non sono solo una band, sono un’esperienza, che ha segnato la vita di una generazione e che continua ad emozionare trent’anni dopo come il primo giorno. Un’esperienza che culmina nell’intenso momento di commozione che accompagna il ricordo di Luca Bergia, membro fondatore, recentemente e prematuramente scomparso: la sua presenza aleggia sul palco invisibile ma ben palpabile.

Marlene Kuntz ph Roberta Gioberti

Marlene Kuntz ph Roberta Gioberti

Tutte le date del tour sono sold out, ma la speranza è che i Marlene Kuntz decidano di regalare ai fan un tour estivo, un’ultima occasione per lasciarsi travolgere dall’onda di note senza tempo di questa band che è oramai a pieno titolo entrata di diritto nella leggenda del rock nostrano. No, non è una “festa del cazzo”, citando un loro noto motto, ma una festa che, idealmente, continuerà a risuonare per sempre.

Roberta Gioberti

Daniele Silvestri live: trenta concerti a Roma per emozionarsi, divertirsi, sognare, riflettere ed essergli grati.

Il tempo vola, e Daniele Silvestri lo marca a ritmo di musica e versi. L’idea di tenere trenta concerti a Roma in occasione del trentennale di carriera, è sicuramente singolare, e potrebbe sembrare, di primo acchito, partorita da una mente megalomane e autoreferenziale. Ma già dalle prime slides che scorrono sul grande schermo che fa da fondale all’intima scenografia dello spettacolo che il cantautore romano presenta all’Auditorium Parco della Musica di Roma, si capisce che, in realtà, si tratta di ben altro.

Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

E’ un racconto, il racconto di una storia che ne contiene molte altre, come in un gioco di scatole cinesi: un racconto articolato su più puntate, che poco delega all’autoreferenzialità, lasciando molto spazio ai contributi fondamentali di quanti, nel corso di questi anni di carriera, hanno concorso ad arricchirla e a farla crescere, fino a consacrarla ai nostri giorni come quella del più talentuoso e poetico cantautore di seconda generazione.
Uno spettacolo denso di parole: ed  è proprio dalla parola che comincia, Silvestri, da quell’elemento che ci permette di raccontare le storie.
Già, perché le parole non creano le storie, ma le raccontano. Le storie sono lì, nella vita di tutti i giorni, nelle cose che facciamo, nelle persone che incontriamo, nelle esperienze di viaggio, nel consolidarsi di amicizie, nei ricordi di infanzia, nelle gesta della squadra del cuore, nelle collaborazioni artistiche: sono decine, centinaia di storie che, a volte, diventano canzoni.
Le parole Silvestri  le ha ereditate dal padre, la musica per farle vivere dalla madre, e sono rapidissimi gli accenni ai primi anni di vita e al contesto familiare, prima che “L’Uomo intero”, intensa dedica alla figura paterna, si diffonda sulla gremita sala Petrassi, già introdotta allo spettacolo da alcuni minuti di racconto “rappato” alla sua maniera, con quel modo elegante e pieno di fraseggi a volte anche improvvisati cui ci ha abituati nel corso del tempo.
Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Il concerto sarà lunghissimo, lo sappiamo, ma la cosa non ci preoccupa, perché Silvestri è una garanzia e di sicuro saprà tenere alto il tono e l’attenzione, accompagnandoci attraverso la narrazione di questi trent’anni durante i quali le sue note hanno raccontato anche molto di noi, in percorsi a volte incidenti, altre volte paralleli, accarezzando i nostri stati d’animo con poesia ma anche con molta ironia.  Il percorso musicale si dipana tra le note di Mi Persi, Acrobati, La Mia Casa, Desaparecido, L’uomo col Megafono, Le strade di Francia, tutto sostenuto in maniera magistrale dalla band con cui Silvestri collabora da anni: Piero Monterisi alla batteria, Gianluca Misiti alle tastiere, Jose Ramon Caraballo alle percussioni e alla tromba, Gabriele Lazzarotti al basso, Marco Santoro al fagotto, tromba e cori, Duilio Galioto a tastiere e cori e Daniele Fiaschi alle chitarre.
Un primo atto intenso, che riprende, dopo una decina di minuti di pausa, con l’ospite di turno.  Da Max Gazzé, a Cammariere, a Finaz, a Rodrigo D’Erasmo: trenta ospiti diversi, uno per serata. Per ospitarli, una piccola “rubrica”: Le cose che abbiamo in comune.
Questa sera è il momento di Petra Magoni, e dei suoi virtuosismi vocali che si alternano ai racconti delle esperienze vissute insieme, di quelle parallele e al  ricordo dei mentori condivisi.
Per lei “La doccia”, perfetta in un duetto dai toni graffianti, e l’incantevole “L’Autostrada”, che, a mio avviso, rimane il più bel brano del cantautore romano.
Petra Magoni non è un’ospite “facile”, e Silvestri ne è pienamente all’altezza, assecondandone la gestualità, l’estro vocale e la simpatica impertinenza.
Al pubblico, canti a due voci irripetibili, consumati alla carta in  un momento di altissima performance musicale e teatrale.
Daniele Silvestri e Petra Magoni @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri e Petra Magoni @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

E’ poi la volta di un ospite virtuale, Fulminacci, e del brano scritto a quattro mani “L’uomo allo specchio”: già, perché in questo racconto non manca l’attenzione che Silvestri rivolge ai cantautori di terza generazione, come ha dimostrato al grande pubblico nella collaborazione con Rancore, che è proseguita sui palchi, dopo l’esibizione sanremese di tre anni fa, e che ha riscosso il consenso della critica e della stampa.
Ancora a seguire, il meraviglioso filmato “A Guerra Finita” di Simone Massi, già proposto nel precedente tour e oggetto di un riuscito esperimento, ad accompagnare la conosciutissima “Il mio Nemico”, brano che surriscalda una platea  molto coinvolta, e il commovente omaggio a Gino Strada, alla sua memoria, con “Le Navi”, occasione per lanciare l’appello per Emergency e per la Life Support.  E, da volontaria di Emergency, approfitto di questo spazio per ringraziare di cuore per il sostegno, che va avanti da anni.
Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Siamo arrivati ai bis, a concludere in leggerezza con “La Paranza” e il finale canonico e catartico di “Testardo” che vede un pubblico travolgente e travolto portarsi sotto palco per i saluti.
30 anni di carriera e più di 180 brani pubblicati:  sicuramente il materiale per 30 concerti c’è. E anche la voglia in qualcuno, sicuramente, di tornare una seconda volta.
Non resta che l’applauso lunghissimo, l’abbraccio del pubblico romano (in realtà molti vengono da fuori),  e il grazie da parte nostra a un ragazzo, oramai uomo, che ci ha fatto emozionare, divertire, sognare, ballare e urlare per 30 anni. Un grazie che parte da Roma e arriva lontano: alle nostre emozioni e alle nostre coscienze.
Roberta Gioberti
Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri @Auditorium Roma ph Roberta Gioberti

Le date del Tour, prodotto da OTR LIVE, che ringraziamo, le trovate di seguito.
Gennaio
18, 19, 20, 21, 26, 27, 30, 31
Febbraio
1, 2, 26, 27, 28
Marzo
1, 2, 3, 8, 9, 10, 11, 13, 14, 15, 27, 28, 29
Aprile
11, 12, 13, 14

LA CORSA DIETRO IL VENTO: il racconto del nuovo spettacolo di Gioele Dix dai racconti di Dino Buzzati

Chi incontra Buzzati nella vita, lo incontra, generalmente, durante l’adolescenza. Il deserto dei Tartari fa parte di quella dozzina di libri di cui, tra i tredici e i diciotto anni non puoi ignorare la non sempre facile lettura. Salvo poi riprenderlo in mano per caso una quarantina di anni dopo, rileggerlo, e vederti scorrere tutta la vita davanti. Sfido chiunque a non voltare l’ultima pagina, accarezzarsi le palpebre e sentirle umide.
Con i racconti, la storia è un poco diversa: non è un approccio adolescenziale, almeno, non didatticamente. Li leggi se li trovi, ci inciampi, resti rapito, intrappolato. Se ti accade un “incidente di percorso” simile a dodici tredici anni, come accadde a Gioele Dix, diventano parte del tuo immaginario, ti lasciano dentro un segno che ti porti tutta la vita.
Non parliamo della grande epopea, della storia di un ritorno, di una vita, del suo scorrere e del suo senso. Non parliamo della metafora dell’esistenza, ma delle storie che questa esistenza vanno a creare, agitandola come una battigia irrequieta a volte, a volte lieve, immobile, sospesa.
DIX
I racconti di Buzzati, è vero, sono i racconti perfetti: quelli in cui ti puoi ritrovare in ogni istante, tanto che narrino l’amore, quanto l’amicizia, la curiosità, l’avidità, l’ipocondria, l’umorismo, la vanità e la poesia. Puoi ritrovarli in un retrogusto, ora aspro ora dolce, in un ricamo di stiletto di sole che abbraccia una nuvola poco prima di tramontare, in una corsia d’ospedale e nei suoi odori, nel latrato notturno di un cane. Perché Buzzati è una suggestione, è qualcosa di più di un racconto, è un’atmosfera reiterata: insomma, se scopri di averla, se la trovi gemella, quell’aura ti accompagnerà tutta la vita.
Così, nell’immaginario di un passante, piovono nel cuore della notte fogli di carta appallottolata, piccoli scarabocchi ripiegati su se stessi, forse liriche, forse note a piè di pagina.
“La pallottola di carta” è il racconto che fa da starter a uno spettacolo che culla l’umore della platea tra ironia, risate, ombre, luci, misteri, pause, attese, sospensioni. Affiancato da una bravissima Valentina Cardinali, Gioele Dix, con l’eleganza attoriale che lo contraddistingue da sempre, costruisce una narrazione fluida e varia, sulla bella scenografia disegnata da Angelo Lodi, pescando dal vasto patrimonio di racconti brevi dello scrittore e giornalista bellunese vestendo e svestendo letteralmente i panni di molte storie, di molti personaggi, che entrano e escono da dimensioni reali o fantasiose, in maniera repentina, ricordando a volte il trasformismo di Fregoli, in versione minimalista. Tanti protagonisti che si rincorrono su una sorta di fil rouge, che è l’atmosfera buzzatiana. Sono sogni, paure, fantasmi e figure eccentriche ispirate a Buzzati e attualizzate, per portare fuori un sé, fatto a tratti di irrequietezze, a tratti di paradossi, a tratti di garbate ostilità, con quella grazia narrativa che fa di Gioele Dix uno dei migliori e più intelligenti e originali attori che il nostro teatro vanta.
Uno spettacolo incredibilmente gradevole, che penetra le emozioni con il sorriso, anche le più inquietanti. E che resta.
Roberta Gioberti

La Cantata dei Pastori alla Sala Umberto di Roma: un momento di alta teatralità che rivendica il proprio riconoscimento come patrimonio dell’umanità.

Era il 1977, e in casa entrava il primo TV a colori: uno scatolo gigantesco con tubo catodico che, quel Natale, catalizzò l’attenzione più del presepe. E proprio quel Natale la Rai trasmise la rappresentazione del più bel presepe vivente che avessi mai visto, e tale è rimasto nel tempo.
La Cantata dei Pastori, i colori meravigliosi, le risate senza capire nemmeno bene cosa si dicessero Sarchiapone e Razzullo: bastava la gestualità a incantare una ragazzina di una decina di anni. E poi le voci, questo passare da momenti di raffinata comicità ad altri di alto lirismo, erano un qualcosa che, sospeso nel fiabesco, aveva un effetto ipnotico.
Da allora, ogni volta che ho potuto, ho ripetuto il magico rituale, regalandomi un classico che dal 1698 racchiude in sé tutta l’essenza del Natale, nel suo aspetto sacro e profano, proprio come rappresentato nell’arte presepiale più famosa del mondo.
La Cantata dei Pastori

La Cantata dei Pastori

La messa in scena del 1977 venne curata dal Maestro De Simone, e rappresentò in qualche modo uno stravolgimento rivoluzionario dell’opera, una riscrittura integrale. Interpreti i membri della Nuova Compagnia di Canto popolare, tra i quali spiccava un esilarante e irresistibile Peppe Barra. E fu proprio a Peppe Barra, immenso e granitico esponente della tradizione musicale partenopea che il Maestro De Simone cedette il testimone della regia dell’opera, che giunge ai nostri giorni con tutta la sua carica di effetto scenico, musicale e interpretativo.
La storia, liberamente ispirata all’Opera Pastorale Sacra di Andrea Perrucci racconta dell’attesa e la nascita di Ninno, Gesù, attraverso le rocambolesche peripezie dello scrivano Razzullo, ruolo di Peppe Barra per destinazione, e di Sarchiapone, un comico e un poco grottesco personaggio napoletano, convinto di avere grandi doti di avvenenza e fascino. Il ruolo in cui Concetta Barra fu indimenticabile, nella versione messa in scena in questi giorni alla Sala Umberto di Roma, è magistralmente ricoperto da Lalla Esposito, leggera, divertente, mai esagerata. Uno dei migliori Sarchiapone nella storia della Cantata.
La Cantata dei Pastori

La Cantata dei Pastori

Gli arrangiamenti sono affidati al Maestro Giorgio Mellone, storico membro del gruppo che da anni accompagna Peppe Barra nelle sue tournée, e vantano il pregio di essere stati molto sfoltiti e modernizzati, donando all’opera una freschezza e un’attualità necessarie, considerata la longevità della rappresentazione, che attraversa le epoche storiche adeguandovisi, ma senza per questo perdere nulla delle proprie caratteristiche satiriche e auliche. Un’impresa non facile, sicuramente, ma anche molto ben riuscita, come sono stati a significare i frequenti applausi a scena aperta, la partecipazione del pubblico, la sala affollatissima.
Seguire testualmente la Cantata non è facile, nemmeno per un Partenopeo. Tuttavia sicuramente il valore aggiunto dato dal lavoro di Peppe Barra, tanto alla regia quanto sul palco fa sì che resti un’opera accessibile a tutti, incantevole nelle scenografie e nei costumi, commovente e divertente: una vera epifania, una gioia per il cuore, un momento di alta teatralità che, giustamente, rivendica il proprio riconoscimento come patrimonio dell’umanità.
La Cantata dei Pastori

La Cantata dei Pastori

E nell’augurare che tale riconoscimento arrivi, possiamo dire che non è Natale senza la Cantata: un Natale che scende tra noi, in qualche modo ci rappresenta con molta fedeltà, e, lontano da logiche coercitive, ci restituisce tutto il suo spirito di festa a metà tra il religioso e il laico, come prendere parte a uno di quei presepi magnifici, in cui tutti, protagonisti di una eterna lotta tra il bene e il male, sperano in un mondo migliore.
Roberta Gioberti
La Cantata dei Pastori

La Cantata dei Pastori

Daniele Silvestri incanta Roma con il concerto di chiusura del suo tour. Il live report

Una sala Santa Cecilia gremita, quella che attende l’ultima data del tour di Daniele Silvestri, tour cominciato ad ottobre, che si conclude qui a Roma, con un concerto fortemente voluto. Chiusura in casa, e il pubblico non delude, accorrendo in massa a quello che, ancora non lo sappiamo, ma entrerà nella storia come uno dei più bei concerti dell’ultimo decennio.
Daniele Silvestri live - Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri live – Roma ph Roberta Gioberti

Chi già aveva avuto modo di vederlo all’Auditorium della Conciliazione, non è rimasto perplesso di fronte alla scenografia di stampo teatrale che ha accolto i musicisti all’inizio della performance. Due poltrone, una scrivania, molte lampade da camera, una ambientazione salottiera suggestiva ma anomala per un concerto di Silvestri. E lui, seduto al tavolo, che immagina la scrittura di un brano, o meglio, lo scrive. Tra tentennamenti, piccole correzioni, valutazioni musicali. Fino a quando la musica entra in scena. L’intenzione dell’autore è quella di portarci in una sala di registrazione, e raccontarci la genesi delle canzoni: come nascono, quali sono gli spunti che danno il la alla vena creativa, quali le storie cui si ispirano. Si alternano brani dell’ultimo lavoro, una scrittura molto impegnata sotto il profilo sociale e politico, a brani che già conosciamo, ma di cui, probabilmente, ignoriamo l’iter creativo e come hanno accompagnato Silvestri nel corso degli anni, quali emozioni si sono loro affiancate.
Daniele Silvestri live - Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri live – Roma ph Roberta Gioberti

E’ un metronomo a scandire il tempo di Tik Tak, il brano che dà il via alla musica, e anche ultimo singolo che preannuncia l’uscita del lavoro più recente del cantautore romano. Scritto con l’ottimo chitarrista e amico Daniele Fiaschi, il brano prende la forma di una specie di labirinto testuale e verbale, interrotto da inserti musicali. Momenti di ritmica, momenti corali, e il rap che è proprio di Silvestri, e che lo caratterizza da sempre. Un rap addolcito, armonicamente strutturato ma non per questo meno graffiante. Una tecnica che l’artista padroneggia con assoluta perfezione. Si susseguono poi storie. Storie che già conosciamo e storie che impariamo ora, sul palco, come vengono, frutto di una continua rielaborazione che durante il tour ha dato vita ad arrangiamenti ed esecuzioni mai una identica all’altra. Un lavoro in divenire, e l’esatto opposto di quanto di solito accade: non un tour per presentare un disco, ma un disco che parte embrione e durante il tour cresce, arricchendosi di volta in volta di sonorità e ritmi e pause e strofe diverse. E in questo sicuramente consiste l’originalità del lavoro proposto da Silvestri e dalla sua band, quella delle occasioni di lusso, cui si aggiungono la tromba e le percussioni di Jose Ramon Caraballo Armas che tanto rievocano le sonorità di Buena Vista Social Club. Insomma, un lavoro discografico non confezionato a tavolino, ma creato giorno per giorno, tappa per tappa, concerto per concerto. Un Work in Progress, che si arricchisce di sonorità, silenzi, emozioni, oggetti, uno scambio diretto con il pubblico, un feeling ininterrotto.
Daniele Silvestri live - Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri live – Roma ph Roberta Gioberti

Quattro ore di concerto, tra brani inediti e brani conosciuti, ma diversamente arrangiati, un pubblico assetato e mai sazio,, il ricordo di Pietrangeli e la citazione di Contessa, un omaggio emozionante a Lucio Dalla e una dedica commovente a Gino Strada, commovente e autentica, impreziosita dalle animazioni di Simone Massi, che il pubblico asseconda e accoglie con una lunga standing ovation.
Quattro ore e potrebbe continuare ancora. Un commosso Silvestri si concede senza remore, abbraccia chi per il bis si è riversato sotto palco, stringe mani, è visibilmente commosso.
Raramente ha deluso, Daniele Silvestri, nel corso della sua carriera, forse mai.
Ma con questo tour sicuramente si pone sul gradino più alto del podio.
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L’esperienza mi insegna che se un concerto ti torna su è stato sicuramente un buon concerto. E le immagini, i suoni, le parole del 30 dicembre 2022 all’Auditorium Parco della musica di Roma, continuano a riecheggiarmi nella mente, come un racconto in divenire che non ha un capitolo finale.
Grazie Daniele, per le intense emozioni.
Roberta Gioberti
Daniele Silvestri live - Roma ph Roberta Gioberti

Daniele Silvestri live – Roma ph Roberta Gioberti

La Maschera live all’Alcazar di Roma: Sotto chi téne o core

Sotto chi téne o core è un’esortazione.
Già, perché quest’organo vitale, il più vitale, quello che segna i battiti, ma non solo, quello che fa la differenza, nella vita, sembra aver perso molte delle caratteristiche che gli sono proprie, oltre un aspetto del tutto fisiologico: il cuore casa dei sentimenti, domicilio dell’empatia, stimolo del coraggio.
Ma cosa vuole dire, nella realtà, averlo, un cuore, sentire di averlo e farsi sotto?
Con un lavoro incredibilmente accurato, tanto nella scrittura dei testi quanto in quella musicale, ce lo dicono Roberto Colella e la sua band la Maschera, di cui vogliamo citare i componenti, perché questo sì, è un vero collettivo: alle chitarre l’eccezionale e plurilaureato Alessandro Morlando, alla batteria il generoso Marco Salvatore, al basso il solido Antonio Gomez, l’eclettico Michele Maione alle percussioni, il delicato, nascosto e potente Vincenzo Capasso ai fiati.
La Maschera ph Roberta Gioberti

La Maschera ph Roberta Gioberti

Una premessa a quanto scriverò, è d’obbligo. Per capire il senso dell’avere un cuore, un concerto de La Maschera va vissuto dal vivo. Se poi si ha la fortuna, come l’ha avuta la sottoscritta, di poter accedere al backstage, beh, allora la pienezza del senso diventa completa. Sei ragazzi in sinergia, non solo sul palco, ma anche underground. Un unicum.
Colella racconta che fu proprio Capasso, quando si incontrarono, a convincerlo a rendere pubblici i suoi brani. E così, al ragazzo del respiro, dobbiamo, probabilmente, una delle più ricche, genuine ed entusiasmanti realtà musicali del momento.
La Maschera nasce a Napoli e con Napoli cresce e si articola in dimensioni sonore sempre più sofisticate, testi commoventi, che non scadono mai nel melenso, impegno sociale, integrazione.
Già, perché Napoli, con tutte le contraddizioni che conosciamo, alla fine diventa sinonimo di integrazione da sempre. Accoglienza è un fatto diverso: si può accogliere mantenendo una diffidenza che crea di fatto un muro, o si può, accogliendo, integrare.
La Maschera ph Roberta Gioberti

La Maschera ph Roberta Gioberti

Napoli molto conosce di emigrazione e di coraggio, come tutto il sud Italia. Se la canzone napoletana di repertorio ha avuto tanto successo nel corso dei decenni, non è solo perché oggettivamente bella, ma perché, ovunque arrivasse, trovava uno scampolo di casa ad accoglierla: persone col fisico domiciliato altrove, ma col cuore residente nella terra d’origine. E questo La Maschera lo racconta assai bene in Amarcord, titolo sicuramente evocativo, come lo è il testo, di emozioni e sentimenti.
Tanti i partenopei accorsi all’Alcazar, ma tanti anche i romani. E, lasciandoci coinvolgere dalle parole di Colella, non distingueremo tra romani e stranieri: l’importante è stato esserci col cuore, senza campanilismi o circoscrizioni di sorta. Dico solo questo, che spero sia significativo. All’inizio cercavo un posto sottopalco, e sono stata guardata con diffidenza: trascorsi 10 minuti, sono stati tutti disponibilissimi alle mie incursioni. E’ questa la barriera che dobbiamo imparare a superare, quella dei 10 minuti di diffidenza, per renderci conto che siamo esseri umani, ognuno col suo bagaglio di cose positive e negative da portare all’altro, e ognuno in cerca di una forma di accoglienza.
La Maschera tutto ciò sa esprimerlo in maniera genuina, in lessico dialettale, ma, si sa, universale, se abbiamo imparato da Pino Daniele cosa fosse la cazzimma.
Non alberga qui di casa,la cazzimma, ed è una bella cosa.
La Maschera ph Roberta Gioberti

La Maschera ph Roberta Gioberti

Insomma, pure se siete altoatesini, non importa: lo sappiamo che il cuore parla un linguaggio universale. Quindi la sola cosa che resta da dire è andàteveli a sentire dal vivo se vi ricapita: troverete sei spettacolari e formati musicisti, e un cuore che batte e non vi deluderà. La prossima data sarà Pisa il 16 dicembre, e poi Napoli il 21. Se ne riparlerà in primavera, e sicuramente con nuovi entusiasmi, con nuove prospettive, con nuove sonorità e attimi di profonda commozione. Nel frattempo ascoltateli: sono un vulcano che erutta amore.
Roberta Gioberti
La Maschera ph Roberta Gioberti

La Maschera ph Roberta Gioberti

 

La Maschera ph Roberta Gioberti

La Maschera ph Roberta Gioberti

 

Alessandro Bergonzoni all’Auditorium Parco della Musica: sulle ali di una riflessione

Nel panorama teatrale nostrano, che vanta nomi di indiscutibile spessore e valenza artistica, ne esiste uno solo che sa trasformare in estasi dialettica il flusso di coscienza: Alessandro Bergonzoni.
Sono decenni che ci incanta come il pifferaio magico, travolgendoci nella scia della musicalità della parola piena di senso, doppio senso, nonsenso, senso travisato o travisabile. E sono decenni che, stregati, seguiamo quella scia, e vorremmo non finisse mai.
E Bergonzoni non delude, si ripresenta puntualmente e mai ripetitivo, a risucchiarci in quella scia verbale, che chiede soltanto di seguirla, con naturalezza. Una sorta di percorso che, attraverso la parola e il suo trasformarsi, scioglie nodi, libera pensieri, li riallinea senza cercare un ordine, solo un filo: quel filo magico che è il suono del pifferaio.
Se il titolo dello spettacolo è Trascendi e Sali (il sale è qualcosa di ricorrente e prezioso nel teatro di Bergonzoni, indispensabile, come lo è quello della terra), la prima cosa che arriva d’impatto a te, seduto in platea, alla vista di una struttura pensile illuminata a toni freddi, è trasalire. Ed ecco che si apre il sipario dell’immaginario, lo sguardo sulla sola parte visibile dell’attore, i piedi, e l’udito rapito dal flusso.
Il segreto per gustarsi in pienezza uno spettacolo teatrale così, è lasciarsi completamente andare, come in una pratica di rilassamento: solo che qui si arriva da zero a cento in pochi secondi, nel monologo si entra con immediatezza, le pareti rugose del cervello si distendono, e tutto scivola, si ferma solo l’attimo necessario alla riflessione, alla risata, all’applauso a scena aperta (tanti sempre), e riparte, rinvigorito.
Bergonzoni ph Roberta Gioberti

Bergonzoni ph Roberta Gioberti

Domande su domande, si parla di noi, ma ancora non sai se di migranti, di crisi, di ingiustizie sociali, di donne e dei loro diritti: tutto viene introdotto insieme, in rapida successione, e poi piano trascende, e tu con lui. E sale, e tu con lui. E poi esplode, ma senza deflagrazione. Esplode sotto forma di rivendicazioni, da dietro un pannello, la sola cosa visiva su cui ti concentri, sono le mani che rubricano tutta una serie di urgenze che esigono risposte.
Battute su battute, che fanno ridere, e tempi del tutto peculiari, che ti lasciano quel momento per pensare “spesso”, denso, corposo.
Così, avanti per due ore: e alla fine il pubblico, che dovrebbe essere esausto, ne vuole ancora. E l’attore ancora si concede.
Tra la prima messa in scena e quella che ha fatto il SoldOut all’Auditorium Parco della Musica di Roma il 6 e il 7 dicembre, c’è stata di mezzo una pandemia, e sicuramente il trascendere si è trasformato. L’osservazione, qualcosa che una pausa forzata dai ritmi di tutti i giorni ci ha obbligati, ha preso peso, è diventata essenza e non solo sguardo: osservare un minuto di silenzio e farlo molto da vicino, diventa un’esperienza quasi mistica. E non mancano le sferzate a certe conduzioni, sferzate al fianco, mai al cuore, come il chiedersi se lavorare e ammalarsi o vivere e non lavorare, tra tanti pappataci, pappa taci Papa Taci, di questa baraonda Bara Onda…per i cucchi che siamo tutti e ancora Cucchi e anche re geni, Regeni: siamo tutti Cucchi e Regeni: il pubblico non trattiene gli applausi.
Sarebbe rimasto volentieri altre due ore, ma non è possibile.
E nel congedarsi dalla magia di una espressione teatrale che non conosce eguali, si allontana sulle ali di una riflessione, come sempre: l’importante non è essere le ali. Ma avere le ali…
Roberta Gioberti

Irene Grandi live al Teatro Olimpico di Roma. Il report del concerto

E’ un’Irene Grandi nel pieno della maturità artistica e vocale, quella che accoglie il numeroso pubblico confluito nella serata di lunedì 10 ottobre al Teatro Olimpico di Roma. Il progetto “Io in Blues” è una forte attrattiva anche per chi non è propriamente fan dell’artista toscana, ma resta incuriosito dal fascino che indiscutibilmente una sfida simile porta con se.
Reduce dalla collaborazione con Stewart Copeland che l’ha vista protagonista in “The Witches Seed” , con la grinta e l’energia che la caratterizzano nelle sue performances, la Grandi opta, nel suo nuovo tour, per un un tributo alle sue radici musicali, e alle radici musicali di tutta la musica popolare contemporanea: al Rythm&Blues.

Irene Grandi @Teatro Olimpico Roma - Ph Roberta Gioberti

Irene Grandi @Teatro Olimpico Roma – Ph Roberta Gioberti

La voglia di mettersi in gioco, di confrontarsi con l’interpretazione di tanti artisti che l’hanno preceduta, grandi nomi della musica internazionale e non, di recuperare un percorso intrapreso anni fa al fianco di Pino Daniele che la volle voce gemella nel brano “Se mi vuoi”, brano che oggi le appartiene a pieno titolo, è tanta; la platea lo sente e si lascia coinvolgere senza difese e scetticismi da questo ambizioso e riuscito progetto, sin dalle prime note di “Why can’t we live together.
Si capisce subito che dietro c’è studio, preparazione, attenzione a qualsiasi sfumatura, grazie a un supporto musicale eccezionale, dato dall’impegno di Max Frignani alla chitarra, Piero Spitilli al basso, Fabrizio Morganti alla batteria e Pippo Guarnera all’hammond. La band ci mette del suo, e restituisce, insieme alla voce rotonda e potente della Grandi, i brani blues di Etta James, Otis Redding, Willie Dixon, Tracy Chapman, Sade, Lucio Battisti, Mina, alcuni brani della stessa Irene, riarrangiati in chiave rock-blues, e ovviamente il già citato Pino Daniele. Ed è forse la sola smagliatura che è possibile trovare in un ordito così bel congegnato quella di inciampare in alcune difficoltà espressive, nell’interpretazione di Quanno Chiove: un piccolo appunto di carattere stilistico, come un’imperfezione su un incarnato perfetto, che mette in risalto il resto.

Irene Grandi @Teatro Olimpico Roma - Ph Roberta Gioberti

Irene Grandi @Teatro Olimpico Roma – Ph Roberta Gioberti

Il momento clou della serata, che vale applausi a scena aperta e una standing ovation è rappresentato dal confronto con Jim Morrison e la scelta di un brano difficile come Roadhouse Blues: resa perfetta tra grandi entusiasmi.
Concerto non lunghissimo ma sicuramente intenso che soddisfa le aspettative e va decisamente oltre: assolutamente da non perdere.

Roberta Gioberti

La scaletta:
Why can’t we live together (Timmy Thomas)
Something’s got a hold on me (Leroy Kirkland per Etta James)
For what it’s worth (Buffalo Springfield)
Little red rooster (Willie Dixon)
E poi (Lo Vecchio/Shapiro per Mina)
Il tempo di morire (Lucio Battisti)
Se mi vuoi (Pino Daniele)
Can I hold you (Tracy Chapman)
Quanno chiove (Pino Daniele)
I just wanto to make love to you (Willie Dixon)
La tua ragazza sempre
Prima di partire per un lungo viaggio – Roadhouse Blues (Doors)
Bruci la città
Finalmente io
Bum Bum
Lasciala andare

Steve Hackett in concerto all’Auditorium di Roma. Il live report

E’ stato un gruppo che ha letteralmente segnato una generazione. Oddio, difficile dirlo, in quegli anni tanti musicisti e tante formazioni hanno segnato la generazione fortunata che ha avuto la possibilità di viverli in contemporanea. Però per i Genesis il discorso fu lievemente diverso. Sì, perché per molti, me compresa, i Genesis nascono nel 1968 e muoiono nel 1975: quando il cofondatore Peter Gabriel uscì dal gruppo, lasciando il ruolo di frontman, e cantante a Phil Collins. Insomma, i Genesis rimasero, continuarono a produrre ottima musica, Phil Collins è stato un personaggio di rilievo nel panorama musicale mondiale, abbandonato pochi mesi fa per motivi di salute con un ultimo commovente concerto.
Eppure per molti non furono più i Genesis.

Steve Hackett live @ Roma ph Roberta Gioberti

Steve Hackett live @ Roma ph Roberta Gioberti

Ora, averli vissuti in contemporanea, durante la prima fase artistica, significa essere nati nel 1950/55 più o meno. E invece non fu propriamente così. Una generazione successiva a quella dei coetanei strettamente intesi, ha avuto come punto di riferimento proprio i Genesis prima maniera, lontani dal sound molto più accessibile che ne caratterizzò la produzione dopo il 1975.
E molta parte di questa generazione la contemporaneità anagrafica con quel gruppo, nel momento in cui si inseriva tra i massimi esponenti del progressive rock britannico non l’ha avuta. Per essere più chiari, un live non ha mai avuto modo di vederlo.
Ora sarebbe lungo ripercorrere le dinamiche che portarono alla spaccatura, per altro mai artisticamente risanata, del gruppo. Gabriel intraprese con un successo e una popolarità indiscussi, la carriera da solista, creando veri capolavori, addentrandosi in un lavoro di ricerca, di collaborazioni, di impegno anche politico.

Steve Hackett live @ Roma ph Roberta Gioberti

Steve Hackett live @ Roma ph Roberta Gioberti

I Genesis da A Trick Of The Tail in poi approcciarono al pubblico in maniera più orecchiabile, anche se sempre con un sound di altissima qualità. Da Duke in poi, proprio dopo l’uscita di Hackett che rappresentò la soluzione totale di una qualsiasi forma di continuità con il progressive, virarono decisamente al Pop. E il pubblico fu diverso, generazionale, attaccato a quella contemporaneità. Ma chi ha amato Foxtrot o Nursery Crime, è rimasto ancorato a quei Genesis. Non ci fu un dopo. Si trattò di un’omonimia.
La scelta di Steve Hackett, ultimo filo di seta che lega ad un ricordo e a delle suggestioni, di riproporre, con arrangiamenti addolciti, il repertorio delle origini, è stata, a mio avviso una scelta sicuramente vincente dal punto di vista emotivo.

Steve Hackett live @ Roma ph Roberta Gioberti

Steve Hackett live @ Roma ph Roberta Gioberti

Per i molti che li hanno amati e ancora li amano, e per i quali, come dicevo, non è stato mai possibile assistere ad un’esibizione dal vivo, per una questione di tempi, il concerto del 30 luglio a Roma si è trasformato in una specie di sogno realizzato. Certo, manca la voce di Gabriel, e la sua teatralità interpretativa, potente e mai eccessiva, con cui, per quanto oramai contestualizzato, Nad Sylvan non è in grado di competere; ma non lo sarebbe chiunque. Manca Phil Collins, con il suo ritmo calibrato e brillante, mancano molte cose che un tempo si sarebbero trovate. Ma l’impatto è forte, e la Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, vibrante di emozione. Un Hackett assolutamente padrone di sé, sereno, empatico, paziente quando, su Robbery per un guasto tecnico la chitarra si è dovuta fermare per buoni cinque minuti, e lui con lei. Ma la musica è andata avanti, senza interruzione.
Applausi a scena aperta, dieci minuti di standing ovation, un pubblico decisamente datato tornato adolescente.
Penso davvero che a un concerto non si possa chiedere di più .

Roberta Gioberti

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“I concerti nel Parco – Summer Time”: le suggestioni di Suzanne Vega

Gli anni ‘80 hanno rappresentato un momento particolare nel panorama musicale mondiale. Sono stati sicuramente anni in cui proporsi alla maniera cantautoriale, raccontando storie malinconiche con l’aiuto di una chitarra e poco altro richiedeva coraggio. Un coraggio che Suzanne Vega ebbe, e vide giustamente premiato.
Nata in California, ma cresciuta nei sobborghi portoricani di New York, sarebbe stato forse più facile per lei restare suggestionata e influenzata da un sound di rottura. Punk, Rock, Rap. Invece questo non accadde, e quella esile e diafana ragazzina riuscì ad imporre all’attenzione del mercato il suo modo di fare musica, essenziale, da folksinger un po’ in ritardo sui tempi.

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Sicuramente molto influì nelle sonorità la prima Joni Mitchell, mentre per quello che riguarda la poetica, prevalse una visione abbastanza descrittiva degli aspetti della vita di tutti i giorni. Il racconto di quello che ci circonda, dei momenti più ordinari e apparentemente insignificanti del quotidiano, trasformato in poesia, attraverso versi essenziali e minimalisti. Gli sguardi di Tom’s Diner, la storia nascosta e dolorosa di Luka, gli oggetti che riflettono le anime delle persone in Night Vision. La solitudine, una specie di spettro, un’ombra sulla porta, pronta a voltarsi se qualcuno arriva, in Solitude Standing.
Qualcosa di fuori moda, piatto, privo di fronzoli, essenziale, molto lontano dai luccichii, dal glam, dal divismo, dal pompaggio spesso voluto dalle case discografiche in quegli anni, eppure qualcosa che seppe farsi apprezzare al punto da arrivare a ottenere una visibilità internazionale di considerevole impatto: un’oasi di pace in mezzo a tanto rumore.

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

E’ un poco questa la Suzanne Vega che ritroviamo sul palco della Casa del Jazz, ospite della rassegna “I concerti nel Parco – Summer Time”: 63 anni meravigliosamente portati, in versione acustica, voce e chitarra, accompagnata da un ottimo Gerry Leonard (già collaboratore di David Bowie), intrattiene incantevolmente una platea accaldata ma attenta, con il timbro di voce magnetico che da sempre la caratterizza.
Poca coreografia, molta empatia, una lieve brezza emotiva che va a toccare i cuori, e in qualche maniera porta serenità.
A Ottobre del 2020, per dare il suo contributo al mondo della musica, messo così duramente alla prova dalla pandemia, la cantautrice Statunitense si è esibita in streaming dal Blue Note Jazz Club di New York. Un evento importante, simbolico, durante il quale è riuscita a riunire circa un centinaio tra musicisti, operatori, e organizzatori mondiali, ed ha presentato il suo album più recente, An Evening of New York Songs and Stories che ripropone i suoi grandi successi. E’ da questo album che è tratta la scaletta proposta al pubblico romano, con una piccola sorpresa sul bis: una Walk on the Wild Side, che commuove tutti.
Mentre Ultimo al Circo Massimo richiama circa 70.000 persone, in un piccolo spazio sonoro, si fa musica in delicatezza. E mai suggestione fu più evocativa di un incipit di carriera su cui avrebbero scommesso in pochi.

Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

 

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