I Colori del Jazz: Zanisi, Ponticelli e Paternesi artigiani del suono

Ph © Luigi Maffettone

Ph © Luigi Maffettone

Si è tenuto lo scorso 21 marzo il secondo appuntamento musicale della rassegna “I Colori del Jazz”. Protagonisti del palcoscenico dell’Auditorium Salvo D’Acquisto di Napoli Enrico Zanisi al pianoforte, Francesco Ponticelli al contrabbasso ed Alessandro Paternesi alla batteria. Tre giovani talenti che, grazie al loro ricco e prestigioso background, sia accademico che artistico, hanno saputo calarsi nelle vesti di artigiani del jazz, catalizzando l’attenzione di un pubblico attento ed esigente sulle note di “Keywords”, l’album strumentale prodotto da Cam Jazz e realizzato a sei mani da Zanisi, insieme al contrabbassista americano Joe Rehmer e ad Alessandro Paternesi.

Enrico Zanisi Ph © Luigi Maffettone

Enrico Zanisi Ph © Luigi Maffettone

I primi brani proposti sono “Recitativo” e “Power Fruits”: la prima composizione è leggera e vellutata, l’intento dei tre musicisti sembra quasi quello di voler disporre tutto il necessario per lasciare che l’animo possa distogliersi da qualsiasi altro pensiero. Nei volti di Enrico, Francesco e Alessandro s’intravede un’intima connessione con il flusso delle note, sguardi, gesti e mimica facciale sono un tutt’uno con il ritmo, ogni movimento è necessario a quello successivo. Con “Power Fruits” il sound è più fluido, il contrabbasso fa da spina dorsale ad un pianoforte nevrotico che coinvolge e veicola gli isterismi della batteria, fino alla chiusura che, in maniera ciclica, sigilla il vortice dell’intro. Solenne ed intimista è l’apertura di “Ou revoir”: Zanisi si accartoccia su se stesso mentre il denso fluttuare delle bacchette di Paternesi disegna un inaspettato crescendo tonale, per poi lasciarsi andare ad un delicatissimo ultimo affondo.

Francesco Ponticelli Ph © Luigi Maffettone

Francesco Ponticelli Ph © Luigi Maffettone

Breve, intenso e corposo è “Claro”, seguito da “Corale”, che lo stesso Zanisi introduce come “intervento atavico”. L’enigmatica eleganza di “Beautiful lies” è incorniciata da toni grevi e drammatici, note tortuose e decise conferiscono una potenza virile al brano che, tuttavia, si lascia sedurre da un finale latineggiante. La costruzione manuale del suono e la maniacale cura del dettaglio emergono in tutta la loro preziosità in “Equilibre”, un brano dotato di un corpus altisonante. A seguire “Magic numbers”, scandito, nota per nota, con un’attenzione a tratti anacronistica. L’ultimo brano, prima del bis, è la travolgente  “Traumerei” di Robert Schumann  che, sorniona e lasciva, invoglia i tre ad improvvisare un travolgente botta e risposta strumentale finalizzato a cesellare i rifinimenti di una serata d’arte.

Raffaella Sbrescia