Jethro Tull live a Roma: a spasso nel tempo in un crescendo virtuoso

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“I vostri saggi non sanno cosa si prova a sentirsi scemi come come mattoni”
Era un must imperdibile questo ritornello, una trentina di anni fa. Quando, nel panorama del progressive più articolato e ben congegnato, i Jethro Tull ponevano le loro pietre miliari. Scozzese l’anima in kilt del loro leader Ian, britannica la raffinatezza del sound, maschio e denso di struttura musicale.
Naturalmente all’Auditorium decidi che valga la pena non perderseli, e ci vai, per quel sold out programmato alle otto di sera. Ha inizio una cena tra “anziani”, con il vecchio folletto saltellante, oramai calvo e del tutto normalizzato nell’aspetto, tra il pubblico romano che ancora arriva con i propri tempi. Che qui, alle nostre latitudini, le otto di sera sono l’ora della merenda.
Forse per questo l’incipit è tiepido, e su “locomotive breath”, un poco il sospetto che non sarà il concerto che ti aspetti ti sfiora. “Quel” corpus storico della band si è oramai perso, e giovani musicisti supportano il maturo Anderson, non più scoppiettante come ai tempi del kilt. E così attraverso le note della Bourrée, Living in the Past, Heavy Horses, Wind-Up, John O’Hara alle tastiere, David Goodier al basso, Florian Opahle alla chitarra, Scott Hammond alla batteria portano a termine un primo atto musicale che riecheggia più nel cuore a dire il vero che nelle orecchie. Anche perché, c’è da dire, questi concerti andrebbero vissuti sotto un palco e non di fronte ad un palco. Una pausa di 10 minuti, e la musica ricomincia, ma con note ben più elettrizzanti. Aqualung, e il pubblico rumoreggia divertito ad un assolo di chitarra a dir poco entusiasmante, uno Ian che sembra una molla, un crescendo di ritmo virtuoso, una struttura scheletrica imponente. Il Flauto, la vera arma vincente, volteggia in aria, accattiva gli sguardi e le orecchie, brilla dei riflessi della luce ben calibrata dell’Auditorium, e la Santa Cecilia Esplode.
Continua con il meglio della produzione del gruppo, questa meravigliosa perla musicale, e si conclude con Thick as a Brick, pubblico in delirio, standing ovation, e quella bella sensazione di essere appartenuti ad un’epoca musicale unica ed irripetibile.
Peccato per chi è venuto dopo, peccato per chi non c’era.
Avete mai immaginato cosa si provi ad essere “tosti” come mattoni? (quel brick che gioca sul bisticcio fonetico e si trasforma in “prick”). Chiedetelo al tosto Ian, che lascia il palco divertito anche lui, con la freschezza del barbuto trentenne che, molti anni fa fu tra i precursori di un genere che diede una nuova veste alla più bella musica classica di tutti i tempi, rendendola, se possibile, ancora più affascinante.

Roberta Gioberti