Pierpaolo Capovilla, pensieri, domande e risposte in “Obtorto collo”, l’album da solista.

PPC_ObtortoCollo_webPierpaolo Capovilla lascia da parte, per un attimo, i rumorismi de Il Teatro degli Orrori e si spinge verso nuovi intimi suoni ispirati a Scott Walker e Tom Waits in “Obtorto Collo”, il disco da solista, pubblicato lo scorso 27 maggio su etichetta Virgin / La Tempesta per Universal Music e prodotto da Taketo Gohara, ad eccezione dei brani “Irene” e “Dove Vai”, co-prodotte da Giulio Ragno Favero. L’album racchiude una serie di riflessioni mirate ad un autobiografismo nazionale. Quello di cui Pierpaolo scrive, servendosi di parole semplici che nascondono, tuttavia, una profonda complessità narrativa, serve per fare il punto su chi siamo, su cosa siamo diventati e in che direzione ci stiamo dirigendo. La forma canzone utilizzata dal cantante-letterato si inserisce in una dimensione intima, privata, risultando scomoda per la valenza contemporaneamente pubblica e politica.

Pierpaolo Capovilla

Pierpaolo Capovilla

Atmosfere scure, notturne, crepuscolari, perturbanti accompagnano la voce profonda di Capovilla che, scandendo le undici storie narrate nel disco, acquisisce, di volta in volta, una diversa caratterizzazione. Anche il titolo “Obtorto collo” ha una doppia valenza: il nostro vivere malvolentieri, nella più totale indifferenza, si oppone ad una condizione esistenziale mirata al riscatto e al cambiamento di una serie di circostanze che non ci stanno bene. Nel tentativo di rappresentare un piccolo e dettagliato affresco musicale dell’Italia ai giorni nostri, Pierpaolo Capovilla, e i 20 bravissimi musicisti che l’hanno accompagnato in questa avventura, iniziano da “Invitami”, la premessa perfetta per introdurre tutto il disco:  “Invitami/invitami da te/nel tuo spazio/nella tua vita. Io vorrei dirti cose che non dico mai ma che vorrei tanto dire, pensare, sperare, ogni giorno”. E ancora: Io non ho paura/me ne frego della gente, di ciò che crede o pensa di sapere dello schifo che hanno nell’anima, nei loro cuori di cane abbaiano/abbaiano e basta. Il sound sinistro, poetico, doloroso lascia che l’ascolto si soffermi sulla voce, sulle parole, sullo stile parlato, spiegato, raccontato di Capovilla. Nuvole scappano vie come profughi ne “Il cielo blu”, una canzone in cui l’amore, perso ormai anni fa, è ancora il pensiero fisso di una notte vedova. “Che cosa sono diventato, cosa mai diventerò? E poi perché, perché, perché?”, si chiede il cantautore in “Dove vai”, il singolo che ha anticipato il disco e che, attraverso la commerciabilità di un ritornello che si stampa impresso nella mente, impone degli interrogativi che pretendono risposte: “Dove vai, cosa fai, con chi esci, con chi ti confidi e quando ti confidi che cosa pensi, che cosa senti, che cosa provi?”. Ancora il cielo, imbarazzato per la vergogna, apre lo scenario di “Come ti vorrei”, la descrizione di un desiderio forte, implacabile, indomabile nei risvegli dell’estate,
nelle sere tristi d’autunno, negli inverni del cuore, nelle primavere : “Per quanto io cerchi fra milioni di parole vorrei dirti cose così semplici che… che quasi preferisco stare zitto”. “Irene” è, invece, una canzone dedicata al popolo romanì, ultimo tra gli ultimi in Italia, denigrato a tal punto che questa ragazzina, realmente esistente, dal nome di fantasia, cerca di nascondersi per sembrare uguale agli altri mentre “i pregiudizi sono cosi grandi che li vedi camminare per le strade della città”.

Capovilla-Boglione2Pierpaolo ha voglia di parlare e soprattutto di dare spazio a fatti e vicende che, nonostante la loro abominevole atrocità, si ripetono con tale frequenza da lasciare che la gente ci si possa addirittura abituare. Stiamo parlando del femminicidio e delle terribili vessazioni che le donne subiscono giorno dopo giorno. In “Quando”, Capovilla s’impersonifica, dunque, in una donna omaggiando musicalmente Tom Waits e soprattutto dando voce all’incubo quotidiano delle donne: “Ma quando un uomo è come te le speranze diventano incubi giornalieri/i sogni si infrangono in questi quartieri e, alla mestezza e al chiarore del giorno, subentrano notti cupe e piovose ti viene voglia di morire. Perché no? Morire”. Magica è l’atmosfera di “Bucharest”, tra i brani più stranianti del disco, un esercizio letterario che nasconde suggestioni narrative versatili e libere da approcci individualistici. Il brano più drammatico in assoluto è “Ottantadueore”, ispirato all’atroce vicenda di Francesco Mastrogiovanni, un uomo inerme e innocente, morto dopo essere stato sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio: “Francesco non aveva niente di male, non aveva alcun male ma è morto lo stesso. Francesco ma in che paese viviamo?” Viviamo del paese del “finchè non capita a me, tutto bene”, viviamo nel paese del “che scendo a fare in piazza”, del “chi me lo fa fare”. Non si sa come siamo arrivati a diventare complici compiacenti di questi assassini, il fatto è che dobbiamo imparare a far valere i nostri diritti, soprattutto quello alla vita, in nome di Francesco Mastrogiovanni e di tutti gli uomini, che come lui, sono morti a causa dell’indifferenza omicida.

“La gente che esiste intorno a noi e che intorno a noi sembra essere felice ma se la guardi attentamente scopri che dietro ai sorrisi e ai convenevoli non vede l’ora di morire ma che intanto vive obtorto collo”, questo è la gente ritratta nella title track “Obtorto collo”. “La luce delle stelle” non è che un’illusione, canta Capovilla, “non c’è più tempo per le idee come ce n’era una volta, ognuno per se – tutti contro tutti, domani in fondo è un altro giorno” fino ad arrivare alla conclusiva “Arrivederci”:Accetto tutto, anche la tua assenza. Che m’importa di queste moltitudini che sciamano nei bar e nei centri commerciali, nei cinema e negli ospedali, negli uffici postali, ogni giorno più nervosi, ogni giorno più stanchi ed ogni giorno più infelici/ma lasciamelo dire ogni giorno più brutti, avvelenano anche te, anche me, anche noi che gli diamo retta. Arrivederci amico mio oppure addio”. Il brano racchiude la cifra narrativa dell’album: lo smarrimento culturale, la disgregazione sociale, l’incomunicabilità relazionale ed il radicato sentimento che non ci sia più niente da fare trova sbocco nelle parole di Capovilla che, con chirurgica attenzione, estrae i nostri mali dal cuore per provare ad esorcizzarli.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Dove vai”