Guido Elmi: un album da “crooner” per il producer. Sogni, tormenti e riferimenti letterari ne “La mia legge”

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 “La Mia Legge” è il titolo del primo album di Guido Elmi, noto produttore musicale di grandi artisti italiani. Distribuito da A1 Entertaiment e artisticamente prodotto, suonato ed arrangiato da Guido Elmi e Vince Pastano (chitarrista di Vasco Rossi e Luca Carboni), il disco, pubblicato lo scorso 22 gennaio 2016, contiene 11 brani, scritti interamente da Guido e ispirati dalle più grandi leggende musicali mondiali. Canzoni dure, intense, fortemente autobiografiche popolano un lavoro intriso di affascinante malinconia e caratterizzato da suoni variegati e finemente curati nel dettaglio. Ecco come ce ne ha parlato lo stesso Guido Elmi.

Intervista

Dopo 30 anni “dietro il mixer”, eccoti davanti al microfono. Cosa ti ha fatto scattare la scintilla per dare sfogo alla tua vena espressiva?

Ho cominciato a lavorare in studio nel 1978 quindi sono molto più di 30 anni. Come vero e proprio produttore dal 1979. La voglia di fare un mio disco l’ho sempre avuta ma prima pensavo di non riuscire a cantare decentemente, a parte qualche canzone satirica per gli amici in vacanza. Poi quando alla fine degli anni novanta ci ho provato seriamente, non mi piaceva la mia voce. Poi improvvisamente poco più di un anno fa ho scoperto che se mi muovevo su tonalità più basse  e uno stile da “crooner” ce la potevo fare.

Belli, variegati e curatissimi i suoni. Quali sono le influenze, le scelte e le suggestioni che si celano tra le trame delle melodie?

E’ un mondo vastissimo che viene da lontano. Da Dylan a Leonard Cohen, dagli Steely Dan ai Little Feet. Dai Manassas di Stephen Stills a Neil Young. Poi Johnny Cash, Tom Petty e Bryan Ferry. Per arrivare ad oggi coi The Sins of Thy Beloved, Katatonia, My Dying Bride e Anathema. E poi ancora The War on Drugs, Adrian Crowley e Mark Lanegan. Ma l’elenco di chi mi ha influenzato è sterminato e qua e là nel cd c’è tutto il mio mondo pieno di ascolti notturni, in auto e in ogni luogo dove sono solo. La musica è una compagna perenne. Anche il jazz e la musica classica lo sono e parecchio.

Il disco contiene 11 brani scritti interamente da te in puro stile singer-songwriter. Cosa racchiudi in queste “frustate di vita intensa”?

Credo l’album racchiuda con sincerità le cose belle e brutte della mia vita. Gli errori e le cantonate che ho preso. I fallimenti. Gli amori che credevo eterni. E anche una certa incapacità di amare veramente. Le illusioni e la mia vera compagna: la malinconia. L’artificio, l’orrore dietro la maschera, le dee del passato, le musiche terribili del silenzio, le vestali scalze, gli animali immondi, il coacervo dei desideri inconfessabili, l’appagamento non pago… Tutto mi ha reso la vita fortunata e infelice.

Ti sei definito “un tormentato incauto e romantico, decadente e velleitario che si ciba della malinconia, dal carattere sensibile ma anche determinato”.  Potresti argomentare e motivare nel dettaglio questa definizione di te stesso?

Tormentato sicuramente. Mi tormento anche quando devo prendere un treno. Mi spaventa sempre il “prima” delle cose, quello che potrebbe accadere ma che non si sa ancora come andrà a finire. Quando invece devo affrontare un problema reale allora cambio e divento efficiente, determinato e risolutivo. Quest’attitudine al tormento non la porto sul lavoro o in mezzo alle persone: è tutta dentro di me. Incauto e velleitario perché a volte mi butto in cose che non hanno speranza ma che testardamente cerco di portare a termine ugualmente. Romantico e decadente deriva dalle mie passioni letterarie che sono tutte orientate in quel senso. Poi ascolto Schumann, Chopin e tanti altri che non sono proprio esempi di musica d’intrattenimento.

“La mia legge” dà il titolo all’album ed è il brano dalla lirica più dura e prorompente di tutto il lavoro. Cosa ci comunichi in questa canzone e con quale prospettiva?

Credo senza prospettive. Comunico un amore tradito in modo totale e crudele. Comunico la disperazione di chi, tradito, si rifugia nel nichilismo più nero e senza speranza. E butto giù frasi che rappresentano stati d’animo che forse, in modo non così estremo, tutti hanno vissuto. Specie quando finisce un amore per colpa di un’altro o di un’altra che ti ha illuso fino a pochi attimi prima. “E cosa dovrei fare di te adesso se questa è l’unica occasione di vita che ho, se nessun Dio veglia più su di noi…” Non c’è più rifugio, redenzione… Alla fine devo uccidere. Simbolicamente.

Quali sono i riferimenti letterari e musicali presenti nel disco?

Molti sono i riferimenti letterari presenti nell’album, anche se, a parte la citazione diretta di Baudelaire ne Il Re del Bosco, rimangono abbastanza nascoste.  Cito ad esempio “l’eleganza come scienza” rubata a Balzac o il “nessun Dio veglia più su di noi” del cui significato sono sicuramente debitore agli scritti di Nietzsche. Qua e là si può avvertire l’influenza di Lautréamont, J.K. Huysmans, Nerval, Cioran, Dostoyevsky e Bret Easton Ellis. Musicalmente posso dirti chi ascolto e a chi in qualche modo mi sono ispirato. Sicuramente Bob Dylan, Leonard Cohen, Johnny Cash, Nick Cave, Neil Young, Mark Lanegan e Steve Von Till ma anche Adrian Crowley e tanti altri cantautori americani e inglesi.

Tutto è cominciato da “Se la notte”?

Se la notte è il brano che mi ha spinto ad andare avanti. Una canzone che ho scritto per una donna che mi faceva sempre aspettare. E’ venuta spontanea e quando Vince Pastano l’ha sentita l’ha voluta incidere subito. Dopo ne ho scritte altre e ho anche rielaborato quelle che vengono dal passato.

In “It’s a beautiful life” partecipa anche il giovane rapper statunitense Rockwell Knuckles. Come è avvenuta questa collaborazione?

Ho un’amico a N.Y.C. che ha trovato il rapper. Gli ho mandato il file musicale e il testo. Hanno registrato la voce e poi mi hanno rimandato il file. In una notte ho scelto le frasi migliori, le ho montate e poi inserite nel brano.

E’ vero che l’album è dedicato ai tuoi genitori?

La dedica è scritta nella seconda di copertina. Dovevo farlo… si sono sacrificati per me.

Hai lavorato con Vasco Rossi, Edoardo Bennato, Skiantos, Stadio e molti altri… quali sono i più grandi insegnamenti che ciascuno di questi artisti ti ha lasciato?

Non c’è un insegnamento preciso ma tanti insegnamenti e tante esperienze che formano e aiutano la professionalità.

In “Sono un uomo” emerge  la tua grande passione per Chopin. Cosa ti lega al celebre compositore?

Come per tanti altri quello che mi lega a Chopin è la sua musica. Nel suo caso anche la sua vita. Un emozione forte per me  è stata quella di arrivare a Varsavia e vedere un’enorme insegna con scritto: Fryderyk Chopin Airport. Amo anche Richard Strauss, Gustav Mahler, Aleksandr Skrjabin, Debussy, Brahms, Zemlinsky e tanti altri. Il concerto di Vasco del 2015 apriva con un brano di Shostakovich scelto da me.

Romantico e immaginifico il breve brano strumentale che chiude il disco… come mai questa scelta?

Il brano non è altro che una parte della base strumentale di “Sono un uomo” che ho voluto estrapolare per farne una vera e propria suite classica. Due minuti di puro romanticismo musicale. Il titolo, voluto da Beppe D’Onghia (l’arrangiatore), è un omaggio a Chopin.

Hai pensato anche a dei concerti tuoi? Oltre alle tue canzoni, quali altri brani inseriresti nella tua “scaletta dei sogni”?

Spero di fare qualche concerto in piccoli club. E’ ancora presto per decidere perché occorre far combaciare gli impegni miei e gli impegni dei musicisti che vorrei con me. Mi piacerebbe inserire un brano di Piero Ciampi.

 Raffaella Sbrescia

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Video: It’s a beautiful life