Le Furie raccontano che “Il futuro è nella testa”. Intervista

Le Furie - Il futuro è nella testa

Le Furie – Il futuro è nella testa

Trovare l’intenzione, la voglia, il modo e il tempo di esserci, per formarsi, per dire qualcosa in cui credere per primi. Questo è l’obiettivo de Le Furie e del loro album “Il futuro è nella testa”. Canzoni caratterizzate da concetti precisi, idee chiare e una concezione della vita all’insegna della semplicità e dell’eccezionalità, due parametri imprescindibili l’uno dall’altro. Il percorso artistico della band fiorentina de Le Furie ricomincia dunque da qui con la produzione di Davide Autelitano (cantante de I Ministri) e Taketo Gohara, un lavoro artigianale che sposa appieno l’energia del gruppo. A parlarcene nel dettaglio è EDO.

Intervista.

Passate da “Andrà tutto bene” a “Il futuro è nella testa”. C’è una linea di continuità dietro questi lavori

Sì, il messaggio di oggi riprende le nostre prime linee guida anche se in questo caso il nostro è un invito a scegliere il futuro, quello che più ci appartiene. Vogliamo dedicare attenzione a quello che scegliamo per noi stessi.

Quello che scrivete lascia trasparire una chiarezza di idee molto marcata.

Abbiamo aspettato quattro anni e mezzo per far uscire questo disco. Abbiamo aspettato che le canzoni non fossero più annebbiate, che fossero mature e pronte per far sì che potessero realmente rappresentare quello che avevamo intenzione di dire. Autocritica e autoironia sono le armi che usiamo nella nostra battaglia esistenziale.

Secondo te perché la gente ama prendersi tanto sul serio, questo è uno dei punti chiave che toccate nel disco, tra l’altro.

La cosa più divertente e avvilente allo stesso tempo è che ci prendiamo sul serio per cose banali e poi ci sono cose che necessitano davvero di attenzione ma non riusciamo a prenderle in considerazione. Nell’ambito musicale, la serietà sta nell’autocritica e nel saper capire quando è il momento di esporsi e quando, invece, è ancora il momento di lavorare. Il lavoro del musicista deve essere veramente artigianale, c’è bisogno di sperimentazione e di esercizio, sia tecnico che spirituale per raggiungere l’effetto sperato. Un buon artigiano, in ogni caso, non si prende mai sul serio, fa soltanto il suo lavoro e lo fa per bene. La scelta deve essere dettata dalla dedizione.

A proposito di esercizio quotidiano, come avete lavorato alla produzione di questo lavoro visto che siete abituati a collaborare con produttori top di gamma?

La fortuna aiuta gli audaci. Noi l’abbiamo avuta nel lavorare con Taketo Gohara, nostro padre guida. Questo disco è stato prodotto da Davide Autelitano, cantante de I Ministri, ovvero la persona giusta per portarci in studio in maniera armonica.

Diverte e avvilisce al contempo la definizione di “Artisti da fast food”.

Al giorno d’oggi gli idoli dei giovanissimi vengono spesso osannati e poi vomitati poco dopo il loro esordio artistico. La figura dell’artista deve essere totalizzante; si è persa la dedizione, la consapevolezza del dover soffrire, pochi lo fanno, serve la gavetta, il lavoro autentico, altrimenti si verrà fagocitati dal sistema un po’ come quando si va al Mc Donald’s o da Burger King.

Interessante il mea culpa generazionale di “Camerieri”.

Siamo gli artifici delle nostre miserabilità, la colpa è sempre nostra. Lo stesso vale anche sul piano artistico: se scegli di fare un disco di canzoni brutte, lo scegli tu e ne paghi le conseguenze. Anche io ho fatto il cameriere, proprio per produrre e stampare questo album, a volte è capitato che spendessi quei soldi per pagarmi da bere, a quel punto il rischio è scegliere un lavoro in grado di autoalimentare il proprio disagio e non ci si può più lamentare.

In che modo concepite i concetti di semplicità e di eccezionalità?

Le cose che contano sono come le lettere a e b, le altre sono tutte superflue. Stiamo perdendo la semplicità di vivere, apprezzare e condividere le cose in modo diretto ed essenziale. D’altro canto ognuno di noi dovrebbe cercare dentro se stesso la propria peculiarità. Sarebbe bello se ciascuno scegliesse di puntare sulla propria voce invece di mettersi in fila per far parte di una massa. L’essere umano deve essere rivalutato come individuo pensante. L’obiettivo quindi sarebbe quello di cercare di costruirsi un futuro con queste prerogative. Si tratta di concetti che trascendono dalle ideologie, sono scelte da fare innanzitutto per se stessi.

E poi c’è l’impatto emotivo di “Confido in te”.

Questo è un brano tecnicamente difficile. Un tempo in 5/4 che ha reso complesso l’inserimento delle parole per il testo e che ha richiesto molto lavoro. Il brano è incentrato sul tema dell’amore per un’altra persona, inteso come risorsa a cui fare riferimento in ogni momento. Aggrapparsi all’altro diventa quindi un modo salvifico per affrontare le difficoltà e le proprie miserabilità.

Come vive il vostro pubblico questo modo di pensare così controcorrente?

Ci interesserebbe sapere cosa pensano ma in realtà non dobbiamo neanche preoccuparcene troppo. D’altronde nemmeno io vorrei mai conoscere davvero i miei idoli musicali. Quello che ci auguriamo è di vivere la dimensione umana come facciamo adesso e di dare un senso sempre migliore a quella artistica. Del resto i più grandi artisti ci hanno insegnato che bisogna sempre considerare fino a un certo punto quello che viene richiesto, il senso dell’arte sta nel cercare di dire, comunicare ed emozionare attraverso le proprie emozioni. Questo è quello che vogliamo imparare a fare.

 Raffaella Sbrescia

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