Lorenzo Fragola riparte da “Bengala”: “Ho lasciato da parte i super produttori per cominciare a crescere”

Lorenzo Fragola - Bengala

Lorenzo Fragola – Bengala

“Bengala” è il frutto di un lavoro durato diverso tempo. Un tempo che Lorenzo Fragola si è voluto prendere con l’obiettivo di cercare una sua dimensione, una personale consapevolezza. Il fulcro di questo suo nuovo percorso è stato cercare di capire che tipo di artista voler essere e che musica voler fare. Lorenzo si spoglia del suo personaggio, sceglie di ricominciare daccapo seguendo la prospettiva di ricongiungere il personaggio televisivo con la persona. Ci vuole coraggio per capire cosa voler raccontare alle persone e con “Bengala”, anticipato dal singolo “Battaglia Navale”, ci sono 10 brani inediti a fotografare la ricerca di questa nuova direzione che Lorenzo ha intrapreso insieme a Federico Nardelli (a lui la cura di Lontanissimo, SuperMartina, Vediamo Che Succede, Miami Beach, Imbranati, Bengala), MACE (producer di Battaglia Navale, Cemento), SRNO (Echo) e Fausto Cogliati (Amsterdam).

Intervista
Ho girato molto in Italia e all’estero, sono andato ad Amsterdam con l’obiettivo di scrivere ma anche i viaggi di piacere mi hanno dato qualche spunto per chiudere dei brani. Ho scritto tante canzoni, ne ho scelte solo 10, il disco inizia con “Battaglia navale” e finisce con “Bengala”, inizio e fine coincidono con i limiti dettati dalla voglia che avevo di raccontare quello che ho fatto per cercare la mia strada.

Quali sono le conclusioni a cui sei arrivato grazie a questo lavoro?

Non ho voglia di fare altro che non sia quello che mi rappresenta. Prima di X Factor non avevo nemmeno pianificato di voler fare questo lavoro. Il primo brano scritto in italiano l’ho portato istintivamente a Sanremo ma non avevo idee nè strumenti per farlo. Ora ho strumenti per muovermi e con questo lavoro in solitaria sono cosciente della visione di un progetto di cui sono produttore. Scrivere un album in italiano è stato difficile, prima ero affiancato da autori che mi spingevano a cavalcare l’esigenza del momento. Quelli erano i miei primi tentativi di esprimermi, ogni volta speravo di poter fare un piccolo passo in avanti per crescere. I super producers pensano a cavalcare l’onda di un percorso televisivo, non creano l’identità di un artista, ho rifiutato un tour e la tv, ho rinunciato ai soldi e alla visibilità perchè non mi permettevano di crescere, ho scelto questa via perchè ho voglia di mettere insieme nuovi tasselli in grado di darmi una precisa identità.

Com’è cambiato il tuo approccio alla musica?

Il mio approccio alla musica ora è completamente diverso, “Battaglia navale” l’ho scritta due anni fa quando ancora suonava come qualcosa di completamente nuovo. Questo brano mi ha dato la forza di iniziare e di mettermi in gioco all’interno di un percorso con cui rischio di bruciarmi. Ho abbattuto i limiti, prima l’unico termine di paragone che avevo si è trasformato in una voglia di dire qualcosa che mi rispecchiasse.

Qual è il più grande risultato raggiunto finora?
Ho sviluppato delle vere competenze musicali, non mi sono fermato davanti alle distinzioni di genere, ho scelto ciò che ritenevo giusto e autentico sperando che chi mi ascolterà potrà ritrovarsi in questo tipo di pensiero. Non ho messo freni a quello che sento di voler essere, non ho più i filtri che prima usavo come protezione. Ho affrontato questo percorso da solo, ho voluto essere sincero con me stesso, non ho più intenzione di scendere a compromessi.

C’è stato uno strappo vero e proprio?

Sì ed è stato essenziale. L’importante è stato recuperare la serenità ed un rapporto pacifico con ciò che faccio. Trovo che sia giusto fare qualcosa che mi rappresenta, gli strappi creano fragilità ma fare delle cose senza capire chi si è mette comunque in crisi. Avevo voglia di fare quello che mi era proibito, solo così potevo crescere. Se mi fossi fermato a quello che il mio personaggio prevedeva non so che tipo di passi in avanti avrei potuto fare.

Uno dei brani più particolari è “Cemento” in cui canti con Mecna e Mace.

Il brano è venuto fuori esattamente così come è scritto. Con Mace eravamo partiti dalla chitarra. Questa è la prima volta che uso un riff di chitarra elettrica. Con Frah Quintale ho scritto la prima parte, volevo che la storia continuasse senza interrompersi quindi invece di comporre due singoli, ho preferito unire tutto in un unico flow. Il pezzo dura 6 minuti ed è tutto da ascoltare, dall’inizio alla fine. Gli accordi armonici sono gli stessi però l’influenza di mondi diversi ha influito sulla percezione del brano. Si tratta di due versioni della stessa storia: nella prima parte questa persona parla di quello che vorrebbe dire ma non dice mentre nella seconda parte c’è il superamento della rabbia. Il brano deriva dalla perdita e dalla modifica di tanti rapporti personali che ho perso e riacquisito.

Video: Battaglia Navale

E della collaborazione con Federico Nardelli, in arte Gazzelle, cosa ci dici?

Questa è stata una scommessa per entrambi. Fino ad un anno fa non aveva mai prodotto un disco pop, non è stato facile farlo digerire, dire no ai super big. Parliamoci chiaro, un mese a Los Angeles non mi sarebbe mai bastato. Nardelli ha avuto la voglia di abbracciare un ruolo e buttarsi a capofitto in questa esperienza. L’ho dovuto convincere che fosse lui la persona giusta, siamo partiti dalle sessioni di scrittura; questa è stata la scelta più naturale per me, con tutti i limiti del caso. Lui è la persona più vicina a questo discorso non chi pensava di sapere cosa fosse giusto per me. Ho dovuto prendermi la responsabilità di portare a termine il progetto e adesso mi sento più ricco.

Quali sono le più grandi soddisfazioni che senti di esserti preso?
La più grande me l’ha data Enrico La Falce che ha mixato il disco. Lui non si aspettava certi risultati da parte mia. Mi sono messo alla prova su tutto, ho rispettato il momento e l’emozione. Questo disco è stato il passaggio propedeutico per sviluppare delle competenze e confrontarmi con me stesso. La competenza principale che sento di aver conquistato è stata scrivere un album in italiano da solo e senza autori. Mi serviva per non tornare sul palco a cantare solo brani scritti da altri, oggi non ce la farei.

Mi metteva in crisi il fatto che le persone non capissero la mia ricerca, a 22 anni non avrei mai fatto il teen pop. Dopo aver ascoltato questo disco per la prima volta ero terrorizzato, mi sentivo anche in imbarazzo per i brani vecchi, mi sono chiesto il perchè. Essere da solo crea fragilità, insicurezza ma mi serviva per riacquisire consapevolezza. Prima mi sono odiato, ora mi riabbraccio e mi rassicuro. Non mi sono goduto niente, ho vissuto tre anni di non vita, ero frustrato dal fatto di non essere riuscito a crescere, ora sono qui a vivere il rischio ma con la sicurezza di sapere chi sono, cosa faccio e come lo faccio.

Raffaella Sbrescia

Una vita in capslock è il mio manifesto. Parola di M¥SS KETA

Myss Keta

Myss Keta

“UNA VITA IN CAPSLOCK” è il titolo del nuovo album di M¥SS KETA, in uscita il 20 aprile per Universal Music, con la collaborazione de La Tempesta. Senza volto ma con una identità precisa da portare avanti, questa è la prima vera avventura discografica di M¥SS Keta.

Ecco cosa ci ha raccontato.

I tuoi singoli sono sempre stati slegati da un progetto unitario, cosa ti ha portato a concepire il tuo primo full lenght “UNA VITA IN CAPSLOCK”?

Questa necessità si è fatta sempre più forte e vivida fin dalla pubblicazione di “Carpaccio ghiacciato”. Dopo aver realizzato 5 brani legati tra loro, mi è venuta voglia di lavorare a un album che fosse compiuto in sè, ho sentito la spinta per evolvermi e comporre un progetto più completo.

Senti che il tuo personaggio sia più popolare a Milano rispetto ad altri luoghi d’Italia?

Penso che da “Carpaccio ghiacciato” in poi si iniziato un distacco dal luogo fisico e quindi da Milano nello specifico. Credo che con queste premesse, l’album possa avere la forza per ambire a qualcosa di più.

Come spiegheresti la scelta di questo titolo così scenico?

Lo avevo nei cassetto da anni. M¥SS Keta parla, scrive e vive in capslock. La titletrack è una vera e propria dichiarazione. Un testamento per sfuggire alla quotidianità dell’era post-moderna. Nei miei testi uso l’eccesso, l’ironia e la satira per evadere da questa realtà e viverla con altri occhi.

Cosa percepisce della realtà M¥SS Keta?

Non credo che la realtà cambi molto all’esterno, cambia piuttosto il modo con cui la si guarda. La mia percezione la racconto nei miei brani, stavolta parto dall’esterno per rivolgermi ad una dimensione interiore, è cambiato l’approccio personale.

Come vivi la concorrenza?
Non credo di avere concorrenti diretti o indiretti. Personalmente trovo che il Pagante stia uscendo fuori in modo geniale, sulla stessa scia c’è Rovazzi. Il mio è un discorso a se, la mia etica e la mia poetica sono molto diverse dagli altri. M¥SS Keta non è mainstream, al momento mi interessa assecondare la parte istintiva.

Cosa rispondi a chi ti accusa di scegliere contenuti trash?
Le accuse sono vere. Spesso parlo di trash, sesso, droga. Perchè altri colleghi maschi non vengono tacciati di questo? Non credo di dire cose peggiori di loro.

Parliamo invece delle sonorità sperimentali che hai utilizzato in questo album.

Mi segue da vicino Riva, mio principale produttore e curatore. Siamo super fanatici di certi generi di nicchia, fidget house, sonorità e click precisi. Abbiamo voluto fare quello che ci piaceva senza seguire mode, ci siamo messi a esplorare certi tipi di mondi, chiesto aiuto a produttori esterni. Abbiamo fatto un esperimento con gli Zeus che si sono prestati con il cuore. ll senso di tutto questo percorso è stato seguire i nostri istinti. Da una parte c’è il gioco, dall’altra la routine quotidiana, ad amalgamare il tutto c’è l’ispirazione che arriva in serata, quando avvengono aneddoti irresistibili che si amalgamano in una forma canzone.

All’interno del disco, le tracce mettono in evidenza una sorta di ascesi interiore, in che modo avviene questo processo?
La metafora degli inferi viene scandita da due intermezzi che dividono il disco in 3 parti. La prima descrive il mondo esteriore, la contemporaneità del mondo esterno, la seconda comincia a scavare nel mondo interiore con dei suoni più sperimentali es. “Spleen queen”, “La scimmia è pazza” infine c’è la risalita verso una sorta di paradiso claustrofobico/artificiale.

A proposito della scimmia, riportata anche in copertina, che ruolo ha all’interno del disco?

La scimmia è l’animale guida dell’album e rappresenta la parte irrazionale dell’uomo. La metafora rivela una mutua influenza tra razionalità e irrazionalità.

Come evolve il mondo personale di M¥SS Keta?

Per natura il mio progetto è sempre stato legato al mondo clubbing e gay, man mano che mi sono confrontata con questi temi, ho approfondito questa realtà e mi sono avvicinata ai valori del femminismo. La cultura del clubbing è ricca di valori, ci si traveste per esprimere chi si è davvero, ci si mette una maschera per esprimersi al 100%, ci si libera dalle gabbie dell’individualità e si ha modo di riflettere in maniera profonda. Allo stato attuale siamo in una posizione in cui c’è bisogno di liberarsi dalle catene e dalla definizione di maschio alfa, dobbiamo unirci per liberarci dalle gabbie.

Perchè ti copri il volto?

Diciamoci la verità, non ho inventato niente. Le maschere si usano fin dal teatro greco, trovo che in mondo in cui la gente vuole solo mostrare il proprio volto con un selfie, la maschera possa mettere in luce un discorso culturale interessante. Si tratta di una scelta mirata a far riflettere.

Video: Stress – M¥SS Keta

Come incroci la tua rocambolesca vita e quella di M¥SS Keta?

Myss è nata così, tutte le cose che le sono successe l’hanno portata a cantare. Finisco da tempo in cose matte di cui la gente vorrebbe che non parlassi, tutto questo vivere ha portato a far parlare di M¥SS Keta.

In base a quanto detto finora, come vivi e organizzi i tuoi live show?

Mostrarmi sul palco così come sono mi libera dalla quotidianità e dalle relative paure. Il mio live è molto punk, scandito da un dj con delle basi e da me al microfono. Pian piano abbiamo iniziato a raffinarci portando le ragazze di Porta Venezia sul palco, abbiamo aggiunto dei visuals con il supporto di tutto il tema di Motel Forlanini.

Come affronti le critiche?
Le uniche che mi piace leggere sono quelle relative alla mia musica perchè questo implica un giudizio sulla mia forma di espressione. Quelle che invece riguardano il corpo, mi fanno capire soltanto che chi parla, non sta ascoltando il mio prodotto, sta guardando tutt’altro. In ogni caso il mio espormi mi ha anche forgiato nel confrontarmi e abituarmi a certi tipi di critiche.

Raffaella Sbrescia

L’#UVIC TOUR prenderà il via giovedì 19 aprile dai Magazzini Generali di Milano, la città che l’ha vista nascere. Dopo Milano M¥ss Keta sarà il 20 aprile allo Smav di Caserta, il 30 aprile al Monk di Roma, Il 4 maggio al Locomotiv di Bologna, il 5 maggio al The Cage di Livorno e il 26 maggio all’Eremo club di Molfetta (Ba). Il tour è organizzato da DNA Concerti.

 

 

Modeselektor a Milano: tutto pronto per il dj set ai Magazzini Generali

odeselektor

odeselektor

Insieme ad Apparat formano i Moderat. Ora i Modeselektor tornano in mood solitario in occasione dell’imminente arrivo di Modeselektion e del breve tour che prenderà il via dai Magazzini Generali di Milano il 20 aprile. Nel bel mezzo degli eventi legati alla Design Week l’appuntamento con l’avanguardia sonora si presenta promettente e lusinghiero. La data zero, com’è noto, è un appuntamento pensato per testare il set up, capire punti forti e debolezze di una macchina da oliare e ottimizzare al meglio. Ecco perchè gli esperti dj berlinesi scelgono la capitale meneghina per affidarsi al buon gusto diffuso in tal senso. Il fulcro della loro dimensione sonora sono i bassi, l’atmosfera fredda, cupa, a tratti tetra, perturbante che sono i rave delle fredde capitali del nord sanno creare. Modeselektion Vol. 04 uscirà il primo giugno per Monkeytown e Ninja Tune in formati di quadruplo vinile, doppio CD o digitale, curiosi i titoli “Watercolour Challenge”, “Cosmopolitanism”, “Metaxas Carnival” da cui si può intuire che la voglia di oltrepassare l’ordinario è ancora il comune denominatore di un groove mai scontato.

I biglietti per assistere all’evento sono disponibili in prevendita su mailticket al seguente link http://www.mailticket.it/evento/13024 o acquistabili direttamente in loco.
Ingresso: 10€ + ddp early bird, 15 € + ddp second release, 20 € + ddp third release
Apertura porte: 23:00
Orari show: 23:00-05:00
#MDSLKTMILANO

Cosmotronic tour: una cascata di sold out per Cosmo. Se non c’eri, organizzati per recuperare!

Cosmo live - Fabrique Milano

Cosmo live – Fabrique Milano

Il pop è fake, essere popolare non lo è. Cosmo rivisita un linguaggio musicale edulcorato per raggiungere il fulcro di ciò che solitamente ricerchiamo: il divertimento. Il suo Cosmotronic tour, figlio diretto di un album che ha segnato uno spartiacque importante in termini di distinzioni di genere, commistiona l’idea di testualità privata alla musica elettronica. La ricerca di Cosmo è agli inizi ma il risultato mostra capacità creative avanzate. Lo dimostrano i sold out che Marco Jacopo Bianchi sta mietendo in giro per l’Italia e per l’Europa. Non ultimo quello al Fabrique di Milano, lo scorso 12 aprile. Cosmo è un fenomeno, resistergli è impossibile. Il motivo risiede nella sua completa rilassatezza, la disinvoltura con cui ama osare e travolgere il pubblico. I suoi show sono dei minifestival, ogni data rappresenta l’occasione per scoprire nuovi volti della musica elettronica made in Italy e non solo. Fiore all’occhiello dell’operazione sono gli esponenti del collettivo, ormai etichetta discografica IVREA TRONIC. Sintetizzatori, campionatori, tastiere si susseguono tra raggi laser con l’obiettivo di farci saltare, ballare, sudare e lasciarci andare. Un concerto di Cosmo è quell’appuntamento a cui vai per far festa, sennò è davvero inutile andarci. Techno, abstract-house, post-dubstep e dreambeat incrociano il cantautorato senza mai scavallare i 4/4.

Accompagnato dai batteristi Roberto Grosso Sategna e Mattia Boscolo, Cosmo ha messo in piedi un potente viaggio sonoro e percettivo. La scaletta prende ovviamente vita da COSMOTRONIC, l’ultimo doppio album di inediti pubblicato lo scorso 12 gennaio per 42 Records/Believe. Il concerto inizia con “Bentornato”: “Vorrei cantare bene al primo colpo, vorrei scrivere una canzone in un minuto, fare tutto in un unico concerto”, canta Cosmo. A seguire “Le voci”, tratto dal precedente album “L’ultima festa”. I ritmi s’infiammano con “Tutto bene”, “Quando ho incontrato te”, “Tristan Zarra” e “Ho vinto”. La seconda parte dello show prevede ampio spazio per i brani strumentali “Ivrea/Bangkok”, “Barbara”, “Attraverso lo specchio”, “La notte farà il resto”, “Le cose più rare”, “Tu non sei tu”. Il finale è di quelli tiratissimi e tutti da cantare con “Sei la mia città”, “L’amore”, “Animali”, “Turbo” e la conclusiva “L’ultima festa” con tanto di doppio stage diving da brivido. Il popolo di Cosmo sentitamente ringrazia, a presto rivederci nei migliori festival dell’estate che verrà.

Raffaella Sbrescia

Video: Cosmo live – Fabrique Milano

L’Impero crollerà: Milano canta Roma con Mannarino che sfida e supera se stesso

Mannarino live Milano ph Francesco Prandoni

Mannarino live Milano ph Francesco Prandoni

“L’impero crollerà” è il titolo del nuovo tour di Alessandro Mannarino. Reduce dai suoi viaggi reali e visionari, il cantautore romano ha riempito il Teatro degli Arcimboldi di Milano con un doppio concerto ricco sotto tanti punti di vista (Vivo concerti). “Questo concerto è dedicato a chiunque in questo momento stia viaggiando: verso un futuro migliore, verso terre nuove, verso una nuova dimensione interiore. Questo mio live parte dal concetto di movimento ed è questo che io e la mia band vi auguriamo: un grande movimento”. Questo è l’augurio che Mannarino fa a se stesso e al pubblico e lo fa in un momento di particolare forma artistica e umana. “Neanche nei miei sogni avrei mai immaginato o creduto di arrivare a questo punto. Ho attraversato momenti difficili ma ho avuto il coraggio di cambiare, la fortuna di poter lavorare con le persone giuste. Poi ho cambiato la faccia e oggi sono un po’ come Rocky che ricomincia a star bene dopo aver preso tante botte”.

E sta bene Alessandro, fidatevi. Il suo nuovo concerto è un’esperienza completa e appagante. Le canzoni del suo repertorio, per quanto già dotate di luce propria, sono state impreziosite da nuovi arrangiamenti curati e pensati per creare un’atmosfera cosmopolita.
Le suggestioni sono subito potenti in apertura: Mannarino sceglie tonalità scure, basse, intrise di pathos interpretativo. La texture sonora è finemente cesellata su misura di ciascun brano in scaletta, la voce dell’unica donna sul palco Lavinia Mancusi è una garanzia di trasversalità e potenza evocativa. Com’è noto Mannarino ha sviluppato un’ampia conoscenza delle percussioni latine e brasiliane in particolare. Il risultato è un crogiuolo di parole, di store, di emozioni. Mannarino si sa, predilige le storie degli ultimi, porta agli estremi i suoi racconti metaforici e non perde mai occasione per lanciare spunti di riflessione. L’uso che fa dell’ironia è a tratti tagliente, a tratti commovente. C’è spazio per le lacrime, per i sorrisi, per il disincanto e per la pura gioia di vivere. Il suo è un concerto lento, Alessandro e la sua band si prendono il tempo per gustarsi ogni attimo di un viaggio libero e senza una meta precisa. Gli inserti jazz con ampio spazio al pianoforte e al sax, regalano una veste ulteriormente ricercata a brani già molto strutturati nella loro veste originale. “Babalù” diventa un canto mistico africano, le ingiustizie urlate in “Deija” diventano uno squarcio nella notte, l’inquietudine conturbante di “Al Monte” diventa conquista guardando quell’unica grande bandiera nera sventolante sullo sfondo di un palco volutamente privo di scenografia.

“Siamo figli del positivismo, del logos occidentale, siamo diventati razionali e ci siamo persi il sogno. Questo è quello che cerco di ritrovare quando sono sul palco, quando suono, quando sono in giro. Questo è cerco di fare anche qui insieme a voi, se vorrete farlo insieme a me, ne sarò molto felice” – dice Mannarino al pubblico sempre più social addicted.
“Di questo tour sapevo solo il titolo “L’impero crollerà”. Il senso l’ho capito solo dopo. Mi sono reso conto del fatto che l’impero più grosso che dovevo far crollare era quello che mi portavo dentro. Dopo il primo album , si tende a pensare di aver raggiunto una certa cifra stilistca , che quella sia la direzione giusta. Invece è anche giusto cambiare. Io stesso ho cercato di farlo con un gesto forse banale ma per me importante: ho finalmente tolto il mio cappello nero. Il più grande gesto d’amore è mettersi in crisi e cercare di cambiare, mostrandosi per quello che si è davvero, solo così gli altri saranno liberi di scegliere se stare insieme a noi oppure no”.

Alla luce di quanto sopra, cinque minuti di standing ovation e scrosci di applausi sono anche pochi per due ore e un quarto di concerto. Se non conoscete Mannarino, potrei stare qui per ore a raccontarvi e a convincervi della sua bravura. Quello che farò, invece, è invitarvi ad andare subito a cercarvi qualcosa di suo e a chiudere gli occhi. Sarò curiosa di sapere dove sarete catapultati.

Raffaella Sbrescia

Intervista a Motta: “Vivere o morire” è un album che vi fa capire come la penso e da che parte sto.

MOTTA_ph Claudia Pajewski

MOTTA_ph Claudia Pajewski

“Vivere o morire” è il titolo del nuovo capitolo discografico di Motta. Dopo la lunga gestazione de “La fine dei Vent’anni”, il cantautore torna in scena con un album emotivamente ricco con testi densi e arrangiamenti caratterizzati da un substrato  musicale suddiviso su più livelli. L’impostazione dicotomica del titolo lascia intuire subito un’intenzione chiara: rivelarsi senza filtri, svelare da che parte stare; senza sfumature di grigi. Motta si lascia andare, decide che è ora di restare, di essere consapevole, di dare spazio all’urgenza espressiva, all’intimismo, all’anima.

Intervista

Ciao Francesco, raccontaci come stai e come hai vissuto la gestazione di questo nuovo disco.
Ho conquistato una felicità che mi sono guadagnato. Fare dischi è difficilissimo, suonare mi diverte, scrivere i testi invece è davvero complicato. Si tratta di un processo che richiede consapevolezza, impegno, responsabilità. Stavolta ho lavorato in modo diverso, in primis perchè avevo molti più mezzi a disposizione, lavorare a New York non è chiaramente lo stesso che lavorare a casa. Il trucco è stato è non metterci trucchi. In questo disco vi dico da che parte sto e come la penso:  sto dalla parte del vivere ovviamente.

Dal punto di vista musicale invece?
Ho prodotto questo album insieme a Taketo Gohara ma ho suonato molte più cose io stesso. Così come tengo molto a riconoscere il lavoro delle altre persone, stavolta mi piace riconoscerlo a me stesso. Prima di cominciare il lavoro, avevo parlato con Riccardo Sinigallia che mi ha subito detto che stavolta non sarebbe stato lui il mio produttore artistico. Il lavoro di Taketo è stato importante perchè è molto diverso da me e Riccardo, ha svolto un lavoro complementare. Molti potranno obiettare che questo album sia nato in molto meno tempo ma non è vero, ho recuperato anche cose scritte nel 2011. Nel primo disco la gestazione è stata più lunga, più spalmata, non c’era la concentrazione che c’è stata adesso per questo disco a cui ho lavorato 24 ore su 24.

Cosa c’è di completamente nuovo in te e quanto ti porti indietro del passato?

Mi conosco meglio di prima, ho passato più tempo con me stesso. Dopo più di 100 concerti in giro, ho avuto modo di guardarmi indietro e fare delle scelte. L’ultimo brutto ricordo risale al concerto all’Alcatraz di Milano, l’ultimo del tour: non mi sentivo all’altezza di affrontare quel tipo di emozioni. Quando sali sul palco per spaccare tutto, stai sul palco nel modo peggiore in assoluto. In seguito, dopo 3 settimane di silenzio, mi sono vissuto il concerto del 1 maggio al meglio. Per me quel concerto all’Alcatraz è stato eccessivo, sono io che devo sentirmi pronto e se per primo mi accorgo di un errore, sono il primo a incazzarmi. Crescendo mi sono accorto che non è tanto importante la forza quanto scegliere di incanalarla bene. Bisogna capire come si impiega il tempo, questo tipo di considerazioni non le avevo mai fatte prima. A 20 anni mi affascinava descrivere il bivio, ora mi sento pronto a prendere una delle due strade, non so se sia quella giusta ma è la mia.

L’album si chiude con il brano “Mi parli di te”. Un testo molto intimo…

Avevo già parlato dei miei genitori, spesso ne parlo. In questo caso è stato molto complesso scriverne. Ho cercato di guardarli come degli essere umani pieni di pregi e di difetti, questo mi ha portato ad avvicinarmi molto di più a loro.

Tutti, a questo proposito, ricordano ancora con emozione il video del brano “Del tempo che passa la felicità”.

Ricordo che durante le riprese non ci siamo mai incrociati, poi soltanto alla fine ci siamo incontrati e abbiamo vissuto un attimo molto vero. In quel momento c’è stato qualcosa di intimo e privato, mentre tornavamo a casa abbiamo realizzato di non aver mai visto un tramonto insieme prima di allora.

Prima accennavi alla lunga gestazione de “La fine dei vent’anni”, magari adesso avevi semplicemente necessità di lasciarti andare e riempire al massimo questi nuovi testi.

Prima avevo una forte ingenuità nei confronti della mia esperienza di cantautore. In qualche modo c’era una confusione giustificata. In generale, per scrivere, mi serve sempre un gancio emotivo, ci vuole un’idea che mi serve per partire con la scrittura. Stavolta sono andato così tanto sul personale che non era giusto arrivare a compromessi. Ho scelto questa direzione a costo di essere scomodo e di non lasciare spazio per pensare. Ci sono frasi che ti arrivano come coltellate, le ho scelte per sentirmi meglio subito dopo. Per me questo è ciò che conta: ho esorcizzato tantissime cose, ho tolto tutto quello che era in più. In questo disco ci sono nove canzoni, non dovevano essercene nè in più nè in meno. Sono più tranquillo e più sobrio; questo album me lo sono guadagnato.

In “Vivere o morire” canti della paura di dimenticare. Tu ce l’hai?

La paura di dimenticare è quella più grande. Non voglio dimenticare gli affetti, da dove sono partito, quello che ho sbagliato. Per poter crescere la cosa più importante è l’accettazione dell’errore. Secondo la concezione binaria della vita bisogna scegliere se restare o andarsene, io scelgo di restare ma non voglio dimenticarmi delle scelte sbagliate.

Video: Motta presenta “Vivere o  morire”

Per quanto riguarda gli arrangiamenti di questi pezzi, cosa ti sei portato dietro delle tue precedenti esperienze?

Non smetterò mai di ringraziare i miei musiciti con cui sono cresciuto. Ne “La fine dei 20 anni” ho praticamente rivisto tutti i brani in funzione del live. Al soundcheck filava tutto troppo liscio e ho pensato che ci fosse qualcosa che non andava. Mi è piaciuto e mi piace tuttora scrivere musica al computer, non la vivo come una maniera fredda di scrivere canzoni, mi piace la concezione digitale della musica.

Con questi presupposti, stavolta sei volato fino a New York con Taketo Gohara.

Sì, Taketo ha sfruttato questa mia tendenza a suonare un po’ tutto e male. Quindi siamo finiti nello studio di registrazione di Keith Richards e lì, oltre al grande Mauro Refosco, abbiamo trovato una serie di strumenti che non avevo mai visto e sentito. All’inizio mi sono spaventato, ma d’altronde in qualche modo per poter essere produttivi, bisogna essere spaventati da quello che si fa. Sono rimasto diversi minuti a suonare una sola nota senza muovermi, c’erano molti sintetizzatori, alcuni dovevamo fisicamente cercarli. Abbiamo trovato energia pronta a essere detonizzata.

Che musica ascolti adesso?
Ascolto poca musica, soprattutto quando lavoro alla mia. Ultimamente mi sono emozionato ascoltando il disco di Filippo Gatti. Il rap non mi interessa molto anche se è mi è sempre piaciuto Salmo per la sua concezione molto simile alla mia. Alla fine comunque finisco sempre con l’ ascoltare “Rimmel” di De Gregori. La trap è sotto gli occhi di tutti, non possiamo far finta di niente. Ascoltandola mi accorgo di non essere preparato, mi sono scoperto invecchiato e testualmente distante. In ogni caso mi fa piacere vedere ragazzi giovanissimi in grado di fare cose che io a sedici anni certamente non facevo.

Che rapporto c’è tra la tua musica e le immagini?

C’è tanta immagine nelle mie canzoni. Lo stesso mi è capitato anche quando ho lavorato per la realizzazione di colonne sonore. In quel caso ci sono tanti ego che devono collaborare, in quel contesto ho imparato a sapermi mettere anche da parte.

Sebbene tu sia riconosciuto come artista indie, andresti a Sanremo?
Il mio desiderio è che la mia musica possa essere ascoltata dal maggior numero possibile di persone. Quello che conta è che questo non sia mai il presupposto con cui scrivere. Al Festival della Canzone italiana ci andrei se avessi una canzone giusta. Non c’entra il concetto di pop, per partecipare a Sanremo devi essere inattaccabile e portare una canzone adatta al contesto.

Raffaella Sbrescia

Di seguito la tracklist dell’album:
1. Ed è quasi come essere felice
2. Quello che siamo diventati
3. Vivere o morire
4. La nostra ultima canzone
5. Chissà dove sarai
6. Per amore e basta
7.La prima volta
8.E poi ci pensi un po’
9.Mi parli di te

A maggio, Motta tornerà dal vivo con quattro eventi, anteprima del “Motta live 2018″, organizzato da Trident Music. Questo il calendario dei concerti:
26 maggio ATLANTICO Roma
28 maggio ESTRAGON Bologna
29 maggio OBIHALL Firenze
31 maggio ALCATRAZ Milano

I biglietti per le quattro date sono disponibili in prevendita sul circuito www.ticketone.it e presso tutti i punti vendita abituali.