Valentina De Giovanni fa sua Gabriella Ferri in “Sono Partita di Sera”

“Signora…….non mi sento signora….”

E così Gabriella Ferri comincia a raccontare la sua storia sul palco del Teatro Lo Spazio. Una storia fatta di musica, parole, ricordi e sentimenti. Passioni. Questo è Gabriella Ferri. Passione.

Ragazzina di strada, di una Testaccio che portava in sé le caratteristiche di una romanità che, ai tempi, era peculiare ed individuabile. ”La mia vita è balorda. Balorda come ‘na canzona che nun t’esce…..” In una scenografia semplice, che si sviluppa in fiumi e fiumi di parole che cadono dall’alto al basso: parole, versi, emozioni. In questo percorso poetico, accompagnata dalle note delicate della chitarra di Gabriele Elliott Parrini, Gabriella canta. Canta e Racconta. Canta e racconta subito dell’amore per Vittorio. Il grande amore della sua vita. Bello come un angelo “coll’occhi azzuri”…..come i suoi. Bello e scapestrato, ambulante “co poca voja de lavora’”, e tante canzoni da vendere a cappello, per un pubblico di strada, quello di Testaccio, che di quelle canzoni era il protagonista.

Valentina De Giovanni - Sono Partita di sera ph. G.R.

Valentina De Giovanni – Sono Partita di sera ph. G.R.

Una specie di cantastorie, guitto alla Zamapano’, Vittorio se la portava dietro. E lei, piccola, bionda, innamorata, lo seguiva facendogli il controcanto. Passava col cappello ed era terrorizzata dalla gente. Vittorio, l’angelo biondo, che la riempiva di coccole, di abbracci, baci e carezze “quanno ce stava, quer fijo de…….quanno nun stava in galera”. Vittorio che con lei condivideva il cognome. E una piccola e fragile donna, con la voce di un usignolo, e i modi di una regina. Una donna che lo amo’ al punto da mettersi contro la ricca famiglia, pur di sposarlo. Vittorio. Suo Padre. Una figura che segnerà in maniera indelebile le sue scelte di vita.

Anche con gli uomini.

Valentina De Giovanni - Sono Partita di sera ph. G.R.

Valentina De Giovanni – Sono Partita di sera ph. G.R.

E il racconto, che parte dalle vie de Testaccio, quelle della Toppa che Pasolini scrisse per Lei, e arriva alle luci della ribalta. Alla notorietà, al successo, ai personaggi famosi che l’hanno artisticamente corteggiata, passando attraverso le note delle canzoni che ha cantato. Cucite su di lei come abiti di sartoria, anche quando non scritte per lei. Lei, ragazzina di testaccio, figlia del popolo, questuante a cappello. Già, perché quando diciamo “Grazie alla Vita”, è a lei che pensiamo. E’ a lei che pensiamo quando cerchiamo “Remedios”, e in pochissimi sappiamo che quel “Sinno’ me moro” lo strappo’ alla Rustichelli come una malandrina. E lo ha donato al mondo come un “pezzo unico”. Va avanti per un’oretta e mezza, Gabriella, nel racconto e negli accordi. E quando, alla fine, il pubblico entusiasta, chiede il bis, lei, ancora Gabriella, ringrazia, fa un inchino e se ne va.

Ritrovo Valentina de Giovanni solo in camerino, quando vado a salutarla. Fino a quando non si spengono le luci, è Gabriella. E’ Gabriella perché non la interpreta, la vive. Sicuramente avvantaggiata da una somiglianza fisica impressionante, ma profondamente coinvolta, in ogni gesto, in ogni piccola piccola frase, in ogni nota che le sfiora le labbra. Lo racconterei tutto, lo spettacolo. Ma vi toglierei il gusto. E quindi mi fermo qui. C’è una cosa che quasi tutte le interpreti di canzoni romanesche patiscono. La difficoltà di staccarsi dalle interpretazioni della Ferri. E difficile cantare quello che ha cantato lei, non facendosi condizionare dalle sue flessioni, dai suoi ghigni, dalle sue pause, dalla sua sonorità. La straordinarietà di questo spettacolo sta proprio in questo. Valentina de Giovanni è riuscita nell’impresa. Ci ha ridato Gabriella, così, come se fosse li. Ma in tutto quello che interpreta, non la scimmiotta, la vive. E così le canzoni non sono “cover”. Non sono scimmiottamenti, né riproduzioni forzate. Valentina canta con la sua voce, le sue pause, il suo sentimento.

Valentina De Giovanni - Sono Partita di sera ph. G.R.

Valentina De Giovanni – Sono Partita di sera ph. G.R.

E questa la è magia. Gabriella è lì. Puoi vederla, annusarla, sentirla. Gabriella è lì. Ma dentro c’è l’anima di Valentina.

Grazie a Valentina de Giovanni, a Betta Cianchini per i testi, e a Camilla Piccioni per la sensibile e attenta regia, e per una scenografia che rimarrà per sempre impressa negli occhi, in quello sfumare di luci alternate, dal caldo al freddo dal calore della felicità al freddo della depressione, della confusione, dell’irrequietezza. Uno sfumare che porta all’applauso finale, all’uscita di scena, al mancato bis.  Perché non è uno spettacolo di canzoni. E’ Gabriella che si racconta attraverso Valentina. Uno spettacolo che ho amato, e che spero abbia tutta la fortuna ed il successo che merita.

G.R.

Pitagora pensaci tu: Renato Caruso presenta la sua anima latina. Intervista

RENATO CARUSO PH. RAY TARANTINO

RENATO CARUSO PH. RAY TARANTINO

“Pitagora pensaci tu” rappresenta un’opera omnia in cui racchiudi le sfaccettature del tuo suono. Come nasce questo titolo e a chi si rivolge questo lavoro?

Il disco nasce per due motivi: per omaggiare la mia città, Crotone. Qui Pitagora si trasferì a 40 anni in questa cittadina per poi fondare la scuola pitagorica e tante altre meraviglie; fu uno dei primi musicologi, colui che si interessò alla musica come scienza facendo numerose scoperte. La seconda ragione è che forse un po’ mi ritrovo in lui, avendo una formazione sia scientifica che musicale. Il lavoro si rivolge semplicemente a tutti gli amanti della buona musica.

Da studioso, cultore e maestro di chitarra classica. Come vivi il tuo strumento giorno dopo giorno e come è cambiato il tuo rapporto con l’uso, sia compositivo che interpretativo, della chitarra?

Di sicuro sono cambiato nella scrittura, prima avevo un approccio molto più di getto che razionale. La cosa va anche bene, ma spesso bisogna pensare al futuro e al fine di una composizione. In questo disco c’è molto istinto ma anche tanta riflessione. La mia interpretazione è molto cambiata negli anni, forse sono diventato con l’età un po’ più dolce, romantico e meno virtuoso (ride ndr).

In questo album convergono i tuoi ascolti, i maestri di sempre e le aspirazioni del domani. Come sei riuscito a mettere tutte queste cose a fuoco?

Ho fatto una cernita di brani e stili che ho sempre suonato e depositato nella mia mente e nel cuore. Ho scelto questi perché forse mi rappresentano. In effetti sì, sono proprio i miei studi e i maestri di sempre come dici tu. Spero solo di non aver fatto un pasticcio e di aver messo troppa roba al fuoco!

Uno dei brani più suggestivi è “Aladin Samba”. Raccontaci la genesi e le visioni di questo brano.

Ero in un ristorante 8(di nome Aladin) con degli amici e sentivo questa musica arabeggiante… quasi non vedevo l’ora di andare a casa e mettere su qualche bella melodia e così ho fatto! Poi ho aggiunto un altro brano e così ho unito due stili, forse questa è la mia specialità.

Nel tuo viaggio musicale si va da Parigi al Brasile, da Milano al Portogallo, passando per l’Africa. Eppure “Napoli caput mundi”. Perchè?

Napoli per me rappresenta il centro di tutto, la musica, la poesia, l’arte, il cibo, ma soprattutto la melodia, l’armonia. A Napoli sono nati i primi conservatori, è stata la capitale tecnologica, lì è nata la prima stazione ferroviaria e tante altre cose belle che i partenopei ci hanno lasciato. Era d’obbligo lasciare una traccia del mio disco dedicato a Napoli. E poi non dimentichiamoci i grandi interpreti e maestri della scuola napoletana che ammiro come Carosone, Caruso, Paesiello, Scarlatti, Pergolesi, ecc Napoli è un’entità dalle tante anime, ecco perché il brano ha più generi. Rappresenta le tante anime di Napoli.

Chi è stato e cosa rappresenta Pino Daniele per te e per la tua musica?
Per me Pino è stato il mio Maestro Nascosto. Il Maestro che non ho mai avuto ma da lui ho imparato molto, soprattutto le ritmiche latine e bossanova, le devo solo a lui. Al conservatorio imparavo altro. Quindi, si può dire, che io sono musicalmente figlio di Pino.

Video: Pitagora Pensaci tu

Cosa significa possedere un’anima latina?
Forse è inteso più come avere un grande senso ritmico, cioè un’anima che ha del groove si direbbe oggi. Forse noi che siamo discendenti di una cultura greca e latina siamo un po’ filosofi ma anche un po’ ritmici, un po’ melodici e un po’ armonici.

Che rapporto hai con la Calabria?
Un rapporto come tutti quelli che, come me, vivono lontani dalla propria terra d’origine. Vado quando posso anche perché ho lì tutta la mia famiglia, la mia terra, la mia Sila che mi aspetta d’estate tra gli alberi, fuoco e vino. Quando posso scappo spesso. Ogni tanto bisogna staccare da Milano. Ci vuole un sentiero senza semafori, anche nel senso metaforico.

Raccontaci gli omaggi contenuti nell’album e il melting pot culturale che hai costruito.
Parto da ANTONIO’S CHORO. Il Choro è un termine portoghese che significa lamento e viene usato soprattutto nelle composizioni come dire minuetto, aria, tango, ecc. Antonio è un amico storico e ho voluto dedicargli questo brano perché ci accomuna la chitarra classica e i famosi Choro di Heitor Villa-Lobos studiati in conservatorio. Poi c’è BOSSA DE SHEILA La bossa, samba, ritmo latino fanno parte di me. Fosse per me suonerei tutto in chiave bossa! Questa piccola composizione è nata in campagna, in Calabria, dove io passo le vacanze estive. CARO MIO JOBIM invece è un brano molto particolare. Rimanendo sempre in tema latino, samba, ho voluto maggiore un brano al re del bossanova, Antonio Carlos Jobim è considerato uno dei padri insieme a Gilberto, il poeta De Moraes e tanti altri. Ho diverse opere in bossa e ho scelto questa perché poi ha una leggera influenza pop nel ritornello. Infine, CIAO ROLAND è dedicato Roland Dyens, chitarrista e compositore classico tra i più apprezzati al mondo. La sua musica va dalla classica al jazz, dal funk al reggae, da Frank Zappa a Edith Piaf. Colui che ha detto tutto quello che si poteva con il linguaggio della musica attraverso la chitarra. L’ha esplorata a 360 gradi. Quando suona la chitarra si deve solo tacere. Il minuto è dedicato a lui perché ci ha lasciati giovane. Dopo Segovia c’è Roland Dyens.

Sogni di comporre colonne sonore. Come lavori per coniugare immagini e note?
Sì, è proprio il mio sogno. Non so come faccio. Forse quando scrivo penso a qualcosa di dinamico. Ho delle immagini, dei pensieri, delle storie da raccontare. Ancora me lo chiedo anche io! Spero di non trovare mai la risposta o l’algoritmo risolutivo altrimenti è finito il gioco.

Raffaella Sbrescia

Adesso sì: Tiziano Gerosa si prende la sua rivincita. Intervista

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“ADESSO SÌ” è il nuovo album di inediti del cantautore comasco TIZIANO GEROSA. Il disco, pubblicato da Clapo Music/Marechiaro Edizioni Musicali e distribuito da Edel Italy/Believe, contiene 13 brani inediti dal taglio pop-rock, tutti scritti, arrangiati e prodotti dallo stesso Tiziano Gerosa con la partecipazione di tanti importanti musicisti.

Ciao Tiziano, cosa significa rimettersi in gioco con un album di inediti in questo contesto musicale?

Rimettersi in gioco dopo parecchi anni ed in completa autonomia, significa poter decidere con estrema liberta’ mettendo al centro il puro piacere di fare musica lontano da pressioni ed aspettative. Ho voluto fare il disco che vorrei comprare.

Quali sono state le tappe che hanno segnato il tuo cammino artistico?

Riassumendo posso dire che pochi hanno fatto ‘gavetta’ come me. Sono partito dalle classiche band giovanili cominciando a scrivere canzoni nell’adolescenza. L’incontro con molti grossi artisti che registravano i loro dischi nello Stone Castle Studios  lo studio più importante di allora, parlo degli anni 80. Poi molta anticamera presso case discografiche e decine di ‘aperture’ per artisti della scena americana , come Robbie Krieger dei Doors. Importante fu la vittoria al Premio Recanati con l’uscita di un mini cd verso la fine dei ’90. Un tour durante il quale aprivo i concerti di R. Vecchioni in una sua fortunata estate. La partecipazione al Rock fur den Frieden di Berlino e ad altri festival internazionali come il Festamajo di Maputo in Mozambico.

Cosa ti ha spinto a incidere questo album? 

Il desiderio di dare una forma al sogno che per tanto tempo ho inseguito e poi abbandonato.

Hai lavorato insieme ad alcuni dei più blasonati turnisti italiani. Che tipo di alchimia sei riuscito a creare? 

Avevo ben chiaro il suono che avrei voluto ottenere e a tale scopo mi servivano musicisti con personalita’ e caratteristiche ben definite. Una volta individuati ho quindi inviato loro i demo di alcuni brani ottenendo un apprezzamento immediato. Proprio per l’estrema libertà di cui parlavo prima, si è da subito creato un clima perfetto di lavoro dove al centro non c’era l’artista famoso per cui lavorare ma una canzone da ‘rivestire di musica’. Ed è questo il clima che si respira ascoltando i brani : il divertimento e la gioia di riempire lo spazio di musica. Voglio citare chi mi ha fatto vivere momenti veramente indimenticabili: Lele Melotti alla batteria, Paolo Costa al basso, Luca Colombo alle chitarre elettriche, Ernesto Vitolo al piano Rhodes e organo Hammond, Claudio Pascoli e Daniele Comoglio al sax, Daniele Moretto alla tromba, Alessio Nava al trombone e Marco Fadda alle percussioni + il Gospel Light Vocal Ensemble.

Video: Adesso sì

Il titolo del disco rispecchia il tuo momento personale?

La canzone ‘Adesso sì’ in realtà racconta di come la vita di ciascuno sia attraversata da molte persone e da qualcuna vieni solo sfiorato mentre con altre fai un cammino più lungo. E spesso il caso gioca un ruolo fondamentale. Ho però voluto adottare questo titolo proprio come mi chiedi, ovvero: questo è il momento. Alcuni dei brani in tracklist hanno un lungo periodo di gestazione.

Com’è stato metterli a punto e inciderli dopo tanto tempo?

Posso usare il termine liberatorio. Parlo soprattutto di ‘Notte fonda’ la cui linea melodica è stata scritta molti anni fa. Ha poi subìto nel tempo parecchie variazioni di testo fino alla versione definitiva scritta durante una notte ‘luminosa e nera’ su una pista di sci da fondo nell’alta Engadina.

Che significato ha per te il temporale?

Devo dire che le due canzoni che parlano del temporale non contengono, per me, nessuna metafora. Ho voluto soltanto cercare di descrivere in musica le sensazioni che precedono l’evento atmosferico puro nel primo caso e nel secondo, quella sorte di pace ritrovata dopo il nubifragio. Ma le canzoni non appartengono più a chi le ha scritte, quindi ognuno si darà il proprio significato.

In che senso “L’amore ti fa”?

Questa è una delle mie preferite, per due motivi. Il primo è che dopo circa 300 canzoni scritte, ho usato la parola Amore per la prima volta. Ho sempre pensato che questa parola vada ‘protetta’ e che abusandola facesse perdere il valore che essa ha. Quindi, adesso sì. L’amore ti fa perché tutto parte, o dovrebbe partire, dall’amore, nel senso più ampio possibile. L’amore è la benzina della vita ed è ciò che rende migliore l’essere umano. Fare le cose con amore fa sì che le stesse cose siano migliori e solo così saremo costruttori di bellezza. Il secondo motivo è strettamente ritmico/musicale dato che è esattamente così che me la sono sognata.

Quali prospettive hai per questo progetto e, più in generale, per la tua carriera artistica? 

Qualcuno mi ha detto che ascoltare queste canzoni è come bere acqua fresca di fonte. Se fosse così sarebbe bello condividere con il maggior numero di persone questa sensazione e per quanto riguarda il mio futuro vorrei al più presto tornare in studio per continuare con un altro progetto che bolle in pentola.

Raffaella Sbrescia

MI AMI Festival 2018: non solo nuovo che avanza. Tre Allegri Ragazzi Morti e Prozac + gran mattatori

Tre Allegri Ragazzi Morti - MI AMI FESTIVAL

Tre Allegri Ragazzi Morti – MI AMI FESTIVAL

Il bilancio della prima serata del MI AMI festival è stato molto positivo ma, nulla di inaspettato, visto il sold out annunciato su carta, diversi giorni prima dell’evento. La vera sorpresa è stata l’affluenza della seconda serata che ha visto cambiare anche l’età media dei presenti all’evento. In scaletta nomi di band e artisti di più lungo corso.
Su tutti i Tre Allegri ragazzi Morti, sul palco Pertini per l’unica data estiva in programma per quest’anno. Non hanno deluso le aspettative nemmeno i Prozac+, protagonisti di una reunion avvenuta dopo diversi anni di vie parallele. Coinvolgente il live di Colapesce, tra i più intensi della serata. Agguerrita Maria Antonietta, il cui nuovo album “Deluderti” deve ancora far strada. Allegri e scanzonati i Selton, sempre più amati dai Nolers di Piazzale Loreto a Milano.
Se non avete mai avuto modo o voglia di partecipare al MI AMI, vi consiglio di fare una puntatina prima o poi, se non altro avrete modo di capire e farvi un’idea più precisa di come si evolva il gusto e l’interazione dei più giovani amanti della musica indipendente in Italia.

Raffaella Sbrescia

MI AMI Festival 2018: il trionfo del popolo indie

Cosmo - MI AMI Festival

Ex Otago – MI AMI Festival

Quattordici anni di musica, 14 anni di storie, di giovani diventati adulti, di giovani che cominciano a scoprire il mondo dei grandi. Un percorso di crescita, di evoluzione e di conferma racchiude l’evoluzione del MI AMI Festival che, anche quest’anno, ha segnato un momento importante per la nuova musica italiana. Record di presenze all’Idroscalo di Segrate. Il Circolo Magnolia addobbato a festa è più suggestivo che mai. Organizzato da Rockit e dall’agenzia creativa Better Days, il MI AMI rappresenta a tutti gli effetti lo specchio dei gusti dei giovani italiani in fatto di musica. L’invito che ha fatto da motto a questa edizione è “Laggiù, tutto è ordine e bellezza, lusso, calma e voluttà”. E allora avanti così, spazio al popolo dell’indie, gli occhi pieni di muri di persone e le orecchie colme di ritornelli che profumano di giovinezza, sentimento e scoperta. Un continuo via vai e andirivieni tra il Palco Pertini e il Palco Havaianas per cercare di perdere poco o nulla del massiccio programma messo su da Carlo Pastore e Stefano Bottura.

Cosmo - MI AMI Festival

Cosmo – MI AMI Festival

Tra le sorprese della prima serata: il boom dei Coma Cose, duo milanese che, hit dopo hit, si sta ritagliando un ruolo sempre più solido e l’arrivo a sorpresa di Calcutta, reduce dalla freschissima pubblicazione del nuovo album “Evergreen”. On stage anche gli Ex-Otago, per l’unica data estiva in programma per quest’anno e l’attesissimo Cosmo, sempre più sulla cresta dell’onda. Non si contano più ormai i sold out seminati dal pop dj di Ivrea. Il successo è dilagante.

Coma Cose - MI AMI Festival

Raffaella Sbrescia

Renzo Rubino porta in scena la sua Rubinoland: a Milano torna la magia

renzo rubino

renzo rubino

Partiamo da un presupposto: decidere deliberatamente di andare al concerto di un cantautore oggi come oggi viene percepito come un fatto demodè. La questione è che non si tratta di stile ma di qualità. Al momento c’è bisogno di ascoltare artisti che la musica la scrivono e la suonano con le proprie mani. Per questa ragione c’è necessità di ascoltare persone come Renzo Rubino. Stavolta ancora di più, non fosse altro per il nuovissimo viaggio che il cantautore ha organizzato per il proprio pubblico, denominandolo Rubinoland. Nella sala di solito dedicata ai Pomeriggi Musicali del Teatro dal Verme di Milano ha avuto luogo un concerto speciale, diverso da qualunque altro, più simile ad una montagna russa che a un dolce calesse. Renzo accoglie il pubblico ancora prima che il concerto abbia inizio, si intrattiene con alcuni fan, spizzica patatine e non nega qualche foto ricordo. Un attimo dopo diventa il mattatore assoluto di un concerto- varietà divertente e commovente al contempo. Testa, pancia e cuore collaborano all’unisono tra attimi di pura ilarità, ironia e profondo intimismo. In scaletta ogni pezzo trova magicamente il proprio posto fuoriuscendo da quel caos creativo che in alcune occasioni ha spinto Renzo a farsi più di qualche domanda sulla sua permanenza in questo mondo di carta che è la musica. Combattere le paure, misurarsi con il gusto del pubblico, capire l’essenza della propria arte, acquisirne consapevolezza per riuscire a convivere con i discografici diventa un fluire liquido di emozioni. Renzo sceglie di far da sè, si muove libero e leggiadro tra canzoni sue e dei suoi amati maestri, su tutti Lucio Dalla. Abbatte muri e barriere tra sè e il proprio pubblico, trasforma i suoi musicisti in spassosi compagni di giochi, spazia tra musica impegnata e toni scanzonati. Si muove disinvolto tra racconti personali sia legati alla vita privata che a quella artistica e quando non lo fa attraverso i monologhi, continua comunque attraverso le canzoni. Il segno della croce, Giungla, Custodire, Ridere, Lulù, Pop, Paghi al kg, Ora, Per sempre e poi basta, Il postino vivono una nuova vita con arrangiamenti particolari, completamente rinnovati, pensati in ottica di incanto audio-visivo. Renzo Rubino non ha più nulla da dimostrare a se stesso, deve semplicemente continuare a fare del proprio meglio esattamente come adesso. Noi cultori della qualità gli saremo sempre grati.

Raffaella Sbrescia

Intervista a Federica Carta: La mia carriera è “Molto più di un film”

Federica Carta

Federica Carta

“MOLTO PIU’ DI UN FILM” è il progetto discografico che rilancia Federica Carta nel mercato musicale italiano. Prodotto da Dario Faini, Antonio Filippelli e Andrea Rigonat, l’album intende segnare il ritorno di Federica a poco meno di un anno dall’uscita dell’album di debutto. Reduce da diverse avventure televisive come il programma di Rai Gulp “Top Music, Federica Carta è nel pieno del suo tour in tutta Italia.

Cosa ci racconti in “Molto più di un film?
Questo è un disco un po’ vario. Ho lavorato con ben tre produttori, questo mi ha aiutato a fare uscire fuori più parti di me, sia dal punto di vista interpretativo che musicale. Ho rispettato i tempi necessari per pubblicare un lavoro che potesse soddisfarmi pienamente e così è stato. Rispetto agli altri ragazzi di Amici sono stata “ritardataria” ma è stato giusto così.

Sei ancora in contatto con Elisa, tant’è che hai lavorato con suo marito Andrea Rigonat…
Sì, mi piace molto il suo approccio al lavoro. Andrea è una persona molto semplice, non ti fa mai pesare che sia un grande, mi ha dato molto spazio anche se in fatto di arrangiamenti non ne so molto.

Il titolo del disco è autobiografico?
Partiamo dal presupposto che il programma “Amici” è una grandissima risorsa. Quello che so ora lo devo a Maria e a quel contesto. La mia vita sembra davvero un film, non ho familiari musicisti, ho questo sogno dentro di me sin da quanto ero bambina. Ho iniziato a cantare a 9 anni, poi ho cominciato a suonare il pianoforte. Quando sei piccolo, fai le cose con ingenuità, poi man mano inizia a palesarsi la tensione. C’è da fare i conti con il pubblico, con chi ti attacca. Per certi versi mi sento una bambina in un mondo di adulti. Non è facile muoversi e crescere in un mondo pieno di pregiudizi.

Quali sono le differenze tra primo e secondo album?
All’epoca ero dentro la scuola, ero limitata ed ero comunque distaccata dal mondo esterno. Le necessità televisive riducono i tempi di lavorazione, avevo poco tempo per scegliere i brani e impararli. Adesso, dopo un anno, sono riuscita a conquistare la possibilità di avere voce in capitolo, ho scelto i brani che volevo realmente cantare, ho potuto pensarci su e scrivere qualcosa anche io e ne sono fiera.

Il tema più gettonato è l’amore.
In effetti è vero. Non è una cosa voluta, sento semplicemente la necessità di parlare di queste cose. In questo album ci sono anche altre situazioni relative alla vita quotidiana. Anche se canto l’amore, credo di non essere mai riuscita a provarlo fino in fondo. Non mi è nemmeno andata così bene quando ho pensato di provarlo.

Sei percepita dal pubblico come Federica di “Amici”. Quali sono le tue ansie, le tue paure e le tue speranze?
Alla fine del programma avevo paura di essere dimenticata, ci ho scritto su e mi sono sfogata così. Quest’anno ho avuto modo di riflettere e capire chi voglio essere. Il mio obiettivo non è distaccarmi dal talent ma affermarmi come cantante.

Come hai strutturato il live?
Abbiamo arrangiato i brani in modo che rendessero al meglio dal vivo. Mi piace molto improvvisare, ci sono variazioni sulle melodie. Sul palco mostro più lati di me: c’è il lato grintoso ma non trascuro nemmeno quello più cupo. Sono contenta della mia band e, più in generale, sono felice di esibirmi dal vivo, mi dà carica e consapevolezza professionale.

Chi è, in sintesi, Federica Carta?
Vivo con i miei, non sono ancora pronta per andare via. Sono nostalgica, quando ritrovo una vecchia foto mi emoziono. L’emotività e la timidezza sono parte integrante di me ma, piano piano, sto trovando una mia dimensione comunicativa. A fine giornata mi capita di ritrovarmi arrabbiata e stanca ma, appena focalizzo l’attenzione su quello che sto realizzando, mi si riempie il cuore di soddisfazione.

 Raffaella Sbrescia

 

Boosta presenta Davide Dileo al Piano City Milano

Ricchezza, varietà, scoperta, aggregazione. Il Piano City Milano rinnova ogni anno la sua promessa di bellezza e ogni volta riesce ad alzare sempre di una tacca l’asticella di un programma pensato per rispettare e spesso superare le aspettative.
Tantissimi concerti sono tutt’oggi in corso per le vie di Milano e dintorni, per il programma basta fare una veloce puntatina qui: https://www.pianocitymilano.it/programma

Boosta @ Piano City Milano

Boosta @ Piano City Milano

Tra i tanti eventi, ho scelto di andare al Volvo Studio Milano per seguire la micro suite proposta da Davide Dileo, meglio noto come Boosta, membro cardine dei Subsonica. Solo nel 2016 usciva “La stanza intelligente”, primo album solista del poliedrico musicista, a due anni di distanza e, a ridosso del nuovissimo progetto discografico dello storico gruppo torinese, Davide sceglie di mostrarsi in una veste intima e per tanti versi diversa da quella che abbiamo imparato a conoscere in questi 20 anni. In 60 minuti di tempo Boosta ha cercato di coniugare e convergere in un unico flusso musicale le sue influenze, il suo metodo compositivo, la sua attitudine sperimentale. Echi di Olafur Arnalds e Radiohead, atmosfere rarefatte, e-bow tra le corde del piano, distorsioni, riverberi e modulatori si sono alternati tra melodie, ora dolci e suadenti, ora ritmate e conturbanti. La propensione naturale di Davide Dileo dirige le sue dita verso una dimensione oscura, intrisa di mistero. L’epitelio delle melodie proposte è ricco di substrati, figli di infinite letture, infiniti viaggi tra le nuvole, centinaia di dj set e concerti. Di tutte le vesti che ci ha mostrato, questa è di gran lunga la migliore. Il privilegio di assistere ad una perfomance one shot sta nel poter fotografare l’anima più intima di un artista e goderne.

Raffaella Sbrescia

Qui il finale del concerto: