Luca Barbarossa live con “Roma è de tutti”. Un senso d’appartenenza che dura da 40 anni

Luca Barbarossa live - Roma ph G.R.

Luca Barbarossa live – Roma ph G.R.

E’ una serata piacevole, quasi primaverile, quella di una Roma semideserta, nel giorno della celebrazione dei Santi. Pietro e Paolo. Una Roma “sparita”,emigrata nei lidi limitrofi, silenziosa, quasi surreale. Fino a quando non si varca la soglia della cavea dell’Auditorium Parco della Musica, dove pare che i superstiti del ponte d’estate per antonomasia, si siano radunati in massa, in attesa del concerto casalingo di Luca Barbarossa. Concerto che segna la tappa più attesa, nonché finale, dell’esecuzione live del suo ultimo lavoro, “Roma è de tutti”, da cui è estratta la ballata presentata a Sanremo con Anna Foglietta “Passame er sale”. Pubblico di tutte le età, curioso ed impaziente, ma soprattutto numeroso, tanto da riempire l’intera area esterna dell’auditorium, e far registrare il sold out.

Ed eccolo fare il suo ingresso, sorridente, disinvolto, e visibilmente emozionato e commosso per il fatto di esibirsi in casa, nella sua città. Città a cui ha dedicato il suo ultimo lavoro, ma che ha ispirato la sua intera produzione discografica, da quando, diciottenne,reduce dal trionfo di Castrocaro, esordì al festival di Sanremo con “Roma Spogliata”. E fu subito successo.

Luca Barbarossa live - Roma ph G.R.

Luca Barbarossa live – Roma ph G.R.

Cantautore garbato, dall’innata modestia, dallo spirito allegro, e la battuta sempre pronta, saluta il pubblico già “caldo”, definendo il suo, un concept album; 11 brani che sono un sentito omaggio alla Capitale, e ad anticipare, creando una crescente aspettativa, che durante la serata ci saranno special guest di tutto rispetto.

E così, dopo “Passame er Sale” e “Come Stai”, un divertente intermezzo per spiegare “La Dieta”, ed ecco la prima importante “Ospitata” della serata. Con l’eleganza che la contraddistingue e un’entrata regale, una Fiorella Mannoia in forma incredibilmente smagliante, fa sua, con affetto ed empatia elargite ad ampi gesti una “Roma è de Tutti”, che, mai come in questo momento, esprime, anche solo nel titolo, un concetto che sembra opportuno e sacrosanto ribadire.

Luca Barbarossa live - Roma ph G.R.

Luca Barbarossa live – Roma ph G.R.

Il cantautore Romano non è mai banale. Originalità ed impegno sono le caratteristiche della sua produzione, oramai quasi quarantennale, se si considera che cominciò a cantare giovanissimo, ponendosi da subito all’attenzione del grande pubblico. In questo ultimo lavoro fa la sua comparsa anche una distinta vena ironica, che si accompagna spesso (come, ad esempio ne “La Pennica”, o in “La mota”), a dei ritmi che rompono un poco gli schemi compositivi che gli sono propri. Non solo ballate, o melodie ortodosse, ma anche swing, blues, e qualche incursione “balcanica”. E proprio su una ritmica sostenuta, fa ll suo ingresso un informale ma coinvolto Alessandro Mannarino, a duettare in “Madur”, storia quantomai attuale di un ragazzo di colore, nato a Centocelle, ed ucciso dall’odio e dal razzismo.

Prosegue così, offrendo i titoli dell’ultima produzione, una serata condita di battute, ricordi, aneddoti (uno per tutti; l’incontro con Eros, a Castrocaro l’anno dopo la sua partecipazione, esordiente, timido, impacciato, che gli chiese “come se fa a ave’ successo?”….”eh, so 40 anni che cerco de ricordamme che j’ho risposto”, è la divertente “chiosa”), alternati ad un omaggio musicale a Gigi Magni, ad un sonetto che narra di una famiglia molto radicata sul territorio delle borgate, una ninnananna dedicata alla figlia, sulle note di Brahms.

Luca Barbarossa live - Roma ph G.R.

Luca Barbarossa live – Roma ph G.R.

Tutta incentrata sull’ultimo Cd la prima parte del concerto, sembra quasi accomiatarsi dal pubblico, quando, in realtà, con un cambio di ritmo perfetto, intona le vecchie sonorità melodiche. E così, partendo da “Ali di cartone”, passando attraverso la commovente “Via Margutta”, l’attualissima “Al di là dal muro”, proprio “Come dentro un film”, si susseguono tutte le pietre miliari della sua lunga carriera, percorsa sempre mantenendo lo standard dell’autore impegnato, ma con leggerezza, con poesia, con un’intensità che tocca il vertice e gli animi, quando, di fronte ad un pubblico commosso fino alle lacrime, ripropone “L’ amore rubato”, il brano shock di una Sanremo di tanti anni fa, che scrisse pensando alla Mannoia, ma che la Mannoia stessa preferì non cantare, per non caricarlo di retorica. Retorica che si smonta e sublima in pathos, nel momento in cui è proprio un uomo ad immaginare e farsi interprete del dolore che ad una donna può recare uno stupro.

Luca Barbarossa live - Roma ph G.R.

Luca Barbarossa live – Roma ph G.R.

Standing ovation, e, come bis, prima “Portami a ballare”, e poi nuovamente “Passame er sale” nel duetto sanremese con Anna Foglietta, bis che vede il pubblico raccolto tutto sotto il palco, come stretto in un intenso e forte abbraccio a questa discreta icona della musica capitolina, tanto significativa, quanto “defilata”. L’eleganza e la consapevolezza delle proprie doti autoriali, la spigliatezza e la genuinità nel rapporto con il pubblico, la battuta sempre pronta, ed il sorriso sempre acceso. Lo stesso sorriso indimenticabile di quando, tanti anni fa, penso ventenni entrambi, me lo trovai dietro, in fila, a prendere i biglietti per il concerto di Suzanne Vega, e, mentre lo osservavo, meravigliata di vederlo lì (era già noto al grande pubblico), mi fece, ammiccando, “ma sarà brava ‘sta Suzanne Vega?”.

Questo è Luca Barbarossa. Un gioiello prezioso del panorama musicale italiano, pieno di romanità, di amore per Roma, ma tanto discreto da meravigliare, a volte, di esserlo, figlio della Lupa. E forse proprio per questo così amato in tutta la penisola.

G.R.

Luca Barbarossa live - Roma ph G.R.

Luca Barbarossa live – Roma ph G.R.

Il ritorno di Briga: “Cantare non è un business semestrale e non è per tutti”. Intervista

Briga

Briga

Ritratti di Note ha incontrato Briga durante la tappa campana degli Instore di presentazione del nuovo album “Che cosa ci siamo fatti”, un concept-album ispirato dal suo secondo romanzo “Novocaina”. Un disco nel quale si parla d’amore, di insicurezze, delle difficoltà relazionali delle nuove generazioni, e che segna un cambiamento importante per questo giovane e talentuoso artista, cambiamento già palpabile nella scelta del suono, che dà preponderanza alle chitarre e regala al tutto un tocco British. Un album sincero e coerente che mostra un Briga nuovo, che a noi piace molto.

Mattia, “Che cosa ci siamo fatti” è un album che si ispira al tuo romanzo, ma in realtà, all’interno ci sei tu a 360 gradi, i libri che hai letto, la musica che hai ascoltato, i viaggi che hai fatto. Questo è un disco da ascoltare ma anche molto da “leggere”…

Sì, è un disco, come le mie cose solite, da leggere tra le righe, perché ci sono tante storie su di me, tanto quotidiano, tanto di quello che ho vissuto io, che mi sono lasciato alle spalle e anche tanto di quello che ho da vivere, in relazione alle prospettive, alle ambizioni, ai sogni che ho. E’ un disco di cui sono molto orgoglioso, perché rispecchia in pieno il carattere e la persona che sono, uno che va controcorrente. E’ un disco molto “anti” rispetto ai tempi che corrono, va controtendenza; me ne sono un po’ fregato delle dinamiche del marketing, e di ciò che il mercato musicale impone agli artisti. Io credo che debbano essere sempre gli artisti ad imporre qualcosa; del resto c’è chi nasce per “seguire” e chi per “osare”…

In questo disco si parla molto di errori. La parola “errore” viene anche citata più volte. Gli errori sono i nostri primi maestri di vita…

Gli errori fanno parte della vita. Forse dirò una banalità, ma gli errori servono davvero per migliorare e migliorarsi, quindi ben vengano. Nel singolo “Che cosa ci siamo fatti” dico “Di errori potrei non farne più e ognuno dei miei comunque sei tu”… Io guardo sempre con un grande sorriso a tutti gli enormi errori che ho fatto perché sono stati gli errori giusti nei momenti giusti. Ho sicuramente bruciato molte tappe, ma di sicuro tutti questi errori, tutti questi passaggi a vuoto sono stati simpatici. Io guardo sempre con grande ironia al passato; Forse ho un po’ di preoccupazione per quelli che farò perché già so quali errori commetterò, ma questo è un altro discorso…

Mattia in questo disco si parla anche di mancanze, di quelle che lasciano “un buco nello stomaco”. C’è una canzone che mi ha toccato nel profondo, e immagino che anche tu ne sia legato ,“Ciao Papà”.

“Ciao Papà” è una canzone molto nostalgica, che parla di una mancanza, sebbene non sia la mancanza di mio padre, perché fortunatamente lo ho ancora con me, ma visti gli strumenti che ho, carta e penna, rivoluzionari per i tempi che corrono, perché non dedicare una canzone ad un genitore?… Penso sia una delle cose più belle che ho fatto. In questo brano parlo di mancanza della normalità, della voglia di tornare indietro nel tempo con una maturità diversa. Alla soglia dei trent’anni, mi guardo indietro e riapprezzo i piccoli e meravigliosi gesti che ho ricevuto nella mia vita da parte delle persone che amo e che mi vogliono bene, che ci sono state e ci saranno sempre per me. Voglia e ritorno alla normalità. Faccio parte di una generazione che in qualche modo ha dovuto sempre “uscire dalle righe”, sballarsi un po’ per sentirsi viva, mentre adesso invece ripenso a quando da piccolo andavo a vedere la partita con papà o a quando lui mi comprava la coca cola, mentre camminavamo per il Lungotevere. Una cosa meravigliosa che mi rimarrà per sempre dentro, e un giorno vorrò fare la stessa cosa con mio figlio.

Video: Che cosa ci siamo fatti

Mattia c’è una canzone che amo in questo disco e che si intitola “Stringiti a me”. C’è anche molta Napoli in questo pezzo, perché hanno collaborato con te il Maestro Enzo Campagnoli e Fabio Massimo Colasanti, ex chitarrista di Pino Daniele…

Sì vero… penso che Napoli e Roma siano le città che hanno fatto un po’ la storia della canzone italiana e secondo il mio punto di vista sono le uniche due città che hanno sfondato nel mondo della musica nazionale con una loro identità. E’ chiaro che ogni regione ha la sua identità musicale, ma le uniche scuole musicali e cantautorali che hanno fatto da pioniere sono state quella napoletana e quella romana. Essendo io un melodico, c’è sempre un po’ di Napoli, oltre che Roma, nelle mie canzoni. Con il Maestro Campagnoli c’è un legame molto forte perché è stato il mio maestro di canto ad Amici, quindi quando posso, gli chiedo sempre di collaborare alle mie produzioni. Per me è un grande onore e lui è uno di quei musicisti che alza il livello delle mie canzoni.

Proprio in “Stringiti a me”, canzone d’amore, dici una grande verità: “Quante decisioni provvisorie disegnano le storie”. Spesso succede proprio così…

Sì, perché noi ci creiamo delle aspettative ed in base a quelle ci facciamo dei film. E continuo dicendo “Sopra i muri di un quartiere, da scoprire ancora…”. Quando uno scrive una cosa su un muro è perché vuole lasciare un segno e dire anche questa è un po’ casa mia. A proposito di quartieri, Io conosco molto bene il mio, ma per alcune strade e vicoli del centro di Roma ancora mi perdo. Questa è una cosa bellissima e lascia intuire anche perché mi piaccia così tanto Roma e perché ne sia così legato, perché è una città tutta da scoprire, sebbene non stia attraversando un periodo facile; il livello affettivo però è una cosa che riesce ad andare oltre i problemi e la realtà delle cose.

Questo è un album molto coerente dal punto di vista dei suoni. C’è una forte presenza delle chitarre. Molto bello anche il giro finale in “Mi viene da ridere/Trastevere…

Sì, io ho la fortuna di avere una band meravigliosa, siamo tutti amici, tutti professionisti e tutti under 30. Siamo molto legati e questo è importante; per un lavoro delicato come quello del musicista, prima di tutto vengono i rapporti umani e, oltre ad Enzo Campagnoli e Fabio Massimo Colasanti, che sono musicisti fondamentali ma occasionali nelle mie produzioni, ci sono i miei musicisti di sempre, Nico D’Angiò il bassista, Giuseppe Taccini, che è un polistrumentista e si occupa soprattutto della fase di mix and mastering, e del recording dei miei dischi; Danilo Menna il batterista e Fabrizio Dottori, il sassofonista. Poi c’è Mario Romano, che a detta di tutti gli addetti ai lavori, a livello europeo, è il miglior chitarrista under 30. Potendo godere di un chitarrista del genere, che è anche un mio grande amico da anni, non posso non utilizzare queste sue grandi doti e il fatto che sia un chitarrista formidabile. La preponderanza della chitarra, che tra l’altro è uno strumento che amo moltissimo, è dovuta proprio alla sua presenza. Tra l’altro Mario Romano ha composto la musica di “Sei di mattina”, la mia canzone più famosa…

Citiamo anche Boosta dei Subsonica. Il suo sound è particolarmente evidente nel brano “Overlay”…

Boosta è stato un musicista importante per la produzione di questo album, si sente sicuramente il suo tocco e lo ringrazio per avermi regalato pezzi di grande spessore. E’ un cultore della musica ed un musicista con il quale ho legato molto all’interno della Nazionale Cantanti. Ci tengo a dire che con la Nazionale Cantanti non facciamo solo partite di calcio, ma c’è tutto un mondo dietro che va oltre la partita che facciamo in tv. E questo è importante. Siamo amici, facciamo spogliatoio e molti di noi collaborano anche musicalmente. E’ un’associazione di cui vado molto orgoglioso e speriamo di fare sempre più del bene.

Prendo spunto dall’ultima traccia di quest’album “Volevo essere per te”, per chiederti… in questo momento della propria vita cosa vuole essere Briga per se stesso e per la musica?…

Io vorrei tornare ad essere come quei cantautori degli Anni 70, che stanno nell’aria, di cui si percepisce l’anima ma che non si vedono e non si toccano. Questa è un’idea un po’ anacronistica per tempi come questi che invece richiedono sempre di più l’apparire, la presenza dell’artista. Prendiamo ad esempio gli instore; oggi se non fai gli instore rischi magari di non vendere nemmeno un disco. C’è questa cosa di farsi firmare l’album e di fare la foto per invogliare il pubblico a comprare l’album. Non voglio essere frainteso, non che io non ami il rapporto con il pubblico perché è una delle cose che mi rende più orgoglioso, ma mi piacerebbe che tornasse questa versione e visione dell’artista come se fosse qualcosa di astratto. Ti dico una cosa, io a Roma abito nello stesso quartiere di De Gregori, ma lo avrò visto massimo due volte nella mia vita, mentre tornava a casa con la spesa. Ecco io vorrei vivere in una dimensione in cui l’artista fosse quasi una forma di “super partes”, che sta nell’aria, e di cui si percepisce solo l’essenza e il punto di vista. Questo mi auguro di essere per il pubblico, poi nei rapporti personali, spero di essere capito, ed è quello che ho cercato di esprimere nel disco. Io in quest’album inizio subito con la mia voce, senza intro, senza musica, dicendo “Se ti sbranassero gli squali” e così via, come per dire hai comprato il disco, hai speso dei soldi e adesso mi ascolti dalla prima all’ultima traccia. Hai fatto questa scelta e adesso mi devi stare a sentire… Spero che il musicista ritorni a non essere un lavoro possibile a tutti, come la società sta cercando di far succedere adesso. Sembra che fare il cantante e comunicare sia possibile a tutti, in realtà non lo è. Spero che questo lavoro torni ad avere la stessa importanza di una volta. Oggi non è così. E’ puro business semestrale, non c’è niente di valore, niente di etico e non mi piace la piega che sta prendendo…

Giuliana Galasso

“Che cosa ci siamo fatti – Tracklist
Se ti sbranassero gli squali
Che cosa ci siamo fatti
Ciao Papà
Negli occhi tuoi
Mi viene da ridere/Trastevere
Dopo di noi nemmeno il cielo
Overlay
Stringiti a me
Mi sento strano
Ti piace ancora, qui?
Volevo essere per te

 

iDays 2018: Richard Ashcroft, Liam Gallagher, The Killers. L’estate è davvero iniziata

The Killers -iDays 2018

The Killers -iDays 2018

Al via gli iDays 2018. Quest’anno lo scenario è l’area dell’Ex Area Expo di Rho. Qualche chilometro a piedi per raggiungere il palco e poi c’è solo da divertirsi. La maratona rock inizia con il frontman dei Verve, protagonista di un set acustico in cui i brani della band si fondono con quelli del suo repertorio solista. Il risultato è simile a quello di un rito propiziatorio. Un solenne raccoglimento prima che sul palco compiaia Liam Gallagher, reduce dalla pubblicazione dell’album solista ”As You Were”. Il suo carisma è di quelli percettibili a pelle. Le temperature sono altissime ma lui, stoico, nel suo giubbotto giallo chiuso fino al collo, resiste impenitente nella sua posa da rocker dispettoso. Lui è una “Rock’n’Roll Star” e nulla pare poter intaccare la sua allure. Il set è ricco di inserti solisti: “For What It’s Worth, “Greedy Soul”, “Wall of Glass”, “Bold”, “I’ve All I Need” e “You Better Run”. Immancabili le pietre miliari della storia degli Oasis: Whatever”, “Supersonic”, “Some Might Say”, “Live Forever” e “Wonderwall”. Il set perfetto per il tramonto più lungo dell’anno.

Video: Liam Gallagher

La serata di incendia con gli headliners: The Killers. La band made in Los Angeles, con un appeal che richiama i fasti delle party band anni Ottanta, fa il suo ingresso tra orde di coriandoli. E’ il compleanno dello spumeggiante Brandon Flowers non mancano sorrisi a tutto spiano e saluti in italiano. Il set inizia con “The Man” e ingrana subito la quinta marcia con “Somebody Told Me” e “Spaceman”. Brandon è così carico da non riuscire a dosare voce e forze, un calo fisiologico macchia la parte centrale del concerto ma i conti vengono subito pareggiati nell’ultima parte dello show “Human”, “For Reasons Unknown”, “All These Things That I’ve Done”,“When You Were Young” e l’immancabile “Mr. Brightside” chiudono la prima serata che segna inderogabilmente l’inizio di un’estate tutta da costruire.

Video: The Killers

Raffaella Sbrescia

Set list – The Killers

The Man
Somebody Told Me
Spaceman
The Way It Was
Shot at the Night
Run for Cover
Smile Like You Mean It
For Reasons Unknown
Human
Tyson vs Dougla
A Dustland Fairytale
Runaways
Read My Mind
All These Things That I’ve Done

Encore:
The Calling
When You Were Young
Mr. Brightside

Calcutta: l’estetica decadente è l’arma vincente di “Evergreen”. La recensione

Calcutta-EVERGREEN

Calcutta-EVERGREEN

“Evergreen” è il titolo del nuovo lavoro di Edoardo D’Erme, in arte Calcutta. Un titolo che è già esemplicativo di una precisa intenzione. Il cantautore originario di Latina, fautore, si dice, dell’evoluzione della corrente indie in itPop, porta avanti il proprio personalissimo discorso con un capitolo che un nuovo importante paragrafo all’interno di una parabola artistica degna di nota. Quello che emerge nell’album è la chiara intenzione di declinare in maniera più dettagliata uno stile disegnato sui margini di distinzione tra l’assurdo e il geniale. Il disincanto, la sregolatezza, la ricerca melodica, la cura per la scelta degli arrangiamenti cesellano ritmiche e testi intrisi di malinconia, smarrimento, solitudine. I dilemmi sono i cardini su cui si muovono strofe e ritornelli cosparsi di ironia naïf. Calcutta è crudo ed è amaro, è vintage e innovativo, è melenso e destrutturato, è semplice ma efficace. Nelle sue canzoni descrive l’amore che non si può ammettere, la noia che smarrisce, l’annichilimento che toglie le aspettative, lo spunto di creatività, il barlume di speranza, la dolcezza dei momenti amarcord. La sua musica è italiana in ogni singolo aspetto, gli arrangiamenti sono curati nel dettaglio e lasciano trasparire in modo mai pesante tutta l’allure dell’artigianalità Made in Italy. Quando ci piace il sing along, del tipo “cosa ne potete sapere voi altri”. Quelle metriche che hanno già fatto scuola in pochi mesi rieccheggiano tra i sospiri di “Pesto”, nella visione notturna e ibrida di “Dateo”.
“Quello che voglio è farmi pungicare”, canta Calcutta, in “Kiwi” tra inquietudini e strette al cuore. Tra i picchi emotivi di “Paracetamolo” e l’isolamento spirituale di “Hubner”. Le canzoni di Calcutta sono agrodolci, a tratti distorte e fuorvianti. L’inadeguatezza cantata di “Rai” si trasforma in ipocondria nelle strofe di “Nuda nudissima”, per poi evolversi tra le memorabili ammissioni di intima rassegnazione in “Orgasmo” . La bellezza del repertorio di Calcutta sta forse nella sua estetica decadente, quasi post-apocalittica in cui si passeggia tra i ricordi e si finisce per cedere ad una irresItitibile scioglievolezza dei sensi.

Raffaella Sbrescia

TRACKLIST
01. Briciole
02. Paracetamolo
03. Pesto
04. Kiwi
05. Saliva
06. Dateo
07. Hübner
08. Nuda nudissima
09. Rai
10. Orgasmo

Pino è: solo Pino Daniele può cantare Pino Daniele. Allo Stadio San Paolo di Napoli i blasoni del pop italiano sfigurano mestamente

pino è

pino è

Partiamo da un assunto semplice: solo Pino Daniele può cantare Pino Daniele. Il concerto tributo “Pino è” allo Stadio San Paolo di Napoli nasce con l’intento di omaggiare la sua persona e la sua musica, ha una finalità benefica ma il pubblico di Rai 1 ha percepito tutt’altro e giustamente, direi. I cantanti coinvolti, mossi da un sincero spirito di amicizia e stima nei confronti di uno degli musicisti più grandi di sempre, hanno voluto esserci e esporsi cimentandosi in un repertorio assolutamente unico e inimitabile. Cantare Pino Daniele significa impregnarsi l’anima, sporcarsi la voce e inumidirsi gli occhi. La lingua, quel napoletano così ostico e così autentico, così ricco e così vivace, così pieno e così difficile da imitare diventa il limite più grande e più insormontabile per tanti, troppi di quegli artisti blasonati e quotatissimi. Il confronto è impietoso, in tanti sfigurano mestamente, su tutti Jovanotti, Ramazzotti, Gianna Nannini, Claudio Baglioni, Ornella Vanoni. Ad uno ad uno cadono di fronte all’incapacità di rendere anche solo alla lontana quella magia e quell’incanto che hanno stregato diverse generazioni. Straniscono gli interventi di comici chiamati a trovare collegamenti dove non ce ne sono. Particolarmente fuori luogo il monologo pietoso di Enrico Brignano, il più fischiato della serata.
Cosa possiamo dire ai tipi di Friends and Partner e a Fernando Salzano? Questo non era il saggio di fine anno, era l’occasione per mettere in mostra i gioielli più rari, di chiamare sul palco artisti e gente che Napoli la conoscono, la vivono sulla propria pelle, la sanno e la possono cantare proprio come amava fare Pino Daniele. Con le parole, con le note ma soprattutto con i silenzi. Dispiace constatare che questa serata è stata un’occasione sprecata, un momento di raccoglimento e aggregazione che ha fatto strabuzzare gli occhi a chi in questi trent’anni si è innamorato di Pino e lo porterà sempre nel proprio cuore. Se vogliamo guardare il bicchiere mezzo pieno, l’azzardato paragone ha messo in risalto l’inarrivabilità di musiche e testi nati dalla penna e dalla voce di un uomo e poeta che ha scritto pagine eterne di musica vera e non di plastica. Bando alla retorica, con le emozioni non si scherza. Ai più giovani consiglio di ascoltare i dischi di Pino e, nel caso, di guardare il docu-film “Il tempo resterà”.

Raffaella Sbrescia

Motta in concerto all’Alcatraz: quante cose possono cambiare in un anno.

Motta

Motta

“La voglia di non dimenticare e il coraggio di lasciarsi andare” sintetizzano il fulcro della nuova fase artistica di Francesco Motta. A un anno esatto di distanza da quel nervosissimo 31 maggio 2017, Motta torna sul palco dell’Alcatraz di Milano con un nuovo album sulle spalle e tanta esperienza di vita in più. La transizione tra “La fine dei vent’anni” e “Vivere o morire” è stata scandita da una maturazione personale e artistica che trasuda dallo sguardo fiero dell’artista. Ruvido fuori e assolutamente romantico all’interno dei suoi testi, Motta seziona i suoi brani, ne mette solo 17 in scaletta e li arricchisce di vibranti innesti strumentali in un concerto vivo, concreto, suonato, sentito. Il biglietto da visita parla subito chiaro: “Ed è quasi come essere felice”, introdotto da una lunga e psichedelica premessa. L’aspetto di Motta è di quelli che trasmettono inquietudine ma la sua voce e il suo sguardo catalizzano l’attenzione verso parole cercate, studiate, riposte, riprese, scelte, volute, tramandate. Il viaggio di Motta è un andirivieni tra il presente e il passato, è un gioco di tasselli che convergono in una scarica adrenalinica che non può essere arginata. Va ascoltato tutto d’un fiato Motta, Prima o Poi Ci Passerà a Sei Bella Davvero, La Fine Dei Vent’Anni, Abbiamo Vinto Un’Altra Guerra, Roma Stasera, Del Tempo Che Passa La Felicità, La Nostra Ultima Canzone, l’inaspettata “Fango”, testimoninanza degli anni con i Criminal Jokers e quella struggente “Mi parli di te”, che rivela in tutto il suo splendore la sensibilità di un rocker non più maledetto.

 Raffaella Sbrescia

Scaletta:

Ed è quasi come essere felice
La fine dei vent’anni
Quello che siamo diventati
Vivere o morire
Chissà dove sarai
La prima volta
Per amore e basta
Prima o poi ci passerà
Del tempo che passa la felicità
E poi ci pensi un po’
Prenditi quello che vuoi
Roma stasera
Encore:
Se continuiamo a correre
Abbiamo vinto un’altra guerra
Sei bella davvero
La nostra ultima canzone
Fango (Criminal Jokers)
Mi parli di te

J-Ax e Fedez: la coppia di platino riempie San Siro per “La Finale”. Il racconto della serata

Foto-concerto-jax-fedez-prandoni

Foto-concerto-jax-fedez-prandoni

Una storia di amicizia in musica. Un connubio di platino quello tra J-AX e Fedez che sigillano il loro successo portando 79500 persone allo stadio San Siro di Milano per “La Finale”. Da un’idea nata con la doppia data a Taormina, un po’ per gioco e un po’ per bulleria goliardica, il concerto ha pian piano preso vita e lo ha fatto senza badare a spese sotto la guida del giovane e intraprendente figlio d’arte Clemente Zard e sotto l’egida del patron di Rtl 102.5 Lorenzo Suraci. Con un palco centrale, aperto alla visione del pubblico a 360 gradi, l’evento si propone tra i più spettacolari del momento. A darsi man forte l’uno con l’altro J-Ax e Fedez ottimizzano sentimentalismo e cinico da business men creando una sorta di corto circuito che funziona e che, bene o male, li ha portati nelle case di tutti gli italiani. Meriti e celebrazioni non sono troppo a fuoco per i due, che quasi inconsapevolmente macinano traguardi da record, ponendo a più riprese l’attenzione su quello che accadrà da domani.

Foto-concerto-jax-fedez-prandoni

Foto-concerto-jax-fedez-prandoni

Quel che è certo è che J-Ax ha intenzione di ritirarsi per un po’ a fare il papà a tempo pieno (anche se ha in serbo la pubblicazione di un best of “Il bello di essere J-AX”), Fedez invece si mantiene sul pezzo, dichiarandosi nel pieno dei lavori per il nuovo album da solista. A chi pensava ad una super collaborazione con Diplo, il sedicente non rapper risponde che sono solo amici d’America ma, conoscendo il soggetto, mai dire mai. Sul palco con i due, tanti amici in veste di ospiti: Levante, Malika Ayane, Noemi, Nina Zilli, Guè Pequeno, Grido, ll Cile, Sergio Sylvestre, Stash e la sorpresa Cris Brave.
Ad aprire lo show la discussa Dark Polo Gang, poi un susseguirsi di sali scendi tra i più grandi successi della discografia di J -Ax e Fedez che hanno scelto di alternare fluidamente momenti singoli e di coppia. L’Italia non perdona il successo, si sa, ma bisogna dare merito a questi due che, venendo dal basso, hanno saputo creare non solo un’alchimia tra loro ma anche una realtà indipendente come Newtopia che, in termini di numeri, rappresenta in maniera tangibile la validità del loro metodo di lavoro.

Video: J-AX e Fedez @ San Siro

Tornando alla festa, due ore e mezza di concerto, il massimo consentito dalle regole vigenti, trasmesso in radiovisione, hanno messo in evidenza le personalità di ciascuno: J-Ax più idealista e hardcore, si è preso la sua rivincita, ha invitato suo fratello Grido sul palco, ha dimostrato che le sue vecchie rime profumano di verità, ha ritrovato l’ambizione sì, ma resta sempre Alessandro Aleotti, il fantozzi di serie A; come si è scherzosamente definito sul palco. Dall’altro lato troviamo Fedez, il più giovane artista ad esibirsi a San Siro. Paranoico, perfezionista, cinico e vanitoso, sceglie di cambiare abito e camicia quasi a ogni canzone, resta spesso a petto nudo ma alla fine si scioglie nel presentare il suo amico Cris Brave, un ragazzo nato con problemi respiratori post-parto che, seppur costretto sulla sedia a rotelle, ha cantato live “La panchina”; un testo carico di significato e di realismo.
Sarà anche solo musica del cazzo ma questo pop-rap fresco, spesso basa le sue rime nazional-popolari su fatti, usi e costumi che appartengono alla nuova attitudine esistenziale degli italiani. Probabilmente da soli non riusciranno a rifare questi stessi numeri ma la sostanza di questi anni trascorsi in coppia, dimostrano che insieme si può fare la differenza.

Raffaella Sbrescia