Alessandro Mannarino live al Fabrique di Milano: il racconto di un rituale magico e travolgente

Dopo anni di estenuante attesa, Alessandro Mannarino è tornato sul palco del Fabrique di Milano per la prima delle tre date milanesi del suo nuovo tour. Il viaggio live che l’artista propone si muove tra terre vergini, orizzonti misteriosi e spiriti magici. I protagonisti di questo percorso sono la donna, la natura, l’irrazionale profondo, il corpo e una ritmica ossessiva che rimanda agli ancestrali rituali trance-genici. A contraddistinguere il concerto ideato da Mannarino è una ricerca musicale profonda, completa, totalizzante. Natura, patriarcato, animismo, femminilità, rapporto uomo-donna, sono solo alcuni dei temi affrontati dal cantautore, non solo in scaletta ma anche e soprattutto in “V”, il suo ultimo lavoro discografico.

Mannarino ph Roberta Giobert

Mannarino ph Roberta Gioberti

Suoni di foresta e voci indigene registrate in Amazzonia introducono il pubblico al rituale live. La voce calda, cavernosa e viscerale di Mannarino è il lasciapassare per accedere ad una dimensione spazio-temporale che conduce l’immaginario in un altrove potente e immaginifico.

Con “Fiume nero” ci si addentra in un luogo dove le leggi della natura primordiale e selvaggia si smuovono tra suoni della natura,  percussioni ancestrali, elettronica e i suoni gutturali degli indigeni dell’Amazzonia registrati dal vivo. A seguire “Agua” prende le mosse dell’immagine di Iracema, la protagonista indigena del romanzo omonimo di José de Alencar, che fa anche da sfondo alla scenografia del concerto.

In un susseguirsi di frasi archetipiche, mentre la musica si arricchisce e si ingrossa come un fiume, il brano avanza inesorabile verso una celebrazione-preghiera alla potenza vitale dell’acqua. E’ la volta di “Apriti cielo” che, come un mantra, libra una preghiera quanto mai attuale: “Apriti cielo. Sulla frontiera. Sulla rotta nera. Una vita intera. Apriti cielo Per chi non ha bandiera Per chi non ha preghiera Per chi cammina Dondolando nella sera”.

Mannarino ph Roberta Giobert

Mannarino ph Roberta Gioberti

 Il conflitto tra il nichilismo e la lotta al potere del sistema si fa vibrante ne “L’impero” per poi evolversi in modo approfondito  in “Cantarè”: il brano parte da una condizione di solitudine ed evolve in un canto corale. Tra rime in italiano, spagnolo e in romanesco, il pezzo trascina. Canti di rabbia, di rivolta, di resistenza, d’amore, diventano l’ultimo baluardo per superare ingiustizia e delusione.

Frutto della collaborazione con “MEXICAN INSTITUTE OF SOUND” la “BANCA DE NEW YORK” è un esperimento ironico in cui il registro più romanesco e radicale si fonde con un mondo sonoro acido ispirato alle atmosfere del Mississippi.

Il focus su “Lei” restituisce l’immagine della donna come  forza eterna, creatrice, distruttiva, creativa che continua in “Bandida”: la fotografia della ribellione al sistema patriarcale. Sulle  note di “Ballabylonia” il rituale entra nel vivo e si fanno largo immancabili vecchie glorie come “Serenata lacrimosa”, “Tevere Grand Hotel”, “Scetate vajò” e soprattutto “Arca di Noè” che trasforma il Fabrique in un carnascialesco catino.

Mannarino ph Roberta Giobert

Mannarino ph Roberta Gioberti

Il trittico finale si apre con Mannarino, da solo alla chitarra, che visibilmente emozionato, dice: “Ho pensato tanto a questo momento, non sapevo cosa avrei provato sul palco, ho sentito persino paura, invece è stato più bello di prima. Da questo palco ho visto un altro spettacolo, guardarvi mi ha ripagato di tutto”, subito prima di intonare il poetico brano intimista “Paura”. Sensuale e ipnotica “Statte zitta” lascia il passo alla celeberrima “Me so ‘mbriacato”. Il cerchio si chiude con il pubblico annichilito dal sublime piacere di essere stato parte attiva di un concerto magico e prezioso.

Raffaella Sbrescia

Mannarino ph Roberta Giobert

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Giobert

Mannarino ph Roberta Giobert

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

 

 

 

 

 

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Tommaso Paradiso live al Teatro Arcimboldi di Milano: emozioni, nichilismo e ciaciara in un perfetto concerto pop

Si è tenuta presso il Teatro degli Arcimboldi di Milano la seconda delle tre date milanesi dello Space Cowboy tour di Tommaso Paradiso. Sono circa le 21.15 quando si alza il sipario è inizia lo show. Paradiso fa le cose in grande e sceglie di farsi accompagnare da una band tanto affiatata quanto performante: Gianmarco Dottori (chitarra e pianoforte), Nicola Pomponi (chitarra), Silvia Ottanà (basso elettrico e synth), Daniel Fasano (batteria), Angelo Trabace (pianoforte, tastiere e synth), l’ottimo Marco Scipione (sax e percussioni), Francis Alina Ascione e Roberta Montanari ai cori.

Tommaso entra sul palco in penombra e intona “Guardati andare via”. La voce è piena e calda, la scenografia richiama le atmosfere del suo album da solista “Space Cowboy”. Paradiso chiude gli occhi e idealmente abbraccia questi tre anni di crescita personale e artistica, costellata di rinvii ma anche di tanti singoli che ogni volta hanno saputo lasciare il segno. “Sono solo un vaccaro che ama guardare il cielo”, canta Paradiso nella title track, il suo spirito è legato a doppio filo agli anni ’80, con una smodata passione per il cinema e quelle atmosfere amarcord così radicate in sé da farle trasparire, reiventarle e ravvivarle nei suoi testi, negli arrangiamenti e nel modo di concepire il mondo sempre con una certa nostalgia e una irrinunciabile condizione di disagio che finisce spesso in caciara.

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La malinconia di “New York”, in combo ai bei vecchi tempi di “Promiscuità”, cede il passo all’irriverente estemporaneità di “Silvia” e poi al nichilismo di “Sold out” con il mantra: Senza una meta senza una strada con gli occhi lucidi e la sigaretta.  “Quanto costa la libertà?” Si chiede Paradiso in “E’ solo domenica”, un brano importante che l’artista dedica sempre alla stessa persona.

La scaletta prosegue con “Magari no”, “Tra la strada e le stelle”, “Completamente” cantata a squarciagola da tutto il pubblico che balda in piedi rompendo le righe anticovid.

Si prosegue a pieno ritmo con “La stagione del cancro e del leone” in versione dance anni ’90. “Oggi sono stato bene. Sono stato bene anche da solo. Con il pianoforte e mille cose in testa. Che non mi deludono mai. Che non mi abbandonano mai, canta Paradiso in “Lupin”, sopraggiunge il medley composto da  “Fatto di te” e “Il tuo maglione mio”. Una pioggia di torce si accende per “Questa nostra stupida canzone d’amore”. Trascinante il loop di “Riccione” sul cui ritornello, il TAM diventa un catino incandescente.

Il concerto si interrompe bruscamente si tratta apparentemente di una pausa, poi è lo stesso Tommaso a ricomparire una ventina di minuti dopo, scusandosi per l’attesa e spiegando di essersi sentito male all’improvviso.  L’ultima trance del concerto è tutta da cantare con “Tutte le notti”, “Felicità puttana”, sulle cui note l’artista fa salire delle fan sul palco con lui per cantare viso a viso, cuore a cuore. Le prime file si si riversano felici e scomposte sotto palco: non ci sono più barriere. L’ultimo brano in scaletta è un augurio ma anche un monito “Ricordami”. E così sarà perché perdersi in un concerto pop tante volte è proprio quello che ci vuole per sedimentare la realtà e affrontarla più a cuor leggero.

Raffaella Sbrescia

Microchip Temporale Club Tour: la notte magica dei Subsonica a Milano

Una pandemia, sei rinvii, tanti possibili motivi per bruciare o rivendere il biglietto e invece no. Ci si ritrova sotto palco all’Alcatraz di Milano con un filo di ansia, il cuore in fibrillazione, emozioni altalenanti nella testa, grandi aspettative e qualche paranoia pronta a fare capolino, ma tutto sommato finalmente pronti a poter celebrare la vita e la buona musica, quella dei Subsonica per il Microchip Temporale Club Tour.

Il viaggio live dei Subsonica riprende da dove si era fermato due anni fa con la pubblicazione di Microchip temporale, in occasione del ventennale di Microchip emozionale, un album che ha segnato almeno un paio di generazioni e che i fab 5 di Torino hanno portato a nuova vita lavorando con grande sinergia insieme a una manciata di colleghi selezionati per coerenza generazionale e di percorso artistico. Non ci sono led o effetti speciali ma tanti strumenti e tanta energia a fare da surplus ultra a una scaletta molto ben studiata nei dettagli.

L’intro è un colpo diretto al cuore, ci sono le sirene che annunciano una guerra e che ci legano a doppio filo all’attualità senza rifuggirla. Il live si apre con “Ali scure”, chiudiamo gli occhi e trema l’aria, proprio come canta Samuel in una invidiale forma smagliante. Si prosegue con “Istantanee”: Senza parole ascolto la mia strada, senza parole e il tempo di decidere, senza parole mi muovo incontro ai giorni è il mantra che ci accompagna ancora oggi, step by step. A seguire ritroviamo “Colpo di pistola” con quel mollone di Boosta, che non lesina salti acrobatici e sguardi sornioni. Ritroviamo il grido liberatorio di “Liberi tutti” a cui ciascuno di noi sceglie di credere ad ogni costo, saltando a più non posso. Il live è quanto di più lontano possa esserci da una operazione nostalgica, tant’è vero che sulle note de “Il cielo su Torino”, ENSI fa il suo ingresso sul palco per rappare le sue barre ma anche per trascinare la folla nella sua “Numero Uno” e per incantare gli astanti con la cover perfetta di “Aspettando il Sole”, cantata con un ispiratissimo Samuel. Le sorprese non sono finite: è la volta del feat con WILLIE PEYOTE in “Sonde”. Il rapper torinese scippa il palco ai Subs che lo accompagnano nella sua “Non sono razzista ma” conquistando una ovazione da parte del pubblico. Il terzo ospite della serata è MISS KETA che, non solo scardina e rivista “Depre” a tu per tu con Samuel, ma si prende il palco e il pubblico con “Milano Sushi e coca” con grande nonchalance.

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L’Alcatraz si trasforma poco dopo in un catino bollente con il sopraggiungere di “Aurora sogna”, la fanciullina che abita in ciascuno di noi, a cui i Subs scelgono di non rinunciare. L’atmosfera si fa sospesa con “Lasciati”: E’ futile comprendere perché a volte i pensieri si confondono e mischiano speranze e realtà, segnali che si perdono così un radar pronto quando chiude il cielo e noi colpevoli di troppa oscurità, canta Samuel in modo ipnotico. Un bel giro di basso di Vicio ed è il tempo di “Albe meccaniche”, anche in questo caso il testo si mostra aderente ai tempi che corrono, dimostrando una volta di più quanto certi testi siano pregnanti e pieni di significati reconditi e mai circoscritti ad un tempo preciso.

 La seconda vita di Microchip emozionale, prende il largo anche da un punto di vista strumentale con la versione remix di “Discoteca Labirinto” realizzata ad hoc da COSMO. Sul palco il brano diventa live art happening con una performance di Boosta e Max ai tamburi ad alto impatto scenografico. Sentito l’omaggio a Claudio Coccoluto ne “Il mio dj”. Forse meno nota ma incredibilmente potente è “Il centro della fiamma”, il groove è al massimo, il club, la notte ferrugginosa, il glam della metropoli, e quel blocco allo stomaco che ti restituisce la certezza di essere di fronte alla bellezza autentica. Magnetica la potenza underground di “Veleno”. Tutti giù per terra per l’ondata perfetta de “Il diluvio”. Il monito alla reattività proattiva di “Lazzaro”. Lo schiaffo puntuale e bruciante de “Il punto critico” cede il posto alla commozione che arriva, incontrollabile sia per il pubblico che per Samuel, sulle note di “Strade” dedicata al fotografo di scena e amico fraterno della band Pasquale Modica, scomparso da pochi mesi.

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L’incantesimo sta per spezzarsi ma non prima di raggiungere il suo apice sulle note di “Tutti i miei sbagli”, svestita del suo arrangiamento più famoso, per essere cantata a squarciagola, anche sotto la mascherina, a occhi chiusi e cuore pieno di ricordi, emozioni, nuove certezze e tanta gratitudine per una band, come quella dei Subsonica, che non molla un colpo e che semmai ne assesta sempre di nuovi, tenendosi ben saldi i consensi che le spettano.

Raffaella Sbrescia

Maldestro presenta “EgoSistema”. Intervista ad ego aperto.

Abbiamo  incontrato il cantautore napoletano Maldestro per una chiacchierata sull’ultimo album “EgoSistema” ma anche tanto altro. Un universo-uomo fatto di immagini, pensieri, personaggi che fluttuano voluttuosi tra i tanti progetti di un artista poledrico.
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Antonio, più che un’intervista a cuore aperto, la nostra è una chiacchierata ad “Ego” aperto sulle canzoni di questo nuovo progetto. Partiamo proprio dal cuore, disegnato anche sulla copertina del disco. Secondo te come se la gioca con l’ego?

Penso che cuore ed ego siano sempre e completamente in lotta. Ogni tanto vince l’ego, ogni tanto il cuore ha la meglio su tutto. La soluzione sarebbe trovare un equilibrio perfetto tra le due cose. L’ego è fondamentale per l’essere umano, ma non deve prevalere, “sforare”; in questo modo, finirebbe solo per fare danni. La cosa più giusta sarebbe costruire un ponte tra cuore ed ego…

So che “EgoSistema” è un album che, almeno dal punto di vista della scrittura, non ha avuto una gestazione lunghissima…

Sì, è vero, l’ho scritto in pochi mesi, da Novembre 2019 a Gennaio 2020. Rispetto agli album precedenti, è stato diverso il metodo, nel senso che prima tendevo solitamente a prendere la chitarra o il pianoforte e cominciavo a scrivere canzoni. Per questo disco, invece, ho cercato prima un suono diverso, ho creato prima gli arrangiamenti e poi ho cominciato a scrivere, quindi è stato partorito in maniera diversa. Mi sono divertito molto. Ho concluso le registrazioni a Milano a Marzo del 2020, qualche giorno prima del primo lockdown. Sono tornato a Napoli giusto in tempo…

Nel primo periodo di pandemia sei anche tornato al tuo primo grande amore, il Teatro, scrivendo molto anche per questo…

Sì, in quei mesi ho lasciato stare un po’ la musica e mi sono dedicato al teatro, riprendendo delle cose già scritte e scrivendo dei racconti nuovi per ultimare il mio primo romanzo. Gli ultimi due anni li ho trascorsi così…

Qualche mese fa hai anche portato in scena al Teatro Piccolo Bellini di Napoli lo spettacolo “Io non sono pacifista”…

Sì, è uno spettacolo ispirato alla storia di Gino Strada. Ho letto i suoi libri e mi hanno letteralmente aperto il cuore a metà, così ho pensato di farne una pièce teatrale. E’ stato un bellissimo viaggio. Io amo molto il teatro civile. Questo è stato uno spettacolo necessario, e anche doloroso. Persone come Gino Strada devono essere raccontate, perchè si tratta di uomini in grado di “spostare” il pensiero e cambiare la visione del mondo. Per me è stato un onore poterlo far rivivere in questo spettacolo e poterlo rappresentare in qualche modo…

Iniziamo ad entrare nelle canzoni di questo disco. Parto dalla title track “EgoSistema”. La frase “Io fingo di ascoltare tutti” quanto ti somiglia?…

Parecchio. Mi somiglia parecchio perchè è così, talvolta siamo così presi da noi stessi che quello che dicono gli altri ci interessa poco. Nonostante io sia un “ascoltatore seriale” e mi piaccia molto ascoltare, ogni tanto fallisco vergognosamente…

Alla fine della canzone ci sono delle bellissime parole. Mi hanno colpito in particolare queste, perchè raccontano una grande verità: “Ci sono persone scritte al contrario, puoi leggerle solo da dentro, e allora ci devi entrare”…

Sì, a declamare queste parole è Cinaski, Vincenzo Costantino, un bravo poeta milanese, anche se dire bravo è molto riduttivo. E’ un grande poeta con il quale ho collaborato; ci siamo ritrovati una sera a Milano in un locale, assieme a Manuel Agnelli, e per caso è nata anche la nostra amicizia. Lui ha scritto molti libri e ha lavorato anche con Vinicio Capossela. Le persone scritte al contrario sono in assoluto le migliori che abbia mai incontrato in vita mia, hanno un pensiero diverso dai soliti schemi abituali. Faccio sempre il tifo per questo tipo di persone…

Sì questo è un po’ il discorso che facevamo prima, dell’equilibrio tra cuore ed ego. Trovare un equilibrio col mondo esterno ti aiuta poi a guardarlo meglio il mondo, e per trovarlo, secondo me, bisogna prima cercare dentro di sè, cercare chi si è, in modo che poi gli altri si possano accordare, un po’ come le navi sull’oceano. Il mondo è fatto di individualità che devono poi creare una comunità, e quindi è fondamentale trovare questo equilibrio…

Una delle mie canzoni preferite di questo disco è “Anna se ne frega”, un pezzo delicato e intimo che racconta anche di quanto a volte sia liberatorio “sbagliare e fregarsene”…

Assolutamente. Sbagliare ci aiuta a correggere il tiro, a comprendere chi siamo. Chi non fallisce, non fa. Sono un grande fan dei fallimenti perchè su quelli si costruisce e si guarda avanti. Sbagliare è fondamentale…

Un’altra canzone fortemente autobiografica è “Pezzi di me”. Hai in qualche modo ricomposto i pezzi di questo Puzzle?

No, non credo. O almeno, in quei tre minuti e mezzo di canzone, sì, perchè in quel breve tempo, canti, ti liberi, e in qualche modo ti rimetti a posto con l’universo. Poi subito dopo, i pezzi, e per fortuna direi, ritornano di nuovo sparsi, e quindi il lavoro che mi tocca fare ogni tanto è quello di raccoglierli e di metterli di nuovo insieme. Sono fatto di pezzi che si compongono e scompongono continuamente…

Probabilmente non basta una vita a raccogliere tutti i pezzi di sè

Ma forse nemmeno due…

“Il Panico dell’ansia”, L’ansia del Panico. Sono in qualche modo complementari o intercambiabili?

Sì, in base al livello di ubriacatura… (ride… n.d.r.)

Nel 2017 hai partecipato al Festival di Sanremo con “Canzone per Federica” (Secondo Posto tra le Nuove Proposte e  Premio Della Critica Mia Martini n.d.r.) che io considero una delle canzoni più belle mai scritte nella musica italiana. Rifaresti il Festival?

Sì lo rifarei. Sanremo è stata un’esperienza molto bella, divertente, appassionante. L’ho vissuta come se fosse veramente un gioco, cercando di non essere risucchiato dalle luci della ribalta. L’ho vissuta davvero come fosse una gita della scuola…

Quale canzone di questo disco avresti presentato a Sanremo?

Forse “Come Kim Ki-Duc”, uno dei pezzi che più mi rappresenta.

Hai citato il Regista “Kim Ki-Duc”, e in due pezzi dell’album citi Marilyn. Che rapporto hai con il Cinema?…

Con il cinema ho un rapporto straordinario. Sono un appassionato di film in bianco e nero, ma anche del cinema muto. Amo in particolare il cinema coreano che, secondo me, ha autori e registi fantastici, tra cui Kim Ki-Duc, Il cinema mi ha dato tanto, ed è una forma d’arte che, attraverso le immagini, la scrittura, il sonoro, esprime tantissimi sentimenti. E’ una forma d’arte completa…

C’è una frase che ripeto spesso nelle mie interviste con gli artisti, e che nel tuo caso, mi sembra particolarmente calzante: Ci sono “Dischi da leggere e Libri da ascoltare”. Tra i tanti, quali sono stati i libri che ti hanno cambiato e salvato la vita?

Uno dei libri che mi ha cambiato la vita è stato “La Fine è il mio inizio” di Tiziano Terzani, uno di quegli autori che “sposta il pensiero” e ti fa guardare le cose e il mondo in maniera diversa., Questo è stato un libro che mi ha aperto davvero gli occhi su tante cose e situazioni, soprattutto interiori. Terzani, oltre ad essere un giornalista di grande valore, è stato anche un uomo che è sceso spesso dentro di sè. A me ha donato tanto, quindi è un autore che consiglio a tutti…

Un altro pezzo che amo di quest’ album è “Paranoie”, canzone che racconta delle nostre fragilità. Mi piace questa frase che recita un’altra grande verità: “Farsi amare senza amare” è un piccolo reato…

Sì lo è, anche se io sono del parere che si cambia nella vita, si cambia almeno ogni mezz’ora. A volte riascolto cose che ho scritto un paio di anni fa e mi dico ” Ma questo sono io… io non la penso così ora…”. Questa frase ha in sè una piccola verità anche se penso che poi tutto è amore, e anche quando non si ama ci sono sempre delle ragioni d’amore. Riascoltandola oggi probabilmente non la riscriverei…

Cose dette da altri con le quali Maldestro è d’accordo o meno…

“Date fiducia all’amore, il resto è niente” (Giorgio Gaber)
Beh sì, sono d’accordo. L’amore è la ragione per cui tutto è…

“La Globalizzazione è un sistema studiato per far respirare il denaro attraverso la pace” (Alessandro Baricco)

Trovo che la globalizzazione abbia i suoi pro e i suoi contro, io sono per l’Umanità. Per me è un fallimento che l’Italia si chiami Italia e la Polonia si chiami Polonia. Mettere una bandiera per varcare un confine è come mettere un muro, e questo spesso è causa di guerre, ma è anche vero che la globalizzazione ha portato ricchezza culturale; rispetto a cinquant’anni fa, oggi è molto più semplice potersi confrontare con qualcuno che vive in Finlandia, e questo confronto ci porta a crescere, conoscere e comprendere anche altre culture e umanità.

“Ogni cosa fatta in qualche modo la si paga in ansia, in insuccesso, e se tutto va bene, in nostalgia… (Fabrizio De Andrè)
Sì concordo… e con la morte concluderei io… Mi viene in mente una frase di un film d’animazione, quella della scena in cui Simba e il padre guardano l’orizzonte e Simba chiede al padre: A cosa serve l’orizzonte se noi ci avviciniamo e lui si allontana?… E il padre risponde: Per avanzare…
Anche se noi sappiamo che ad un certo punto c’è la fine, viviamo per avanzare, l’istinto umano ci porta ad andare sempre oltre. Sembra una follia ma la grandezza della vita è questa…

Ci saranno prossimamente appuntamenti live di concerti o teatrali?…

Sì, stiamo lavorando in questi giorni alla chiusura di alcuni concerti. Anche per il teatro è così. Ci saranno delle date estive ma non abbiamo ancora un calendario definito.

Nell’Egosistema di Maldestro come si vive?…

Una bomba… (ride n.d.r.)… Scherzi a parte, si vive tra terremoti e primavere…

“EgoSistema” Tracklist

1) Ma chi me lo fa fare
2) EgoSistema
3)Precario Equilibrio
4) Anna se ne frega
5) Pezzi di me
6) Il panico dell’ansia
7) Leggero
8) Segnali di fumo
9) Paranoie
10) Un’altra bella scena (porno)
11) Come Kim Ki-Duc

GIULIANA GALASSO