“Arrivano gli alieni”, Stefano Bollani non smette di stupire e diventa cantautore. L’intervista

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“Volevo fare il cantante. Ho iniziato a suonare il piano a sei anni per poter un giorno accompagnare la mia voce. Oggi invece è la mia voce ad accompagnare il pianoforte”. Con queste parole Stefano Bollani introduce “Arrivano gli alieni”, il terzo disco in solo dopo “Smat smat” (2003) e “Piano solo (2007), in uscita venerdì 11 settembre, per Universal Music. Realizzato in completa autonomia al pianoforte e al fender Rhodes e composto da 15 brani molto variegati, questo album racchiude quella che è l’essenza di Stefano Bollani oggi: libero, coraggioso, disinvolto, ironico e genuino.  Spaziando dagli evergreen “Quando quando quando”, Jurame”, “Aquarela Do Brasil” agli inediti assoluti “Microchip”, “Un viaggio” e la titletrack “Arrivano gli Alieni”, Bollani mette subito le cose in chiaro: non ci sono preconcetti. Ed è così che l’artista si cimenta per la prima volta come cantante, autore di testi e musiche. “Gli alieni quando passano di qua mica prendon le abitudini di quaggiù, mica fanno scambio case house exchange, mica utilizzano car sharing o internet. Solitamente ci oltrepassano, non li guardi e non ti guardano e stanno a controllare se il pianeta è in asse con il blu, è in tono con il verde, è pieno di caucciù, e se la sua energia è annoverabile tra i più”, canta Bollani, concentrando l’attenzione su temi importanti, senza mai abbandonare una sottile leggerezza di sottofondo.

Ecco quello che l’artista ci ha raccontato durante la presentazione dell’album.

Come hai selezionato le canzoni che hai inserito nell’album e da quanto tempo le avevi in testa?

In realtà da poco tempo, in un primo momento ho  pensato a chi avrebbe potuto cantarle ma nessuno mi sembrava adatto; alla fine ho deciso di cantarle io stesso. Gli inediti sono nati di getto, ne avevo solo tre ma non volevo aspettare che ne arrivassero altri otto per fare un album intero. Quando ho un’idea mi piace lanciarla subito e così è successo.

Come motiveresti i richiami a Carosone in “Microchip” e a Bruno Martino in “Arrivano gli Alieni”?

Sinceramente è un caso ma il parallelo ci sta tutto. Sono due autori che fanno parte del mio background.

Quali sono i tuoi autori preferiti?
I Beatles, anche se musicalmente siamo lontanissimi, e molti brasiliani, su tutti cito Jobim e Chico Buarque. Tra gli italiani potrei usare molti nomi scontati come Jannacci, Gaber, De André ma sento vicine anche alcune canzoni di Capossela e Silvestri. Ecco, io mi innamoro delle singole canzoni non delle intere discografie. A questo aggiungo di non essere preparato sugli autori più recenti, quelli che non hanno cognome.

Chi sono gli alieni di cui parli?
L’alieno può essere usato come metafora, è quello che ci può salvare provenendo dall’esterno, qualcuno che è estraneo da noi e che guardando la nostra situazione ci viene a salvare. Mi immagino alieni che passano sulla terra di tanto in tanto per controllare cosa stiamo facendo e se abbiamo imparato a rispettare la natura, cosa che purtroppo non accade tanto spesso.

In una tua vecchia intervista hai detto che da bambino volevi diventare come Celentano
Era il mio sogno quando avevo sette anni. Lo imitavo allo specchio, sapevo a memoria tutte le sue canzoni, lo ammiravo perché era in grado di fare qualsiasi cosa, cantare, scrivere, stare sul palco, recitare, fare teatro e programmi tv. In effetti è quello che ho cercato di fare nella vita.

Quanto è stato difficile scrivere ?

All’origine del progetto c’è il desiderio di raccontare qualcosa di personale per cui, o scrivevo un libro o cantavo le mie canzoni, ho optato per la seconda opzione. Mi ha stupito la facilità con la quale scrivevo: ammetto che avevo solo me stesso a giudicare e io sono molto indulgente. In tutto.

Quanto ti rispecchi in questo album?

Di solito mi rispecchio sempre nell’ultima cosa che ho fatto. Sono grato alla Universal per aver stampato subito il disco, ci sono ancora parecchio dentro.

Hai mai avuto problemi con i cosiddetti “puristi”?

Il contrario di puro è sporco e, dato questo presupposto, rifuggo fortemente da questa contrapposizione. Quello che mi obbliga a stare dentro una struttura mi mette in difficoltà.

Come mai l’utilizzo del Fender?
L’ho riscoperto negli ultimi anni, soprattutto quando ero in tour con Irene Grandi. Mi sono divertito a suonarlo perché permette di creare sfumature diverse , è uno strumento vivo sotto le dita, mi mette a disposizione una notevole tavolozza di colori.

Nella canzone gli alieni danno un comandamento, quale?

Non lo dico, ognuno deve elaborarsi il proprio.

Come è nato il brano Microchip?
Negli Stati Uniti è possibile acquistare online dei microchip e darli ai propri figli così che possano sempre esser controllati. Questa cosa l’ho trovata  a dir poco raggelante e lo dico dal punto di vista di un genitore. È pericoloso far passare che possa essere utile l’idea di un mondo di persone controllate, penso che siano molto meglio le differenze e che il mondo in realtà sia solo pieno di paura.

A cosa ti sei ispirato per un’interpretazione del napoletano così simile all’originale?

Mi sono ricordato di una scena che ho visto di recente ad Ischia, c’era una signora che si comportava in modo da tenere tutta la famiglia sotto controllo senza muovere un muscolo. Tirerei in ballo la cosiddetta “socialità ricorsiva”, un modus operandi molto diffuso in certi contesti e che si sposa perfettamente con il mood di “Microchip”.

Quanto hai modificato le cover che sono nell’album?
Tantissimo. Sono partito dal ricordo che avevo di quelle canzoni, dalla loro ossatura e ho trasfigurato il tutto

Parteciperesti al Festival di Sanremo?

Rifuggo l’idea di gara, potrei andarci però come ospite super pagato (ride, ndr)

Quali saranno i tuoi prossimi passi?

Non c’è nessun progetto di classica all’orizzonte, anche se mi piacerebbe tirare l’orchestra dalla mia parte. Ho un tour in arrivo e la trasmissione su Raitre, anche se per il momento è tutto un work in progress.  Suonerò live per il MiTo il 15 settembre all’Auditorium “Giovanni Agnelli” di Torino, in particolare eseguirò la “Rapsodia in Blu” di Gershwin con l’Orchestra Haydn di Bolzano mentre il 16 settembre sarò agli Arcimboldi di Milano per presentare per la prima volta in assoluto “Arrivano gli alieni”.

Cosa pensi dell’evento “Il jazz italiano per l’’Aquila”?

Non c’ero ma non so se sarei andato; tra l’altro ero anche impegnato per un altro concerto. So che c’era tantissima gente e che è stato un grande evento però non ho ben capito quale fosse il senso ultimo. In pratica il governo ha organizzato una cosa per ricordare che il governo doveva fare qualcosa che non ha fatto.

Che rapporto hai con la sua etichetta discografica?

Non abbiamo nessun contratto di esclusiva, di volta in volta rinnoviamo la nostra sintonia. Cambiano gli interlocutori in base ai progetti.

Tornerai anche a recitare?

A marzo sarò nel cast de “La Regina Dada” e gireremo i teatri. Siamo in fase di riscrittura. In passato avevo partecipato al drammatico provino del film “ E la chiamano estate”, fui chiamato dallo stesso regista e per questo convinto che alla fine sarei stato preso; alla fine il provino mi ha provato a tal punto che, quando mi hanno scartato, ho tirato un sospiro di sollievo.

 Raffaella Sbrescia

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Tracklist

Alleanza

Quando quando quando

Sei là

Aquarela Do Brasil

The preacher

Matilda

Gato

Microchip

Mount harissa

Aural

Vino Vino

Un viaggio

Jurame

Arrivano gli alieni

You don’t know what love is