Intervista ai Flim: «Vi presentiamo “Time in a fish bowl”»

Flim

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I Flim sono un trio strumentale composto da Massimo Colagiovanni, Giovanni Pallotti e Davide Sollazzi, tre musicisti che, nel 2012, hanno creato un progetto musicale molto originale e ben strutturato fin nei minimi dettagli.  ”Time in a fish bowl” è il loro primo disco, frutto di un intenso anno di lavoro; una linea melodica, minimale, a tratti ipnotica, caratterizza la loro musica che, sfuggendo a qualsiasi classificazione di genere, si presta ad interpretazioni molto eterogenee. In questa intervista il gruppo ci racconta la genesi del disco lasciando, deliberatamente, molto spazio all’immaginazione per un’esperienza d’ascolto da affidare esclusivamente ai propri sensi.

Chi sono i Flim e con quali obiettivi artistici nasce questa compagine musicale?

I Flim sono un trio di musica strumentale, nato nel 2012 a Roma. Dopo un anno dedicato alla composizione abbiamo deciso di registrare un album “Time in a fish bowl”, che uscirà prossimamente.

flim cover albumOtto tracce compongono “Time in a fish bowl”, il vostro primo progetto discografico. Quali sono i temi che hanno influenzato la fase compositiva del disco, le sensazioni che avete provato durante la costruzione di ogni melodia e il riscontro che vi aspettereste da un ipotetico ascoltatore?

Il momento della composizione è stato molto bello, addirittura esaltante. Un lavoro lungo che nel tempo ha delineato l’identità musicale del gruppo.

La scelta di produrre un disco strumentale potrebbe costituire un motivo in più per candidare il vostro sound a musica per immagini (film, cortometraggi, visual art)?

Assolutamente sì. Dopo la composizione e la registrazione del disco c’è stata una fase di ascolto e di comprensione, in cui abbiamo capito quanto l’immagine visiva sia fortemente suggerita dalla nostra musica. Uno dei primi obiettivi che ci prefiggiamo quindi è proprio la sincronizzazione video, e al momento stiamo lavorando al nostro primo videoclip.

Anche se appare subito evidente l’impossibilità di associare la vostra musica a qualsiasi tipologia di genere, c’è qualche influenza esterna o qualcosa che avete attinto dal vostro background?

Nella scrittura dei brani sono naturalmente venute fuori le nostre influenze, i nostri ascolti. Su tutti, due nomi: The Bad Plus e Radiohead. Il risultato effettivamente è difficile da catalogare, ma tutto sommato di facile ascolto.

In alcune tracce del disco ci sono brevi momenti strumentali che sembrano ripetersi in maniera quasi ipnotica… cosa intendete trasmettere attraverso questa tipologia di performance?

Niente in particolare, non c’è un messaggio di cui la nostra musica si fa tramite. L’ossessività di alcune ripetizioni, così come tutte le scelte musicali che abbiamo preso, hanno motivazioni puramente estetiche. Per rendere l’idea, abbiamo trovato i titoli ai nostri brani solo una volta registrati; prima è arrivata la musica.

All’interno del vostro lavoro c’è anche la collaborazione con il Quartetto Sincronie, come è avvenuto questo incontro artistico?

Per l’arrangiamento degli archi ci siamo rivolti a Stefano Scatozza. La scelta del Quartetto Sincronie per l’esecuzione degli archi è stata sua.

Quello che colpisce del vostro lavoro è che ogni brano presenta una struttura completa: ogni strumento riesce a ritagliarsi un ruolo da protagonista senza, tuttavia, oscurare gli altri, creando un’alchimia in grado di trasmettere molteplici sensazioni. Come siete riusciti a bilanciare gli elementi che avevate a disposizione?

Buona parte della nostra musica è molto “scritta”. Le parti e i suoni di ogni strumento sono il frutto di scelte accurate, che ci hanno permesso di trovare ad ogni strumento il proprio “posto” all’interno di ogni brano.

Uno dei brani che si prestano meglio ad un’interpretazione eterogenea è “Release”: delicato, onirico, sognante, a tratti jazzato, fino al climax della jam session finale… come commentereste voi questa traccia?

“Release” è stato l’ultimo brano che abbiamo composto prima di registrare l’album. Nonostante non sia nato con questo intento, per noi è un brano che rappresenta il cambiamento: la fine e l’inizio, calma e il movimento, la tensione e il rilassamento.

Quali saranno i prossimi passi del vostro percorso? Ci saranno dei live?

A breve presenteremo “Time in a fish bowl” e inizieremo a fare live in tutta Italia. Stiamo organizzando anche alcuni live in Inghilterra, in collaborazione con l’artista che ha curato il nostro art work, Jakob Belbin

Raffaella Sbrescia