Ritratti di giovani autori: intervista a Giulio Musca

Ritratti di Note ha incontrato e intervistato Giulio Musca, il giovane cantautore pugliese, tra i protagonisti della nuova edizione del Talent “Amici”, condotto da Maria De Filippi.
Giulio ci ha raccontato della sua partecipazione al Talent, dei suoi progetti, ma anche delle difficoltà di chi oggi, al Sud, fa il complesso e affascinante “mestiere” del cantautore.

Giulio Musca

Giulio Musca

Giulio, prima di parlare della tua partecipazione ad Amici, raccontaci come è nata in te la passione per la musica e per il canto.

Beh, diciamo subito che è una passione di famiglia, a partire da mio nonno, mio zio, e successivamente mio padre, tutti musicisti ad orecchio. Grazie a loro ho assaporato i primi concerti di musica jazz e swing.
Mio zio, tra l’altro, è anche un musicista del Conservatorio, e ha suonato per molto tempo Bossanova. È partito tutto con loro, poi è stata chiaramente mia l’intenzione di voler iniziare a studiare diversi strumenti musicali. Ho iniziato per gioco con la batteria, poi è arrivata la chitarra classica, e poi anche la voglia di iniziare a scrivere canzoni.
Fino ai diciassette anni sono rimasto in qualche modo un po’ “bloccato”, per via del mio peso, che non mi permetteva di espormi più di tanto, a causa della paura di essere giudicato. Poi, pian piano, ho iniziato a scrivere canzoni e ad esibirmi con la mia vecchia Band, i Kayssah. Abbiamo fatto delle bellissime esperienze, che rimarranno indelebili nei nostri ricordi.
Un po’ di anni fa, fummo selezionati al Festival Show da Mogol, Dodi Battaglia, e vari direttori d’orchestra per fare un tour di apertura concerti a diversi Big della musica italiana, tra cui Nek e The Kolors, fino ad arrivare all’Arena di Verona, grazie al televoto delle persone da casa. Durante quell’anno, ho avuto il piacere di conoscere tutta la redazione di “Amici”, e ho intrapreso il percorso che mi ha portato quest’anno nella Scuola.
Io volevo cercare una mia personale strada nel mondo della musica, diversa da quella degli altri ragazzi della Band, e così eccomi qua da solista, a comporre la mia musica, e a scrivere le mie canzoni.

Quali sono stati gli artisti punti di riferimento per il tuo cantautorato?

Veri e propri punti di riferimento nella musica italiana non ne ho, avendo ascoltato per formazione sempre molta musica Jazz e molto Funky.
L’unico artista italiano che mi ha sempre ispirato di più è Pino Daniele, perché con il suo groove, con il mettere nelle note parole napoletane che finiscono in maniera tronca, quasi sempre per consonante, è più simile di quanto si possa pensare al funky americano.
Se dovessi scegliere qualcuno, direi subito lui, e Cesare Cremonini, un altro artista che ha segnato momenti importanti della mia vita, soprattutto alla fine degli anni Novanta, in formazione con i Lunapop.

Attualmente stai lavorando ad un album?

Sì, ci sto lavorando da casa mia.
Per chi, come me, vive al Sud, il problema è sempre quello delle opportunità, delle occasioni di conoscere persone, per poter collaborare. Con il Covid poi, è tutto fermo, ed è ancora più difficile.
Diciamo che rispetto a prima della pandemia, non è che la situazione sia poi cambiata molto.
Al Sud è più difficile fare il cantautore.
È una terra che non ti dà molte possibilità, quindi, o bisogna andare via, o partecipare ad un Talent, l’unica vetrina per farsi vedere e conoscere. La cosa che sto facendo adesso è continuare a fare musica nella mia cameretta, oltre che lavorare di mattina nell’azienda di famiglia.
Il pomeriggio mi dedico alle mie produzioni, alle mie bozze e alle mie idee, sperando di avere una produzione finale degna di essere lanciata sulle varie piattaforme musicali.

Il tuo personale bilancio della partecipazione ad “Amici”?

Il mio bilancio è positivo, anche se sono stato poco tempo in trasmissione, però da questa esperienza ho imparato tante cose.
Bisogna sempre credere nei propri sogni e cercare di raggiungerli in qualsiasi posto del mondo. In più, ho capito anche come si lavora, perché quando hai a che fare con dei professionisti, capisci davvero cosa significhi fare musica tutto il giorno. Questo è un insegnamento che porterò sempre con me e cercherò di riprodurre nei giorni e negli anni che verranno.
Cercherò di fare musica sempre, perché la musica è qualcosa che va oltre il lavoro, è passione, amore. E io parlo da innamorato della musica.

Da ascoltatore, cosa trovi oggi di interessante nella musica italiana e straniera?

Sono un po’ stranito dal fatto che escano continuamente artisti, che potrebbero essere davvero meteore. Non c’è molta differenza tra musica italiana e straniera e c’è una cosa che mi preoccupa: la grande accessibilità. La musica è diventata accessibile a tutti, troppi. Poi ci sono strumenti che facilitano, e c’è sempre chi riesce a spiccare il volo più degli altri. Se da una parte fa piacere ascoltare tante proposte musicali, dall’altra parte pensi che dovrebbero “arrivare” solo i più bravi, così nella musica, così nelle altre professioni. Invece l’accessibilità è diventata globale, universale.
Per il resto io sono sempre alla ricerca di sonorità nuove, mi diverte sentire delle cose diverse dalle solite, quelle che ti fanno dire “wow”. Mi affascina ascoltare generi musicali di diversa matrice culturale.

Il sogno più grande che vorresti realizzare attraverso la musica?

Una piccola soddisfazione l’ho già avuta, quella di sentire persone cantare le mie canzoni. Vedere che qualcuno fa un Tik Tok o un video con una tua canzone è una cosa che fa molto piacere.
Quello che ho sempre voluto, e che vorrei ancora per me, è collaborare con più artisti possibile, per apprendere a 360 gradi tutto ciò che è utile per il mio bagaglio.
Credo che alla fine questo sia il vero valore della musica, aprirsi a tutti.
Il mio sogno è quello di lavorare con tanti artisti, italiani e internazionali, per poter crescere sempre di più…

Giuliana Galasso

Ciao Cuore: la rivincita di Riccardo Sinigallia, il cantautore “backliner”. Intervista

SINIGALLIA - ciao cuore

Oggi esce “Cuore Cuore”, il nuovo album del cantautore Riccardo Sinigallia. Un lavoro che evoca, ispira, tratteggia emozioni, storie, sentimenti attraverso un accurato uso della parola e una altrettanto pregevole lavorazione in studio. La varietà sonora di questo disco vi porterà su più livelli di lettura. Abbiamo incontrato Riccardo per farci accompagnare per mano in questo viaggio.

Intervista

Riparti da questo nuovo disco, un lavoro che forse ti avrà richiesto tanto tempo tra lavori di produzione e scrittura intensa.

In verità sì, anche se tra un disco e l’altro mi permetto di fare sia cose che mi consentono di procurare sostentamento a me e alla mia famiglia, sia anche di aprire la finestra e guardare fuori da me. La vita del cantautore che pensa solo al suo prossimo disco mi sembra un po’ infelice. Mi piace quindi pensare di avere la possibilità di fare altre cose tra cui, quando ne vale veramente la pena, produrre altri artisti.

ll termine “Cuore” in un contesto socio-culturale come quello attuale appare forse desueto ma in qualche modo ci salva. Tu che importanza dai a questa parola, non solo per la scelta del titolo del disco, ma anche nella tua produzione e nella tua vita in generale?

Ho scelto questo titolo per svariate e numerose ragioni. In ogni caso era quello che sintetizzava meglio il percorso di musicista che fa un disco di canzoni e che al termine di questo percorso vi dice: quello che dovevo dire, l’ho detto e ciao core. Il cuore è il simbolo di quell’attitudine soul che mi piace tantissimo e che riesco a trovare in ogni genere musicale. Mi piace il soul dei Craftwerk, quello dei Nirvana, quello di Lucio Battisti, quello di Stewie Wonder. Ciò che intendo dire è che mi piace e ricerco il contatto tra le parti più intime di chi interpreta e il modo di rivelarlo.

Il citazionismo letterario gioca un ruolo chiave nella costruzione dei tuoi testi. Che rapporto hai con la letteratura e come riesci a renderla fruibile attraverso la tua musica?

Sono sempre stato appassionato di parole e, oserei dire, di poetica. Non sono un lettore fanatico, riesco a leggere due o tre libri l’anno, quando riesco, però la letteratura in senso lato penso di saperla affrontare navigandoci all’interno. Nel mio percorso artistico la parte letteraria è assolutamente centrale, la musica in se per sè è meravigliosa, mi porta ad un livello di profondità in cui la parola non riesce a portarmi però la parte testuale rimane fondamentale. Rappresenta tra l’altro la ragione per cui una canzone resta immortale oppure no. Non separerei mai le due cose perchè è proprio dalla loro relazione che nasce una canzone che può essere una droga.

Riccardo Sinigallia ©fabiolovino

Riccardo Sinigallia ©fabiolovino

Tornando al discorso legato alla produzione, c’è questa varietà sonora che regala valore aggiunto a tutto il disco dalla prima all’ultima traccia. In un contesto di sovraffollamento testuale, a quel punto la differenza la fa anche la scelta di lavorare in studio in modo più accurato e particolareggiato. Tu come hai lavorato stavolta?

Il lavoro in studio da un lato è sempre lo stesso perchè mi piace mescolare le fonti sonore con delle proporzioni di volta in volta diverse. Nel primo album c’era più elettronica proveniente da campionatori e analogici, il secondo era più acustico, nel terzo ho cominciato a giocare mescolando le carte e in questo nuovo progetto l’ho fatto ancora di più. La metodologia consiste sempre nel riprendere le fonti naturali acustiche, elettriche o synth analogici in maniera pura per poi divertirmi con l’editing selvaggio della computer music e della hard disk recording. La matrice antica, autentica vive e vibra con le più avanzate tecnologie disponibili che mi consentono di poter corromperla fino all’arresto (ride ndr).

Questo approccio artigianale ti contestualizza all’interno di una nicchia  di persone che lavorano ancora manualmente alla loro musica. Come vivi questo tuo status all’interno di un mare magnun così diverso dal tuo modo di concepire l’arte?

A dire il vero in questo periodo sono molto soddisfatto, vedo che non c’ho quasi più niente da perdere, faccio i dischi che voglio fare, ho finalmente intorno a me delle persone che mi proteggono, che mi vogliono bene, ho una squadra che lavora in modo incredibile, poi ho Caterina Caselli che rappresenta un punto di riferimento molto più alto rispetto alla media. Avverto perciò la sensazione che tutte le scelte fatte in passato, anche i sacrifici, i rifiuti, le stratte più strette e tortuose, mi abbiano portato fino a qui. Sono molto contento quindi, poi se vengono in 600 o 60.000, ovvio che sarei più contento di accoglierne 60.000 a vedermi ma ora come ora, anche se 600 per me son da paura, anzi, magari.

A proposito di numeri, sono grandi quelli collezionati da artisti che hanno lavorato a stretto contatto con te. Ultimi in ordine di tempo Motta e Coez. Come vivi il fatto che tu abbia lasciato una traccia importante sul loro percorso e la possibilità di poter detenere un metro di giudizio e di esprimerti da un punto di vista più alto?

Che dire? Finalmente grazie a Francesco Motta e Silvano (Coez) questa roba è uscita fuori perchè prima non è che si sapesse poi molto. Da queste nuove generazioni è venuto fuori il mio lavoro da “backliner”. Mi hanno dato molta soddisfazione e io per primo ho imparato da loro molte cose, sono state due produzioni molto felici anche se alla fine ognuna ha avuto dei momenti di forte emozione.

Per tornare un attimo al disco, parliamo di un brano scomodo, ovvero “Le donne di destra”

Questo è il brano più esplicito di tutti, un testo in cui c’è una parte di ingenua confessione di una cosa che penso, che sento, e della quale mi sono liberato. Il problema estetico-ideologico sulla femminilità l’ho eliminato, mi piacciono tanto le donne di destra quanto quelle di sinistra, forse quelle di destra si vestono meglio. Ovviamente non si tratta in alcun modo di una generalizzazione. In genere gli amici che arrivano da una cultura di sinistra hanno dei riferimenti femminili che io non capisco, i nomi sono sempre gli stessi: o qualche attrice del passato o Laura Morante. Io invece ammetto che mi piacciono la Ferilli e la Lecciso.

Video: Ciao Cuore

Perchè hai scritto un inno per i backliner con l’omonima canzone?

Questa è una sorta di autoritratto ma anche un omaggio a quella figura che non si fa vedere, che presta e dona la propria opera per poi restare inesorabilmente nell’ombra. Si tratta di personaggi che, da quando suono dal vivo, mi hanno sempre colpito per la loro potenza subito riconoscibile. Potrei scrivere una canzone su ognuno di loro, alla fine ne ho scritta una per tutti, me compreso.

Per concludere questo incontro, raccontaci che valore dai alla parola “emozione” e come la contestualizzi all’interno dell’universo live.

L’emozione nel live è quel momento in cui riesci davvero a connetterti con te stesso, l’ambiente in cui ti trovi, il momento che stai vivendo e la canzone che stai cantando. Quando questo si verifica è una botta mostruosa.

Raffaella Sbrescia

 

L’elogio dell’errore: l’esordio musicale di Pietro Saino

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“L’elogio dell’errore” è l’esordio discografico del cantautore milanese Pietro Saino. Conosciuto come autore per “Buona la prima”, programma con Ale e Franz, “Colorado” e “Zelig”. Pietro Saino negli anni si è cimentato in molte esperienze professionali che lo hanno portato ad approfondire la curiosità che nutre nei confronti dell’interiorità umana e della creatività: docente per tre anni in un istituto Enaip, curatore della rassegna Cinematografica dell’azienda Ospedaliera di Legnano, Art Director per un accessorio di alta visibilità, aiuto regista, organizzatore di eventi roadshow, vicedirettore in un college inglese e Group Leader per ragazzi in vacanze studio all’estero, Pietro Saino si affaccia alla musica con un singolo che farà da apripista all’ album di prossima uscita “Canzoni sovrappensiero” – promosso da v(ERBA)volant ufficio stampa e distribuito dall’etichetta La Stanza Nascosta Records, con sede ad Alghero (SS) ma operativa sull’intero territorio nazionale unisce pop e funk alla vena cantautorale.

Nelle parole dell’autore il singolo è << un pezzo energico, festoso e “catartico” che celebra proprio l’errore (…) un monito ad accettarci nella nostra parte meno “vincente”, un vero atto di audacia, mostrandoci per quello che siamo e non per quello che vorremmo essere, come invece spesso accade sui social network>>. Così le volute stonature, appositamente inserite nella parte centrale dell’assolo e nel finale del pezzo, si fanno tributo all’imperfezione umana, troppo spesso scotomizzata, regalandoci-pur senza didascalismi-una preziosa lectio vitae sulla tolstoiana energia dell’errore.

Dal 15 settembre è  online anche il videoclip ufficiale del brano, per la regia di Miriam Gregorio.

Antonio Maggio: “Amore pop” vi svela il mio lato più intimo e riflessivo. Intervista

Antonio Maggio

Antonio Maggio

Lo scorso 4 novembre ha pubblicato il suo nuovo singolo intitolato “Amore Pop”. Lui è Antonio Maggio e questo brano intende anticipare il terzo album di inediti del cantautore salentino in uscita nel 2017 per Mescal. “Questa nuova canzone, scritta da Antonio Maggio con la produzione artistica di Diego Calvetti, si muove tra sonorità elettroniche e musica d’autore ma soprattutto segna una ripartenza importante per una nuova tappa di un nuovo viaggio musicale dalle promettenti prospettive.

Intervista

Ciao Antonio, il tuo percorso riparte da “Amore Pop”. Raccontaci cosa ti ha ispirato questa canzone e come hai lavorato alla costruzione di un arrangiamento che accosta in maniera delicata sonorità elettroniche e musica d’autore.

Hai usato le due parole chiave per imbastire il discorso: percorso e ripartenza.  Credo che ogni nuova uscita, ogni album e ogni nuova canzone rappresenti per un cantautore una nuova partenza, il desiderio di approcciarsi con il pubblico in maniera diversa, l’esigenza di aggiungere qualcosa in più rispetto a quanto fatto prima. ”Amore pop” nasce proprio dalla volontà di evidenziare e far conoscere alla gente un lato della mia scrittura che fino ad oggi era rimasto un po’ offuscato, sicuramente in secondo piano, che é quello mio più intimo, più intenso e più riflessivo. Insieme a Diego Calvetti, il mio produttore artistico, abbiamo lavorato in questi ultimi mesi in questa direzione, mescolando il mio universo cantautorale ad un’elettronica elegante, trovando il giusto equilibrio tra le due cose.

Quali parole useresti per dare la tua personale definizione di “Amore Pop”?

L’ “Amore pop” é quel sentimento impersonale, grezzo, che ha bisogno del vissuto e delle cure del tempo per poter diventare unico e incorruttibile. E quando canto che “l’amore pop non ci fa stare bene”, invoco una sana ribellione allo standard, alla regolarità, una forte volontà di uscire fuori dagli schemi. L’obiettività in amore non esiste, esistono solo le eccezioni, che però nella ricerca del sentimento dovrebbero essere la normalità.

Molto suggestivo il video diretto da Mauro Russo, in particolar modo la tua dissolvenza finale… come avete lavorato allo script del video e in che modo si lega al testo della canzone?

Sinceramente l’idea dello script nasce da Manuela Longhi, ufficio stampa della mia etichetta discografica, a testimonianza di quanto sia importante il lavoro di squadra. Poi io l’ho un po’ estremizzata e Mauro é stato come sempre bravissimo nel riprodurre visivamente il tutto. Nel videoclip sono state messe in scena esattamente tutte le sfumature e le emozioni che io ho messo in musica, fatto che non é assolutamente scontato che accada. La ricerca continua di qualcuno o qualcosa che prima insegui, poi raggiungi e infine si sgretola inaspettatamente tra le mani.

Video: Amore Pop

Questo singolo anticipa il tuo nuovo album di inediti…che direzione avrà questo nuovo lavoro e quali saranno le tematiche a cui farai riferimento?

Questo singolo é un po’ l’antipasto di ciò che sarà il mio nuovo album, il terzo, previsto per i primi mesi del nuovo anno. Un album importante per me, perché come ho detto prima sarà l’album dei cambiamenti, sotto vari punti di vista. Fino ad oggi la gente ha conosciuto prevalentemente il mio lato più ironico, che poi rispecchia in parte il mio modo di essere. Però adesso é arrivato il momento di farmi conoscere più a 360 gradi, scendendo un po’ più nel mio intimo. Racconterò come sempre di storie reali e non, di personaggi e di fatti che mi ruotano attorno, di amore e di musica, di sogni e anche della mia tesi di laurea.

Cosa ti ha lasciato il percorso fatto dal tuo precedente album “L’Equazione”?

Mi ha lasciato una cosa fondamentale: la consapevolezza di cosa avrei dovuto fare, dire e raccontare con questo mio nuovo album. Probabilmente dico una cosa scontata, ma l’ultimo lavoro segna inevitabilmente le sorti del successivo, perché dopo averne analizzato pregi e difetti, gioie e dolori, riesci ad individuare più lucidamente il bersaglio successivo da centrare; ma lo puoi fare solo a mente fredda, a debita distanza temporale.

Come ti contestualizzi all’interno dello scenario musicale italiano alla luce del tuo percorso fatto fino ad oggi?

Un cantautore alla vecchia che guarda al futuro.

In che modo la tua sensibilità si riversa nei testi dei tuoi brani?

Completamente. La scrittura delle mie canzoni è un modo per esternarla. Anche nella mia sfaccettatura più scanzonata, dove solitamente è più complicato. A volte è meglio cantare qualcosa piuttosto che dirla.

Quali sono le tue prospettive artistiche e come scandisci le tue giornate di scrittura?

Ovviamente la scrittura non é un’opera quotidiana. Posso trascorrere anche settimane senza scrivere nulla. Le mie prospettive artistiche nel futuro prossimo sono strettamente legate al nuovo album, non vedo l’ora di farlo ascoltare. E poi, in parallelo, sempre col nuovo anno, porterò in giro uno spettacolo a cui tengo tanto, che é “MAGGIOcantaDALLA in Jazz”.

Il disco uscirà nel 2017, c’è in ballo una ipotetica partecipazione al Festival di Sanremo?

Amo profondamente il Festival di Sanremo, ad esso mi legano delle emozioni incredibili e indelebili con la vittoria di 3 anni fa. Di sicuro in futuro mi piacerebbe ritornarci, e quando parlo di futuro non parlo necessariamente di quest’anno. L’unica mia preoccupazione adesso é di chiudere presto la produzione del disco e di mandarlo in stampa.

Antonio Maggio

Antonio Maggio

Hai vinto il premio Musica nell’ambito della seconda edizione del premio Giorgio Faletti. Che significato assume questo riconoscimento per te?

É un premio che mi inorgoglisce molto. Vedere il mio nome accostato a quello di Giorgio Faletti, artista a tutto tondo e in vari campi, mi gratifica del percorso che ho intrapreso oramai un po’ di anni fa. Sono stato felicissimo di riceverlo dalle mani di Gaetano Curreri, artista e persona che stimo tantissimo.

Cosa hai provato nel cantare un pezzo di Dalla insieme a Gaetano Curreri?

É stato sognante, quasi surreale. Per me, cresciuto ascoltando Lucio Dalla, e quindi per ovvi motivi anche gli Stadio, é stata un’emozione che non dimenticherò mai.

 Raffaella Sbrescia

“Una piccola tregua”, il nuovo album di Paolo Cattaneo. Recensione

PAOLO CATTANEO - UPT - COPERTINA QUADRA

Ed ecco che nel bel mezzo dell’autunno 2016 arriva un disco veramente fatto bene. Si parla di “Una piccola tregua” il nuovo lavoro discografico del cantautore Paolo Cattaneo. Dodici canzoni ed un’infinita scandiscono i tratti dell’ossatura di un album pensato, scritto e realizzato per ritagliarsi un posto nell’angolo più buio del nostro spirito. Guardarsi dentro è faticoso, è doloroso, è scomodo, è sconcertante. Cattaneo ci aiuta a farlo facendolo per primo. Attraverso un lavoro di scrittura condiviso all’occorrenza con nomi del calibro di Lele Battista, Ettore Giuradei, Giovanni Peli o Stefano Diana, Paolo Cattaneo sceglie di trattare tematiche fortemente evocative. A completare l’opera la produzione artistica di Matteo Cantaluppi che, grazie ad un elaborato uso dell’elettronica, regala ad ogni singola traccia del disco una veste onirica e raffinata.  Il primo brano, nonché singolo estratto, è Trasparente. Ispirato da una poesia di Luciana Landolfi dedicata al poeta Giovanni Raboni, Cattaneo riflette sull’impossibilità di camminare per il mondo senza le tracce di chi abbiamo amato addosso e sulla potenza dell’amore. Un altro tema portante in questo disco è la concezione del tempo, inteso in tutte le sue possibili declinazioni, così come si evince ascoltando Due età un tempo, Il miracolo, Bandiera o Questa vita al volante.  Colpisce, inoltre, la massiccia presenza di spiritualità tra autoanalisi e osservazione critica di gesti anche minimi. Bisognoso e meritevole di più ascolti, “Una piccola tregua” rappresenta davvero un imperdibile appuntamento con noi stessi.

Raffaella Sbrescia

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 Crediti

Canzoni di Paolo Cattaneo
Testi di Giovanni Peli, Stefano Diana, Lele Battista, Ettore Giuradei e Paolo Cattaneo

Prodotto da Paolo Cattaneo
Produzione artistica: Matteo Cantaluppi e Paolo Cattaneo

Mixato da Matteo Cantaluppi @ Ritmo&Blu di Pozzolengo (Bs)
Masterizzato da Giovanni Versari @ LaMaestà di Tredozio (FC)

Art Work: Federico Castelli
Fotografie: Ilaria Magliocchetti Lombi

Ufficio Stampa: Morning Bell
Edizioni: Eclectic Music Group / Music Union

CD – LS16012-01 / Made in Italy
LP – LS16012-02 / Made in Italy
℗ & © 2016 – Lavorarestanca su licenza dell’autore

TRACKLIST

LATO A

2905

Trasparente

Ho chiuso gli occhi

Il miracolo

Bandiera

Questa vita al volante

LATO B

Se io fossi un uomo (feat. Lele Battista)

Confessioni per vivere

Sottile universo

Due età un tempo

La strada è tutta libera

Fragili miti

Ascolta qui l’album:

A Sud di nessun Nord: il disco “on the road” di Antonio Pignatiello

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Il viaggio e l’incontro fatto di terra e di mare. Questo è il fulcro di “A Sud di nessun Nord”, il nuovo album di Antonio Pignatiello registrato “on the road” in uno studio mobile lungo la penisola, che omaggia l’omonima opera di Henry Charles Bukowski. Traendo spunto e nutrimento dalla geografia, le dodici tracce che compongono l’album raccontano coincidenze ed emozioni, sentimenti e ricordi. Un anno di lavorazione per raccogliere parole, storie, canzoni e musiche fatte della stessa sostanza dei sogni ha legato Antonio Pignatiello al musicista Giuliano Valori (amico fraterno a cui il disco è dedicato). Realizzato grazie all’assistenza di Simone Fiaccavento, il lavoro è stato mixato da Taketo Gohara (produttore e ingegnere del suono di Vinicio Capossela) e vede la partecipazione di Marino Severini (Gang), Enza Pagliara, Giovanni Versari e di molti altri musicisti nazionali e internazionali. Un disco vivo, caldo, profondo e variegato che trova nella traccia d’apertura “Vecchi Conti” (dedicata a Paolo Conte)  un primo importante segnale di qualità e spessore. Attraverso un coinvolgente intrecciarsi di strumenti acustici e non, Pignatiello ci accompagna per mano nel suo intricato mondo fatto di influenze e riferimenti multipli tra latin, dell’alt-rock, del jazz, del folk. Il ritmo avvincente ed incalzante del “Canto del Rinchiuso” vive una controversa relazione con il testo attraverso  l’uso di chitarre elettriche e trombe mariachi che ritroviamo anche nel primo singolo estratto dall’album “Lontano da qui”.

Antonio Pignatiello

Antonio Pignatiello

Davvero suggestivo il “Cantico di Orfeo”, dal testo liberamente ispirato al mito di Orfeo, in cui è interessante individuare echi morriconiani e rimandi alla letteratura classica: “Maledirai il tuo canto pensando al suo passo, conoscerai la gioia e l’amore ma sceglierai la noia e l’orrore ma sceglierai la noia e il terrore”, canta Pignatiello, facendoci rivivere la tensione ed il pathos di una storia senza tempo. Con un testo tratto dagli stornelli della tradizione toscana, scoperti grazie al poeta e attore Carlo Monni, “Quando nascesti te”,  cantata in duetto con la brava Enza Pagliara, è uno dei brani più belli e più suggestivi del disco. Le due voci si sfiorano per poi intrecciarsi sulle note del ritornello: “L’amore è come l’edera dove s’attacca muore. Così questo mio cuore mi si è attaccato a te”. Decisamente diverso è il mood, sia testuale che strumentale, di “Giù al Belleville”, una canzone che funge anche da spartiacque all’interno del disco. Il cardine centrale del progetto è “Folle”, a metà strada tra canto e sussurro. “Bye Bye” è ispirato  alle magiche atmosfere anni ‘30 di New Orleans mentre “L’attesa”, dedicata ad Atahualpa, ci introduce ai richiami sudamericani di “Occhi Neri” con il suo piano latin. Un’altra pietra miliare del disco è il brano intitolato “Tra Giorno e Notte”, impreziosito da brevi e frequenti incursioni dialettali. Pignatiello chiude l’album con la melanconica e crepuscolare ballad “Non C’è Più”  ispirata al “Mestiere di vivere” e ai “Dialoghi con  Leuco” di Cesare Pavese. Con la sua impalcatura spessa e ben stratificata, “A Sud di nessun Nord” è un album colto, ricercato e stimolante da ascoltare più e più volte per comprenderne fino in fondo anche i significati e le sfaccettature più recondite.

Raffaella Sbrescia

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