Fantastico, il secondo album di Vincenzo Fasano. La recensione

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Dieci canzoni intrise di pathos e di bellezza oscura impreziosiscono “Fantastico”, il secondo album del cantautore mantovano Vincenzo Fasano tra giochi di chiaro/scuro finalizzati alla esplicita rivendicazione di una felicità amara, disincantata, estrema. Dieci canzoni d’autore che, attraverso una certa varietà di argomenti e una buona costruzione dei testi, lasciano subito intuire un mood controverso ed impattante. “Ho la felicità e non ho paura ad usarla”, scrive Fasano in cima al booklet dell’album, veicolando subito un concetto forte e particolarmente esplicito. L’album si apre con il cantato/urlato de Il Presidente Dell’Universo che, con la sua energia, spiana la via al travolgente tormento  di Armami, smorzato a sua volta, dal delicato ed ironico incedere de La Mia Vita Al Contrario. Il fuoco passionale di A Pugni Chiusi rimarca una profonda sensibilità nell’arricchire un folk di per sé potente ed incalzante: anime che si presentano, si separano, si riconoscono, si mischiano, s’intrecciano all’interno del vortice della vita mentre “Ogni giorno è un punto di sutura per guarire dalla paura”, come canta Fasano in Devono morire tutti. Godendoci lo spazio, il nero e il silenzio di Con gli occhi socchiusi approdiamo alla disperata ricerca di una via d’uscita narrata nell’intima Barcellona. L’iconica malinconia di Titoli di coda ripercorre amori, amicizie, vizi, ozi, screzi, dazi  e magnifiche solitudini traghettandoci senza filtri nei meandri della sconfinata leggerezza poetica di Verso l’infinito e oltre<, un ascolto prezioso che prende le distanze da marchi ed etichette.

Raffaella Sbrescia

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Tracklist:
01. Il Presidente Dell’Universo
02. Armami
03. La Mia Vita Al Contrario
04. Fantastico
05. A Pugni Chiusi
06. Devono Morire Tutti
07. Con Gli Socchiusi
08. Barcellona
09. Titoli Di coda
10. Verso L’Infinito E Oltre

Torna Ethnos – Festival internazionale della musica etnica: le arcaiche tradizioni dell’area vesuviana al servizio del mondo

Moni Ovadia

Moni Ovadia

Giovedì 10 settembre, alle ore 21, al Teatro Mercadante di Napoli con il concerto della ensemble indiana Bollywood Masala Orchestra parte Ethnos - Festival internazionale della musica etnica, che quest’anno celebra i suoi ventanni con dodici concerti gratuiti nei comuni vesuviani in provincia di Napoli con artisti provenienti da tutto il mondo come Bombino, Moni Ovadia, Tartit, Bassekou Kouyate & Ngoni Ba, Huun Huur Tu e Teresa De Sio.

Il festival coinvolge otto comuni, per un percorso di rivalorizzazione del territorio non solo attraverso concerti di grande spessore ma anche attraverso itinerari naturalistici sui sentieri del Parco Nazionale del Vesuvio, visite teatralizzate alle ville vesuviane del 1700, degustazioni di prodotti tipici, lo spettacolo teatrale - A Sud Secondo Movimento (partitura teatrale per 10 artisti italiani e 5 immigrati) – convegni, seminari sulle danze popolari e visite guidate ai siti archeologici di Castellammare di Stabia e Boscoreale ed ad altri siti di interesse storico. Inoltre, nella serata di apertura del 10 settembre saranno presentati un catalogo e il video documentario “Ethnos 20 anni di musica dei popoli”.

Ecco tutti gli appuntamenti: Bollywood Masala Orchestra (India) – Teatro Mercadante, Napoli – 10 settembre;Tupa Ruja (Italia) – Parco Nazionale del Vesuvio, Ercolano – 13 settembre; Acquaragia Drom (Italia-Romania) - Cortile della Chiesa dell’Annunziatella, Boscotrecase – 17 settembre; Maâlem Abdenbi El Gadari & Gnawa Bambara (Marocco) - Palazzo Torino, Somma Vesuviana – 18 settembre; Synaulia (Italia)/ Sondorgo (Ungheria) – Antiquarium, Boscoreale/ Villa Favorita, Ercolano – 19 settembre; Evi Evan (Grecia) ft. Moni Ovadia (Italia) - Villa Vannucchi, San Giorgio a Cremano – 20 settembre; Huun Huur Tu (Repubblica di Tuva) - Reggia di Quisisana, Castellammare di Stabia – 23 settembre; Teresa De Sio (Italia) - Villa delle Ginestre, Torre del Greco – 24 settembre; Bassekou Kouyate & Ngoni Ba (Mali) - Villa Vannucchi, San Giorgio a Cremano – 25 settembre; A Sud Secondo Movimento (partitura teatrale per 10 artisti italiani e 5 immigrati) - Villa Vannucchi, San Giorgio a Cremano – 26 settembre e Marcello Colasurdo (Italia) – Sentiero n° 8, San Sebastiano al Vesuvio - Tartit (Mali) -Bombino (Niger) - Villa Vannucchi, San Giorgio a Cremano – 27 settembre.

L’evento, giunto alla sua XX edizione, con la direzione artistica di Gigi Di Luca, parte da Napoli per estendersi ai comuni di San Giorgio a Cremano, Ercolano, Torre del Greco, Castellammare di Stabia, Boscoreale, Boscotrecasee Somma Vesuviana e San Sebastiano al Vesuvio, ed è finanziato dall’Assessorato al Turismo della Regione Campania ed organizzato dal Comune di San Giorgio a Cremano, comune capofila del progetto.

Bombino

Bombino

Ethnos – Festival Internazionale di Musica Etnica, nasce nel 1995 con l’intento di recuperare le arcaiche tradizioni dell’area vesuviana, da allora ha allargato il suo raggio di azione, diventando uno dei maggiori osservatori di musica etnica e uno tra i festival di musica più importanti e attesi d’Italia. Il festival, con la sua formula itinerante da sempre ha coinvolto contemporaneamente più siti culturali dell’area vesuviana, tra cui le ville vesuviane del Miglio d’Oro, il Parco Nazionale del Vesuvio, i beni culturali della costa del Vesuvio, valorizzandoli ed aprendoli al grande pubblico e garantendo l’allungamento della permanenza media dei flussi turistici sul territorio. Il Festival, mediante la programmazione di numerose attività tese all’incontro e alla comunione tra i popoli e i diversi linguaggi, durante le quali la musica e l’arte si fondono e diventano strumento per la valorizzazione delle location, si propone di creare un ponte tra la memoria del passato e la visione del futuro, tra la tradizione e la contemporaneità dell’arte con uno sguardo attento alle problematiche delle migrazioni, delle integrazioni e del Mediterraneo. La manifestazione, consolidatasi e rafforzatasi nel tempo ha abbracciato innumerevoli culture musicali ed etniche, tra gli artisti che si sono esibiti al festival ricordiamo Miriam Makeba, Mercedes Sosa, Inti Illimani, Khaled, Dulce Pontes, Buena Vista Social Club, Gilberto Gil, The Cheftains, Rokia Traorè, il premio oscar Sakamoto, Cheikka Remitti, Abdelli, Omar Sosa, il progetto Le Vie della Seta con 30 artisti del centro Asia, e poi popoli Tuareg, Aborigeni, Indiani d’America, Mongoli, artisti Sufi, Gnawa, Israeliani e Palestinesi, provenienti dai piu svariati luoghi della terra ed artisti italiani del calibro di Ivano Fossati, Angelo Branduardi, Teresa De Sio, Capossela, Eugenio Bennato, Enzo Avitabile, Mauro Pagani, Elena Ledda, Tenores di Bitti, Nuova Compagnia di Canto Popolare, confermando così la sua natura di grande evento culturale ed interculturale e garantendo oltre ad una base di pubblico oramai fidelizzato anche una continua affluenza di nuovi visitatori.

Fonte: Ufficio stampa

Il Filo, il primo passo della rinascita artistica di Pierdavide Carone

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Tre anni per ricominciare, per acquisire consapevolezza, maturità, esperienza, forza. Tre anni per metabolizzare e decidere di ricominciare a maniche rimboccate e a vele spiegate. Oggi, dopo tre anni di silenzio artistisco, Pierdavide Carone ritorna sulla scena musicale italiana con “Il Filo”, il singolo che anticipa il nuovo album che verrà pubblicato a breve per Sony Music Italy. Lui, conosciuto per aver partecipato ad Amici, per la sua originale vena cantautorale e per aver collaborato con un mostro sacro come Lucio Dalla, oggi riparte con un brano che si distanzia dai lavori precedenti soprattutto per quanto riguarda la parte prettamente musicale. Una forte connotazione elettronica, relativa sia alla costruzione del la base che agli effetti  sulla voce, lancia Pierdavide al centro delle tendenze attualmente in voga eppure il testo, intimo e diretto,  lascia trasparire la profonda sensibilità del cantautore. “Ho perso il filo della mia ragnatela e sono diventato verme in questa grande mela e ho perso il filo della mia crociata e scopriremo il resto nella prossima puntata, prendi un po’ di me se ti va”, canta Carone,  mettendosi a nudo senza, tuttavia, perdere di vista un crescente spiraglio aperto sul futuro. Non rimane che scoprire quali saranno i tasselli che andranno a completare questo atteso processo di rinascita artistica.

Raffaella Sbrescia

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Finalmente a casa, l’album in italiano degli AIM. La recensione

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“Finalmente a casa” è il quarto lavoro in studio per gli AIM, la band di Marco Fiorello e dei gemelli Marco e Matteo Camisasca.  Dopo 3 album, 2 ep, oltre 300 concerti in 10 anni di carriera, su e giù per la penisola ma anche in giro per l’Europa, gli Aim realizzano un disco interamente in italiano, distanziandosi dalla direzione che il loro progetto aveva preso con  la scelta dell’inglese come  lingua d’adozione. Alla base di questa scelta c’è il tentativo e la necessità di raggiungere una nuova intimità con se stessi e con il proprio pubblico. Coprodotto dagli AIM stessi , insieme a Fabrizio Pollio (noto come voce e leader degli IO?DRAMA), “Finalmente a casa” è un disco energico, tenebroso e dionisiaco al contempo.  Registrato in presa diretta, l’intero lavoro è caratterizzato da un suono potente e onirico.

Ad inaugurare l’ascolto dell’album sono le chitarre della title track “Finalmente A Casa” in cui la frenesia e l’ inarrestabile evoluzione umana vengono raccontate tra malinconia e tormento.  Ogni momento è livido, cantano gli Aim, in “Non parli già da un po’”, brano arricchito da sostenuti ritornelli elettrici. Diretto ed accattivante il testo di “Voglio il mio tempo”, il cui ritmo incalzante raggiunge il massimo picco nel brano più bello e più stimolante del disco, stiamo parlando di “Nel Nuovo Giorno”. “Siamo sempre in piedi e sempre pronti a lottare/Per cosa?/Per chi?/Vittoria/ Con cosa?/Con chi?/Vittoria?/Quando avremo gli occhi come il primo giorno?”, si chiedono gli Aim, lanciando interrogativi che spiazzano e mettono a nudo i pensieri più reconditi, quelli che ci fanno più paura e che tendiamo a mettere da parte riempendo ogni attimo dei nostri giorni. Bellissime le immagini figurate che impreziosiscono un brano dalla linea melodica troppo basica quale è “Dormo in te”. Dice già molto nel titolo il brano successivo intitolato “Mi vuoi migliore”, con parole che si scrivono nel cuore. Si scende lenti in “Dove è ancora più profondo”, seguito dalla grezza genuinità de “La tregua”, il cui imperioso susseguirsi di chitarre chiude un disco da ascoltare tenendo i testi a portata di mano per godere appieno sia della forza semantica dei messaggi veicolati dagli Aim, sia della carica degli arrangiamenti incazzati, ma non troppo.

Raffaella Sbrescia

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Video: Finalmente a casa

Tracklist:
01. Finalmente A Casa
02. Non Parli Già Da Un Po’
03. Voglio Il Mio Tempo
04. Nel Nuovo Giorno
05. Vittoria
06. Dormo In Te
07. Mi Vuoi Migliore
08. Dove E’ Ancora Più Profondo
09. La Tregua

 

Luca lo stesso, il nuovo singolo di Luca Carboni fotografa con ironia le contraddizioni del nostro tempo

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La penna di Luca Carboni torna ed emozionarci con “Luca lo stesso”.  Il singolo, pubblicato a sorpresa per Sony Music Italy, anticipa l’uscita del nuovo album di inediti, prevista per il prossimo ottobre e arriva a distanza di due anni dal successo di pubblico e di critica ottenuto del precedente disco “Fisico & Politico”. Le nuove note proposte dal cantautore bolognese, che ha scritto il brano insieme a Dario Faini e Tommaso Paradiso, incrociano la musica d’autore con l’elettronica confluendo in un sound fresco ed in linea con i trend internazionali. All’interno del testo Luca racconta il quotidiano vivere con ironia e lucidità utilizzando parole semplici ed efficaci, direttamente ispirate alle reali contraddizioni che animano una società spesso  ipocrita e doppiogiochista : “C’è chi ama la sua terra e i suoi confini / ed è così patriottico che sogna una patria senza vicini”, canta Luca, mettendo in primo piano una tematica che ci tocca particolarmente da vicino come quella dell’immigrazione. Il concetto che attraversa l’intera struttura del brano è, tuttavia, quello dell’amore interpretato secondo diverse prospettive: “Se i figli possono nascere lo stesso anche da due che si odiano / dimmi allora cosa serve l’amore”, scrive Luca, addentrandosi con delicatezza nelle tortuose dinamiche di nuclei familiari sempre più frammentati. “C’è chi ama gli animali, la natura ed è tanto sensibile/e sogna un mondo senza gli umani”, ancora un controsenso che testimonia con efferata veridicità una comune ideologia di pensiero. Nonostante la massiccia presenza di temi a sfondo sociale, il brano concede ampio spazio anche all’amore romantico, quello che non conosce limiti e pregiudizi: “L’amore, lo sai questa parola che effetto che mi fa/ detta piano o forte/detta ad un’altra  velocità/può anche uccidere/può darmi anche la felicità/ detta con un altro suono oppure con un’altra età”, canta Luca, che, proprio attraverso il titolo della canzone, sottolinea di aver mantenuto intatta la propria identità di cantautore sensibile, attento e profondo.  “Sottovoce o gridata digitata sul web/buttata dentro un respiro/respirato per te con un altro accentro dentro il silenzio/una domenica sera da te/detta coi piedi scalzi o sopra i tacchi più alti/tatuata sul petto che sfiora l’orecchio/sotto un cielo di stelle facciamo l’amore tenendoci stretti io e te/due ragazzi che si amano e chissà se siamo ancora così stupidi”; con quest’ultimo interrogativo a tratti sognante, a tratti malinconico, Luca Carboni scolpisce l’istantanea di un’ immagine onirica che vorrebbe trasformarsi in una rassicurante certezza.

Raffaella Sbrescia

 

 

Olio di cacao: la nuova tappa del percorso interculturale dei Tamanduà

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Il progetto Tamanduà nasce dallo slancio creativo del chitarrista Pino Arborea, che attraverso la sua parsimoniosa dote di stimato arrangiatore, ha rielaborato alcuni tra i più significativi brani della grande cultura musicale brasiliana creando dei tagli ad hoc per le tre voci femminili di Anna Maria Giglitto, Elena Guarducci e Maria Palmerini, che completano l’ensemble. Quattro temperamenti diversi che, grazie ai singoli timbri vocali, hanno trovato particolare ispirazione nei ritmi e nei flussi espressivi della tradizione brasiliana. Gli elaborati arrangiamenti musicali dei Tamanduà seguono armonie e delle trame melodiche che, pur innestandosi su grandi classici, mantengono una freschezza sempre vivida. Dopo l’esordio con “Alquimia”, “Olio di cacao” (prodotto dalla Drycastle)  rappresenta il nuovo frutto dell’esperienza stilistica acquisita dai Tamanduà negli ultimi anni. Esaltando il legame tra Italia e Brasile, l’album unisce metaforicamente due elementi simbolici: l’ olio d’oliva e il cacao. Il bouquet di brani proposti in questo lavoro celebra il connubio tra due mondi attraverso le versioni italiane, edite e inedite, di famosi brani brasiliani e di canzoni italiane caratterizzate da una forte connotazione “verdeoro”. L’alternarsi di momenti melodici e ritmici, pensato e cadenzato per esaltare la tendenza sperimentale delle singole possibilità timbrichedelle voci femminili esalta, con merito,  i concetti di incontro, fusione ed interculturalità.

Raffaella Sbrescia

Tracklist:

La voglia la pazzia (Se ela quisesse)

La pioggia di marzo (Aguas de março)

Cançao de nosso amor

Roma nun fa’ la stupida stasera

Tem mais samba

Allegria (Upa neguinho)

Inutil paisagm/Fotografia

Metti una sera a cena (Conmigo)

Nascere di nuovo ( Começar de novo)

Bola com bola

Alice (due piccoli stupidi), un doppio autoritratto nell’ultimo romanzo di Roberto Bonfanti

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La vita è una successione di corsi e ricorsi, rimpianti e rimorsi, gli stessi che si intrecciano nelle vite di Alice e Francesco, due anime complementari, due amanti che si rincorrono nel tempo per le ragioni più disparate, per dirsi cose per cui da ragazzi, mancava il coraggio. A dare vita alle loro emozioni è lo scrittore lombardo Roberto Bonfanti che, “malinconico per indole, testardo per vocazione, sognatore per dna, disilluso per puro caso, incostante e incoerente per necessità”, nel suo ultimo romanzo “Alice (due piccoli stupidi)” (Edizioni del Faro),  ci prende per mano e ci conduce alla ricerca della serenità tra fumi di sigaretta, whisky e musica. Pagina dopo pagina, si alternano le più intime confessioni di Francesco, il cantautore protagonista maschile della storia che, dopo dodici anni vissuti con lo sguardo rivolto verso il cielo, confessa anche a se stesso di non essersi mai dimenticato di quella ragazza dagli occhi verdi sfuggenti ma fragili: Alice. Una ragazza dalla timidezza ossessiva che scappa di punto in bianco da un amore fatto di comprensione e abbracci rassicuranti. Sarà proprio in un abbraccio, lungo, inatteso, eppure involontariamente cercato, che l’Alice donna si abbandonerà con Francesco in un momento in cui la sua vita appare bloccata tra lavoro e preparativi del proprio matrimonio con un compagno amorevole, eppure distante. Tra reticenze, timori e disillusioni, Alice alla fine compirà la sua scelta in nome di una razionalità purificatrice. “Alice (due piccoli stupidi)” è, per concludere, un romanzo fragile e sincero, un doppio autoritratto in cui il quotidiano vivere poterà a rispondere anche ai quesiti più scomodi.

Raffaella Sbrescia

Ognuno qua, l’esordio cantautorale di Francesco Serra

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Francesco Serra  inizia la sua carriera ufficiale di cantautore Pop-Rock con “Ognuno qua”, l’album di inediti pubblicato lo scorso 3 luglio. Seguito dal produttore discografico Luca Venturi e dall’ etichetta On the Set, il progetto rappresenta l’esordio nazionale di Francesco, già attivo in ambito musicale nella veste di batterista turnista. Dotato di un buon timbro vocale,  Serra propone al pubblico brani semplici, dal testo immediatamente orecchiabile e con delle melodie ben strutturate nel rispetto della migliore tradizione musicale contemporanea.  Ad aprire la tracklist è il primo singolo estratto dall’album intitolato “Sei quella giusta”, un inno all’amore vero, autentico e definitivo, in netta controtendenza  rispetto all’attuale caducità dei rapporti interpersonali. Lavorando senza fretta, Serra si è dedicato alla scrittura dei testi lasciando ampio spazio al proprio istinto e allo stato d’animo del momento. Il risultato, principalmente incentrato sul tema dell’amore, racchiude una forte connotazione intimista di facile richiamo generalista.  Il brano che più degli altri si distanzia dalla tematica centrale è “Ognuno qua”, un’istantanea dei nostri disagi esistenziali raccontata con efficace essenzialità. Degna di menzione anche la versione gospel di “Questo pensiero d’amore”che, attraverso la pluralità delle voci del coro, si riveste di nuova enfasi semantica aprendo nuovi spiragli interpretativi rispetto al brano. A giudicare da questo discreto esordio cantautorale, ci auguriamo che Serra prosegua questo cammino con slancio ed una più incisiva carica sperimentale.

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Raffaella Sbrescia

 

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Intervista a Peter Truffa: “Vi presento Art School, il mio Ep da solista”

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Dopo anni di tour e pubblicazioni in Italia con Giuliano Palma & The Bluebeaters e negli Stati Uniti con la New York Ska Jazz Ensamble, Peter Truffa si mette in gioco con “Art School”, l’Ep che segna il suo debutto da solista sulla scena internazionale. Il cantante e pianista newyorkese ha registrato il lavoro tra il Buffalo Stack Studio e il Mamma’s Place Studio a Woodstock, area settentrionale di New York. Le tracce che compongono la tracklist hanno come filo conduttore un autentico rocksteady corretto dal gusto tipicamente rock ‘n roll all’ americana. L’Ep offre, perciò, degli spunti indie reggae, con accenni di piano boogie e ska tradizionale. Il risultato è un viaggio a tappe all’interno delle varie evoluzioni che la musica giamaicana ha incontrato durante il suo lungo pellegrinaggio fra le diverse culture musicali occidentali. Abbiamo incontrato Peter Truffa per farci accompagnare per mano al centro di questo coinvolgente percorso musicale e umano.

Dopo un lungo ed articolato percorso artistico, ti stai avventurando in un’avventura in veste di solista. Perchè? Cosa ti ha fatto scoccare la scintilla?

La scintilla c’e’ sempre stata dentro di me. Io ho avuto la fortuna di lavorare con Andy Stack, chitarrista dello  NY ska jazz ensemble. Lui mi ha influenzato molto artisticamente e ha prodotto il disco con me. Andy è un musicista molto noto e influente, infatti a NY tutti conoscono il suo progetto Buffalo Stack.

Parlaci di “Art School”: perchè hai scelto questo titolo? Quali idee, prospettive, influenze,  storie, persone, ispirazioni racchiude questo album?

Art School racconta di come voglio vivere. Voglio sentirmi libero nel fare delle scelte per  non avere in futuro rancori o rimpianti. “Arte” per me significa essenzialmente la libertà assoluta nel creare qualcosa che ti piace e che ti fa stare bene, senza costrizioni imposte da altri.  Se non ti piace, perché devi farlo ?

Nella bio c’è scritto che questo progetto nasce esattamente nel luogo in cui hai conosciuto la musica quando eri soltanto un bambino. Potresti approfondire questo discorso, magari facendo un parallelo con allora?

In realtà penso che NY sia una città come tante altre. Sono le persone che rendono il luogo unico. Personalmente ho avuto la fortuna di essere fin da piccolo circondato da persone che mi hanno sempre stimolato molto. Lo scorso anno è morto mio nonno, si chiamava Pietro Truffa, ed era della provincia di Asti. Per me era il migliore. Una certezza e un importante punto di riferimento. Nel 1938 si è trasferito a NY e li ha vissuto il resto della sua vita. Lui credeva che i sogni potessero diventare realtà e, grazie ai suoi racconti, ci credo anche io.

“So Natural” è la traccia che si distanzia di più dalle altre, grazie al suono degli archi il risultato è veramente particolare. Qual è il tuo commento a questo brano?

“So Natural” è nata in modo molto naturale. Molte delle mie canzoni sono influenzate dal mio stato d’animo che determina il mio gusto in un determinato momento e fa si che una cosa mi piaccia e che l’altra no, non saprei spiegarlo in maniera razionale.

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Potremmo definire il sound di “The limit to your love” un “epic reggae”?

Sì direi proprio di sì, anche se mi auguro che il brano venga ricordato non tanto per  una fantomatica definizione stilistica quanto per le emozioni che è capace di trasmettere.

Come sintetizzeresti la tua decennale collaborazione con Giuliano Palma & Bluebeaters?

E’ stata una bellissima esperienza dal punto di vista umano e professionale.

Che rapporto hai con Alberto Bianco?

Alberto è un mio amico e sono contentissimo del suo successo. Considero la sua musica molto speciale, il suo talento va al di là di ogni categorizzazione o definizione.

Come presenteresti la musica di “The Sweet life society” a chi non la conosce?

I Fratelli Sweet Life (Gabri, Matteo e Theo Melody) hanno saputo ricreare un suono che li distingue da tutto il resto. Io ho collaborato con loro nel 2009 quando il progetto stava nascendo ed ho capito che la musica è al secondo posto, prima viene il cuore.

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In cosa consiste il progetto ska-boogie italiano?

Sappiamo che lo Ska in Giamaica arriva prima del reggae e del rock steady. Boogie è quando balli per sfogarti. Boogie boogie invece è un particolare modo di suonare il pianoforte legato all’immaginario Blues di New Orlenas. Lo ska – boogie è quindi un miscuglio di queste cose.


Che tipo di concerto offri al tuo pubblico?

Mi auguro di riuscire a trasmettere tantissima energia ma soprattutto cuore. Il pubblico è ovviamente sempre il ben venuto soprattutto se si lascia trasportare dalla musica. E come dico sempre: “se mi vedessi morire sul palco prendi il mio corpo e fammi ballare”…

Raffaella Sbrescia

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A Sud di nessun Nord: il disco “on the road” di Antonio Pignatiello

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Il viaggio e l’incontro fatto di terra e di mare. Questo è il fulcro di “A Sud di nessun Nord”, il nuovo album di Antonio Pignatiello registrato “on the road” in uno studio mobile lungo la penisola, che omaggia l’omonima opera di Henry Charles Bukowski. Traendo spunto e nutrimento dalla geografia, le dodici tracce che compongono l’album raccontano coincidenze ed emozioni, sentimenti e ricordi. Un anno di lavorazione per raccogliere parole, storie, canzoni e musiche fatte della stessa sostanza dei sogni ha legato Antonio Pignatiello al musicista Giuliano Valori (amico fraterno a cui il disco è dedicato). Realizzato grazie all’assistenza di Simone Fiaccavento, il lavoro è stato mixato da Taketo Gohara (produttore e ingegnere del suono di Vinicio Capossela) e vede la partecipazione di Marino Severini (Gang), Enza Pagliara, Giovanni Versari e di molti altri musicisti nazionali e internazionali. Un disco vivo, caldo, profondo e variegato che trova nella traccia d’apertura “Vecchi Conti” (dedicata a Paolo Conte)  un primo importante segnale di qualità e spessore. Attraverso un coinvolgente intrecciarsi di strumenti acustici e non, Pignatiello ci accompagna per mano nel suo intricato mondo fatto di influenze e riferimenti multipli tra latin, dell’alt-rock, del jazz, del folk. Il ritmo avvincente ed incalzante del “Canto del Rinchiuso” vive una controversa relazione con il testo attraverso  l’uso di chitarre elettriche e trombe mariachi che ritroviamo anche nel primo singolo estratto dall’album “Lontano da qui”.

Antonio Pignatiello

Antonio Pignatiello

Davvero suggestivo il “Cantico di Orfeo”, dal testo liberamente ispirato al mito di Orfeo, in cui è interessante individuare echi morriconiani e rimandi alla letteratura classica: “Maledirai il tuo canto pensando al suo passo, conoscerai la gioia e l’amore ma sceglierai la noia e l’orrore ma sceglierai la noia e il terrore”, canta Pignatiello, facendoci rivivere la tensione ed il pathos di una storia senza tempo. Con un testo tratto dagli stornelli della tradizione toscana, scoperti grazie al poeta e attore Carlo Monni, “Quando nascesti te”,  cantata in duetto con la brava Enza Pagliara, è uno dei brani più belli e più suggestivi del disco. Le due voci si sfiorano per poi intrecciarsi sulle note del ritornello: “L’amore è come l’edera dove s’attacca muore. Così questo mio cuore mi si è attaccato a te”. Decisamente diverso è il mood, sia testuale che strumentale, di “Giù al Belleville”, una canzone che funge anche da spartiacque all’interno del disco. Il cardine centrale del progetto è “Folle”, a metà strada tra canto e sussurro. “Bye Bye” è ispirato  alle magiche atmosfere anni ‘30 di New Orleans mentre “L’attesa”, dedicata ad Atahualpa, ci introduce ai richiami sudamericani di “Occhi Neri” con il suo piano latin. Un’altra pietra miliare del disco è il brano intitolato “Tra Giorno e Notte”, impreziosito da brevi e frequenti incursioni dialettali. Pignatiello chiude l’album con la melanconica e crepuscolare ballad “Non C’è Più”  ispirata al “Mestiere di vivere” e ai “Dialoghi con  Leuco” di Cesare Pavese. Con la sua impalcatura spessa e ben stratificata, “A Sud di nessun Nord” è un album colto, ricercato e stimolante da ascoltare più e più volte per comprenderne fino in fondo anche i significati e le sfaccettature più recondite.

Raffaella Sbrescia

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