Harlem Gospel Choir al Blue Note di Milano: la spiritualità a portata di tutti

Harlem Gospel Choir @ Blue Note - Milano

Harlem Gospel Choir @ Blue Note – Milano

Non ho idea di quanti di voi in Italia abbiano mai assistito al concerto di un coro Gospel. In genere l’aspettativa risponde ad un’idea generata dalla visione di qualche film americano o docu-film di stampo socio-politico-culturale. Il gospel, lo sappiamo, nasce da un input profondamente spirituale e negli anni ha saputo costruirsi un’identità precisa generando un grande seguito in tutto il mondo. Come ormai da qualche anno accade, sul palco del Blue Note di Milano, la residency di un coro Gospel è ormai tradizione. Padroni di casa sono i vocalist dell’Harlem Gospel Choir, il coro fondato nel 1986 da Allen Bailey composto dalle più forti e belle voci delle chiese di Harlem.  Ambasciatori di pace e fratellanza, gli “Angels” amano portare avanti il repertorio tradizionale colorandolo con alcune delle hits più famose che possano mettere in risalto la vocalità e l’individualità di ciascuno. Dodici concerti con doppio spettacolo ogni sera alle ore 21 e 23 con exploit finale previsto per questa sera, sempre al Blue Note. Il repertorio comprende gospel tradizionali e contemporanei, jazz e blues, tra i cavalli di battaglia figurano classici come “Oh Happy day” o “Amazing Grace” accanto ad omaggi a stelle della black music. Due le regole a cui attenersi: attenzione e compartecipazione. I ragazzi dell’Harlem Gospel Choir amano interagire con il pubblico coinvolgendolo a più riprese a cantare, ballare sul palco insieme a loro, ridere, scherzare, riflettere.

Il divertimento è il filo conduttore dell’intero show ma, attenzione, il fulcro del contenuto è ad alto tasso spirituale. Last, but non least, le voci. Le voci, signori miei, sono piccoli tesori che, incastonati insieme, fanno un gioiello da preservare. Se amate il canto dell’anima, sicuramente il gospel farà per voi.

Raffaella Sbrescia

Video: Harlem Gospel Choir

Set list:

Celebrate the king

Souled out

Halo

Listen

I was here

Love on top

I’ll take you there/Bless the Lord

Go tell it

Have yourself a Merry Christmas

Silent Night

Amazing Grace

We wish a Merry Christmas

Oh Happy Day

Raphael Gualazzi live al Teatro Dal Verme: da Milano a New Orleans in una sera

Raphael Gualazzi live @ Teatro Dal Verme - Milano ph Francesco Prandoni

Raphael Gualazzi live @ Teatro Dal Verme – Milano ph Francesco Prandoni

Qualunque idea voi possiate avere di Raphael Gualazzi non sarà mai esaustiva se non dopo aver assistito almeno ad uno dei suoi concerti. All’indomani del suo live al Teatro Dal Verme di Milano in occasione del rush finale del suo “Love Life Peace tour” possiamo tranquillamente affermare di aver preso parte ad uno show eccellente.

Non solo cantautorato raffinato ma anche e soprattutto musica di qualità. Con un set ricco e strutturato, una band composta da musicisti polistrumentisti (Luigi Faggi Grigioni alla tromba, Gianluca Nanni alla batteria, Anders Ulrich al basso e al contrabbasso e Laurent Miqueu alle chitarre) e l’originale contributo della giovane leva Nyvinne, prodotta anche lei dall’etichetta discografica Sugar di Caterina Caselli. La cantautrice, che canta in italiano, inglese e francese alternandosi tra brani blues, soul e pop e uno spassoso beatbox, ha presentato il singolo “Spreco personale” in apertura e ha cantato insieme a Raphael alcuni brani tra cui “All alone” e “L’estate di John Wayne”.

 Timido sì ma con riserva, Gualazzi è riuscito a capitalizzare l’esperienza degli anni trascorsi per sciogliersi pian piano durante il concerto, l’irriverente loquacità e qualche ironica battuta hanno rotto il ghiaccio coinvolgendo un pubblico eterogeneo sia per provenienza che per età.

Raphael Gualazzi live @ Teatro Dal Verme - Milano

Raphael Gualazzi live @ Teatro Dal Verme – Milano

In scaletta ovviamente i più recenti brani tratti dall’album “Love Life Peace” ma anche quelli contenuti in “Reality and Fantasy” e “Happy Mistake”. Il filo conduttore del concerto è la contaminazione: le venature jazz incrociano le ballate pop e si irrobustiscono con i ritmi delle percussioni che profumano di Sud America e di Brasile.

L’improvvisazione, la passione per il ritmo, gli arrangiamenti, le armonie, i saliscendi melodici del suo fido pianoforte sono il pane quotidiano di Gualazzi che, a dire il vero, non ha bisogno di parlare perché il suo linguaggio sonoro dice già molto di più. La sua cultura musicale è radicata, vasta e profonda, si permette il lusso di rimaneggiare i suoi successi ma anche quelli di miti indiscussi del jazz mondiale, li rende fruibili, gustosi, divertenti. Tra i brani in scaletta segnaliamo: «Lotta Things», «Mondello Beach», «Pinzipo», «Disco ball», «Reality And Fantasy», “Run Joe”, “Un mare di luce”.

Raffaella Sbrescia

Elisabetta Serio presenta “Sedici”: la mia anima nei tasti di un pianoforte. Intervista

 Sedici Fronte

Tutti hanno modo di ascoltare la musica. Ognuno ha un suo modo di “sentirla”, e dentro ci ritrova ricordi,  emozioni, immagini, segni del proprio vissuto. E’ quello che è successo ascoltando “Sedici”, il nuovo disco della pianista e compositrice napoletana Elisabetta Serio. Un viaggio che da Napoli, attraverso il Salento, mi ha portato fino al Nord Europa, Londra, New York, l’America di “Lady sings The Blues”, facendomi tornare in luoghi molto amati e mai dimenticati. Forse è così che ci si “appropria” in qualche modo della musica, e quella degli altri diventa un po’ anche nostra.

Intervista

Elisabetta, il titolo del tuo nuovo disco “Sedici”, è un numero che ha una valenza e un significato particolare nella la tua vita…

Il disco doveva originariamente intitolarsi “Niente di serio”, poi mi è sembrato quasi un “atteggiarsi a tutti i costi” e quindi ho accettato di buon grado questo numero, che, oltre ad essere importante per noi napoletani, perché esprime la fortuna, è un numero che ricorre spesso nella mia vita sotto diverse forme: un civico, la data di un concerto importante, o altro. Stasera, ad esempio, ero con un’allieva che, per qualche ragione, ha pronunciato questo numero. Un caso, ma tutte e due, pensandoci, abbiamo sorriso. E’ un numero che torna spesso, e tra l’altro è un numero pari, quindi indeterminato, e questo concetto è molto stimolante…

Nella tua musica c’è questa idea affascinante dei tasti del pianoforte che diventano dei veri e propri sentimenti e suonando, si prova di volta in volta amore, dolore, malinconia, rabbia…

Questa cosa è verissima. Soprattutto per il disco precedente, “April”, dedicato a mio padre per la sua dipartita. Un disco registrato in circa cinque ore, che poi ha vinto il Premio “Lucca Jazz Donna” nel 2011, e che incarna molto questo concetto. Il disco è poco architettato ma molto rabbioso. “Sedici” è invece un disco più pensato, ci sono arrangiamenti, ed è stato registrato in due momenti precisi della mia vita: prima dell’inizio della mia collaborazione con Pino Daniele, interrotto dai tour con lui in tutto il mondo, e poi ripreso dopo la sua scomparsa.

Quando le grandezze si incontrano e si riconoscono, succede qualcosa di bello. E’ stato così per il tuo incontro con Pino Daniele. Nell’album c’è un pezzo dedicato a lui, che si intitola “Mr.P”. Qual è il messaggio, il segno più profondo che Pino ha lasciato in te?

Essere presenti a noi stessi sempre, che è la cosa più importante, e lasciarsi andare ma con controllo…

C’è anche un altro omaggio in quest’album, quello al pianista statunitense Brad Mehldau, con il pezzo “Brad”

Brad Mehldau è secondo me uno dei maggiori esponenti della musica contemporanea, un grandissimo pianista, compositore e arrangiatore, un artista che ho avuto il privilegio di conoscere e che per me è tra i più grandi musicisti…

Questo non è un album solo strumentale. Nella traccia che apre il disco, “Afrika”, c’è il featuring di Sarah Jane Morris, e so che questo è stato in qualche modo la realizzazione di un sogno.

Sì, una presenza luminosa quella di Sarah Jane Morris. E’ stato un sogno diventato realtà. Lei venne ad un concerto di Pino Daniele al Barbican Centre di Londra e a fine spettacolo entrò nei camerini a farmi i complimenti. Puoi immaginare sicuramente l’emozione che ho provato, la seguo da tantissimi anni. In quell’occasione, le ho chiesto se le facesse piacere collaborare con me in alcuni festival e quindi la presenza nel disco è stata la conseguenza naturale della nostra collaborazione nei live…

Immagino che ci siano tante canzoni di Pino Daniele che ami. Qual è il pezzo che in qualche modo ti commuove più degli altri…

Un po’ di anni fa, forse nel 2012, durante un tour, all’Arena di Verona, mi portarono le parti di una canzone che non conoscevo. La canzone era “Senza ‘e te”. Feci le prove suonandola con Fiorella Mannoia che cantava, e ho pianto. Ecco, questo è il pezzo, “Senza ‘e te”.

L’atto creativo, che sia un disco o un libro, o un’altra forma di arte, parte sempre da un sentimento forte, da una grande gioia o da un grande dolore…

Ci sono persone che riescono a elaborare e costruire partendo da un grande dolore, altre che per loro fortuna non vivono grandi e troppi dolori, altre che invece riescono a trasformare tutto in una gioia, in un sentimento positivo, e non per questo sono banali e superficiali.

Elisabetta Serio

Elisabetta Serio

Una mia curiosità… Come nasce il titolo di un pezzo strumentale… Prima il titolo e poi la melodia o viceversa?…

Nasce prima la musica, poi il titolo…

Da Umbria Jazz a Toronto Jazz Festival, San Francisco, New York, e tante altri luoghi. C’è un posto nel mondo in cui, oltre a Napoli, ti senti a casa?

Sicuramente il Salento, la mia seconda casa. E al Salento ho dedicato il pezzo “Trees”.

E fuori dall’Italia?

Londra, Camden Town. La domenica mattina, con il sole. E’ un luogo che mi fa “respirare”…

In quest’album, un pezzo molto rappresentativo per te è “Il Cielo sotto di me”. E’ un pezzo che non esprime la volontà di giudicare dall’alto, ma l’esigenza di prendere ogni tanto la giusta distanza dalle cose..

Sì, è una riflessione giusta. Per me, per come io vivo emotivamente la vita, è importante mettere delle distanze, conservare un minimo di lucidità e concentrazione nelle cose.

Cosa vedi sotto a questo cielo?…

Vedo le dinamiche, i rapporti umani, non sempre facili. Credo che tra due persone il vero miracolo sia raggiungere l’equilibrio anche attraverso il silenzio…

Quali sono gli artisti, oltre ai tuoi riferimenti Jazz, che ti hanno formato dal punto di vista umano e artistico…

Ho sempre ascoltato tanta musica. Amo artisti come Gabriella Ferri, Fabrizio De Andrè, i Beatles, ma anche  U2, The Smiths, Edoardo Bennato, Ivano Fossati…

Tanti i musicisti che hanno collaborato all’album

I musicisti che hanno suonato nel disco sono i miei fedeli compagni di viaggio: Leonardo De Lorenzo alla batteria, Marco De Tilla al contrabasso, Fulvio Sigurtà alla tromba, Jerry Popolo al Sax, Sarah Jane Morris alla voce, e poi voglio ricordare anche chi ha collaborato alla copertina e alla grafica, quindi Renato Mastrogiovanni, Fabrizio Romagnoli per il mix and mastering, Barbara Massey per le traduzioni. E poi voglio ringraziare Francesco Peluso, BirrJazz e l’etichetta Via Veneto Jazz. Penso di aver ricordato quasi tutti…

Visto che con il tuo Trio sei sempre in giro, ricordiamo anche i prossimi appuntamenti nei quali ascoltarti live

Sì, il 22 Dicembre sarò insieme ad Annalisa Madonna, Marco De Tilla e Leonardo De Lorenzo al Nevermind di Napoli.  Il 6 Gennaio 2018 sarò insieme a questa Band nostrana tutta la femminile, che si chiama “Sesè Mamà”, della quale presto avrete notizie e il 9 Marzo 2018 ci sarà il concerto con tutti i musicisti che hanno suonato nel disco e Sarah Jane Morris al Teatro Summarte di Somma Vesuviana per la Rassegna “Jazz e Baccalà”.

L’album si chiude con il pezzo “7 Reasons why”. Quali sono le tue ragioni di vita…

Suonare finchè ne avrò la forza. Acquisire sempre più consapevolezza di me stessa. Cercare di sciogliere quei nodi emotivi, che ognuno di noi ha dentro di sé, senza dimenticare che la ragione più grande, la parte più profonda, il motore di tutto è l’amore…

 Giuliana Galasso

“Sedici” Tracklist

1)   Afrika

2)   Little Lies

3)   Freedom

4)   Il cielo sotto di me

5)   Rumors

6)   Trees

7)   Mr P

8)   Brad

9)   7 Reasons why

Elio e le Storie Tese: addio sì ma con calma. Prima c’è il tour, poi Sanremo e un nuovo album

Elio e le Storie Tese

Elio e le Storie Tese

Sì, lo sappiamo. Nessuno crede veramente al fatto che gli Elio e le Storie Tese si scioglieranno per davvero. Saranno almeno due anni che annunciano un concerto d’addio ma stavolta pare proprio che sia così. D’altronde, attenzione, sciogliersi non vuol dire smettere di esistere e in questo i Pooh insegnano (eccome).

Alla vigilia del concerto al Mediolanum Forum di Milano, previsto per domani 19 dicembre, (sold out in prevendita), gli Elii hanno indetto una conferenza stampa per mettere le cose in chiaro e delineare in maniera più nitida i loro prossimi mesi.

«Lo scorso marzo 2017, da un palco di un teatro di Londra, abbiamo annunciato il nostro scioglimento per vari scazzi occorsi durante il tour. Nessuno ci ha filato mesi, poi la notizia è stata ripresa da Le Iene e siamo improvvisamente stati inondati dall’affetto di chiunque. A dispetto di quanto annunciato, dunque, quando F&P, nella persona di Ferdinando Salzano, ci ha proposto di suonare per altre date, abbiamo accettato di buon grado. Giacchè ci siam sempre contraddistinti per un grande rispetto nei riguardi dei nostri fan, specifichiamo che per tutti coloro che hanno acquistato un biglietto per la data del Forum, potranno riutilizzarlo (gratuitamente) per venirci a sentire anche nella rispettiva città in cui saremo in tour prossimamente».

Rispondono piccati e per le rime gli Elii a chi insinua che questo annuncio sia un fake. D’altronde è plausibile che un caso tanto unico quanto originale come il loro giunga ad una sorta di capolinea per fare spazio a nuove idee. In ogni caso il percorso di commiato di Elio e soci non sarà affatto breve. Oltre ai concerti (da consumarsi entro e non oltre il 30 giugno 2018), la band parteciperà al prossimo Festival di Sanremo con il brano intitolato “Arrivedorci”: «La chiamata è arrivata direttamente da Claudio Baglioni che ci ha chiesto di presentare una canzone pochissimi giorni fa. Abbiamo preparato il pezzo davvero in poco tempo. Ci piace l’idea di salutare il pubblico da un palco importante come quello di Sanremo a cui siamo molto affezionati. La nostra è una storia molto originale, sicuramente strana ma altrettanto unica. Volevamo evidenziare questi aspetti davanti ad un grande pubblico, anche quello che non ci segue. Non siamo in credito con il festival, arrivare al secondo posto per 2 volte è stato un errore del pubblico, noi andiamo lì per fare cose strane, ci piace stare su quel palco, questa qui è una bella occasione per scrivere fine a una bellissima storia, magari potrà non piacervi, ma è sicuramente unica».  Questo è quanto spiegano gli Elii che sottolineano: «La band è in grande forma, abbiamo una forte potenza comunicativa, vorremmo lasciare intatta la fotografia di artisti e musicisti ancora in grado di tenere il palco al massimo della forma». E proprio a questo proposito, in merito alla mancanza di eredi, dichiarano: «Il fatto di suonare sul palco cose difficili è roba in estinzione, inventarsi cose complicate solo per il gusto di farlo non è un fatto frequente. Ci sarebbe da lavorare nelle scuole per aggiustare il tiro. Sembra un discorso da vecchi ma è la pura verità».

Non solo Sanremo in programma, in ogni caso, gl Elii hanno in cantiere anche un album: «Non siamo mai stati organizzanti tanto da pensare cosa sarebbe arrivato poi. Stiamo incidendo da un po’ di tempo una serie di cose che ci piacciono. Faremo le cose nel nostro stile ma non vi anticipiamo nulla per non rovinarvi la sorpresa». A proposito di effetto wow c’è da aspettarsi grandi cose per il concerto di domani sera: «Il concerto sarà veramente lungo, chi verrà a sentirci farà il pieno di note, il piatto musicale sarà completo di caffè e ammazza caffè».

Se tutto andrà bene, non c’è da escludere il finalone allo Stadio San Siro: «Ci piacerebbe fare una data molto speciale, grazie del suggerimento!».

Raffaella Sbrescia

Dal 20 aprile saranno in tour in tutta Italia con il Tour d’Addio, per raggiungere tutti i fan che non sono riusciti a partecipare al Concerto d’Addio.

Queste le date: 20 aprile al Pala George di Montichiari (BS), 21 aprile alla Kioene Arena di Padova, 3 maggio al Pala Alpitour di Torino, 5 maggio al Nelson Mandela Forum di Firenze, 8 maggio all’RDS Stadium di Genova, 10 maggio all’Unipol Arena di Bologna, 12 maggio al Pala Lottomatica di Roma, 14 maggio al Palapartenope di Napoli, 17 maggio al Pal’Art Hotel di Acireale (CT), 19 maggio al Pala Florio di Bari e 23 maggio all’RDS Stadium di Rimini

 

I biglietti in prevendita saranno disponibili online su Ticketone.it da mercoledì 20 dicembre dalle ore 16.00 e nelle prevendite abituali da venerdì 22 dicembre dalle ore 16.00.

X Factor 11: l’Italia premia il bel canto di Lorenzo Licitra. E lo spazio al nuovo dov’è rimasto?

I Finalisti di X Factor

I Finalisti di X Factor

“X Factor è un programma arrogante che non ha paura di provarci, di osare”. Alessandro Cattelan dixit. Alla luce della vittoria di Lorenzo Licitra, tenore ragusano, portato al traguardo dal giudice degli over Mara Maionchi, pare evidente che il pubblico abbia clamorosamente smentito queste parole. L’Italia è e resterà il paese del bel canto. Se l’obiettivo di X Factor è creare mercato discografico, stando alle parole di Nils Hartmann, allora c’è da dire che le aspettative sono tutt’altro che rosee. Malgrado il disco d’oro conquistato dai mancati vincitori Maneskin, l’inedito di Licitra, “In the name of Love” puzza di stantio. Roba vecchia, sentita e strasentita che non aggiunge e non toglie nulla a quanto ci sia in giro dal 2010 ad oggi. La cifra stilistica proposta dal tenore rientra nel calderone pop che la gente apprezza e dimentica con uno schiocco di dita.

Un altro aspetto importante da sottolineare è che il pubblico di X Factor, pretenzioso e spesso incompetente, non è un pubblico fidelizzato al programma. Ieri sera Licitra ha fatto del suo meglio, il suo medley ha fatto la differenza, la potenza della sua voce ha fatto la differenza ma se vogliamo guardare alla totalità del percorso non si possono ignorare le qualità dei giovanissimi Maneskin e la meritata rinascita di Enrico Nigiotti. Il pubblico però ha notato e premiato solo le esibizioni andate in scena sul palco del Mediolanum Forum di Milano e ha ignorato la fame di riscatto di Enrico e la fame di concedersi dei Maneskin.

Sarà vero che la grande macchina produttiva di Sky e il genio di Luca Tomassini hanno cercato di veicolare delle immagini ben definite di ciascun finalista ma è altrettanto vero che questo risultato mette in risalto la vocalità di un interprete e non valorizza l’essenza di un percorso artistico piu strutturato.

Se a questo aggiungiamo una giuria quanto mai scialba e debole, c’è da dire che i momenti di noia non sono assolutamente mancati.

Lo scintillio è d’obbligo, per imporsi all’attenzione del popolo italiano e non a quei 2-3 milioni di abbonati, questo talent deve ottimizzare le risorse, deve puntare sul nuovo, sul particolare, sull’originale, sul mai visto.

Bisognerebbe dare più spazio ai cantautori, a gente che si autoproduce e che conosce a fondo il mestiere.
Tutti dicono che X-Factor rappresenta un trampolino di lancio ma dopo 11 edizioni sappiamo bene che non è vero. Invece di buttare via tempo e soldi, ci vorrebbe proprio l’arroganza di dire: «Sapete che c’è? Adesso cambiamo le carte in tavola e vi facciamo conoscere qualcuno di interessante e di cui vi ricorderete il nome anche tra un anno».

Raffaella Sbrescia

Ludovico Einaudi al Teatro Dal Verme di Milano: 10 concerti per dare lustro all’avanguardia

Ludovico Einaudi live @ Teatro dal Verme - Milano

Ludovico Einaudi live @ Teatro dal Verme – Milano

10 concerti, un solo e unico obiettivo: la fascinazione del pubblico. Ludovico Einaudi, pianista celebre nel mondo, sempre più performer, sceglie Milano, e più precisamente il Teatro Dal Verme, per un festival che abbraccia la musica contemporanea trasformando il suo concerto in un imperdibile happening.

Fondamentali i compagni di viaggio che lo accompagnano sul palco sfoggiando esperienza e maestria: Federico Mecozzi (violino), Redi Hasa (violoncello), Alberto Fabris (basso elettrico, live electronics), Francesco Arcuri (chitarra, percussioni), Riccardo Laganà (percussioni) sono i musicisti che in questo tour fanno la differenza maneggiando gli strumenti in modo versatile e ipnotico. Ma partiamo dall’inizio, Ludovico Einaudi non lascia nulla al caso. Installazioni di luce all’esterno e all’interno del teatro, booklet in cui illustra la novità degli appuntamenti milanesi: ogni sera con lui un duetto con artisti e gruppi appartenenti a scenari musicali anche molto distanti dal suo. Un momento sperimentale per provare ad approdare verso nuovi lidi cognitivi, per lasciarsi trasportare dall’ebbrezza dell’incontro estemporaneo. Lo scorso 10 dicembre, ad esempio, l’ospite è stata Kazu Makino, cantante e musicista giapponese in forza al gruppo musicale statunitense Blonde Redhead, protagonista di un reading incentrato sul potere del simbolismo minimalista. Confini, ombre e chiaroscuri si sono alternati ai brani proposti da Einaudi per un momento di grande concettualismo.

La scelta di Milano non è un caso, Einaudi ama mettersi alla prova, lo sperimentalismo è parte integrante della propria cifra stilistica per cui l’impudente voglia di osare è l’imperativo alla base di questa nuova tornata di concerti.

La scaletta scelta per “Dieci notti” è molto più asciutta e nervosa dei tour precedenti. I saliscendi emotivi mettono lo spettatore nella condizione di mantenersi attento, il risalto lasciato ai singoli strumenti non decolora il centralismo del pianoforte che dirige il gruppo. L’atmosfera, sofisticata e rarefatta, trasforma anche i visuals in componenti attivi dell’atto artistico. “Petricor”, “Four dimensions”, “Logos” ma soprattutto “Experience” e “Choros” sono i fiori all’occhiello del repertorio di Ludovico Einaudi che anche in questa occasione non delude le aspettative del pubblico più ricercato ed esigente. Per gli incontentabili l’appuntamento è ogni sera nella sala piccola del Teatro Dal Verme: alle 23.00 in punto ciascuno degli artisti che ha duettato con Einaudi durante il main act ha la possibilità di esibirsi l’indomani in un secret show. Il mood è quello di un club, un priveè a cui accedere con aria sorniona e volutamente inconsapevole. Uno spazio riservato a sole 200 persone. L’occasione è di quelle ghiotte: artisti del calibro di Jozef van Wissem, Ballake Sissoko, Ronald e Robert Lippok, in particolare, portano in scena il meglio dell’avanguardia sperimentale contemporanea. Il concetto alla base di questa idea luminosa è la visione della musica come potente motore aggregante; ultimo baluardo della creatività, dell’azzardo, della libertà.

Raffaella Sbrescia

Lorenzo Jovanotti presenta “Oh, vita”: “L’album in cui mi sono messo a nudo”

Jovanotti e Rick Rubin ph Michele Lugaresi

Jovanotti e Rick Rubin ph Michele Lugaresi

Cosa può spingere un artista a ricominciare da zero, uscire dalla propria comfort zone, reinventarsi e mettersi in gioco? Sono tante le variabili da tenere in considerazione: la fame di vita, la curiosità, la voglia di accrescere la propria esperienza, più semplicemente l’esigenza di esprimersi. Quello appena citato è il caso di Lorenzo Cherubini Jovanotti che con il nuovo album di inediti intitolato “Oh, vita!” dimostra ancora una volta di non riuscire a stare fermo.

La grande avventura questa volta è stata farsi produrre il disco da Rick Rubin, uno dei produttori più famosi in America e nel mondo, un risultato che ha completamente assorbito Lorenzo  stravolgendo i suoi punti di riferimento consuetudinari.

«Questa è stata l’esperienza più forte da quando pubblico dei dischi. Rubin in studio è veramente un artista, la sua capacità di concentrazione è molto alta. La sua missione è stata quella di portare le canzoni alla loro essenza estrema. Questo album ha avuto un lungo tempo di preparazione anche se la realizzazione ha richiesto dei tempi molto brevi. Così come nel rock’n’roll la tensione si libera in una performance, allo stesso modo Rick Rubin concepisce la lavorazione di un disco non come un’architettura ma come un gesto. Per quanto mi riguarda, mi sono sentito come quando 30 anni fa entrai nello studio di Claudio Cecchetto a Milano: volevo essere all’altezza della situazione».

Queste le parole appassionate con cui Jovanotti racconta la genesi di un album che, tra le mura del temporary store Jova pop shop in Piazza Gae Aulenti a Milano, acquisisce le vesti di happening trasversale; in sintesi un aggregatore culturale. Il party letterario è confluito anche in Sbam! Un volume ricco di contenuti prodotti da grandi esponenti della cultura, un’occasione per integrare all’ascolto del disco, un dettagliato racconto di viaggio, nonché una serie di approfondimenti correlati a tematiche più ampie.

Tornando al disco, tutto è cominciato dal singolo “Oh, vita!”: «Questo pezzo l’ho realizzato tutto in una notte. Avevo a due disposizione due campionamenti con ritmiche che avevano un suono, seppur piccolo. Nelle mani di Rubin, l’ho visto diventare altro nel giro di due secondi. In quel momento ero ancora un suo fan, sentivo dentro di me la voglia assoluta di essere alla sua altezza, lui che ha dato una struttura all’hip hop di massa, che ha creato una forma canzone per qualcosa che prima era solo improvvisazione. Per me è stata una grande esperienza di vita e di formazione professionale» – spiega Jovanotti.

Jovanotti ph Michele Lugaresi

Jovanotti ph Michele Lugaresi

«Queste 14 canzone sono state scritte, vissute, volute, sognate con tutto il cuore. Un anno fa, dopo aver visto i miei numeri, Rubin mi disse che non avrebbe potuto aggiungere una sola copia al mio venduto sul mercato ma che il suo interesse primario era mettere in atto uno scambio di esperienze artistichea. Questo era era esattamente quello che volevo: perdere il controllo della mia leadership in studio, volevo essere un cantate prodotto da Rubin, mi sono affidato completamente a lui che non ha voluto le traduzioni dei testi sostenendo che le canzoni dovevavano arrivargli senza capire nemmeno una parola. Inutile ribadire quando sia stata incredibile questa esperienza. Mi sento di dire che sono felice di aver fatto questo disco, qualcuno si stupirà, qualcun’altro resterà deluso ma siamo nell’ambito dei gusti. Questo è il pezzo di vita di un essere umano e la vita non è discutibile, si tratta di un fatto importante, aldilà di quanto sia bello o brutto».

Il disco ha due anime opposte in qualche modo: l’ anima da cantautore incontra quella da beat maker, i primi pezzi in effetti sono ruvidi e asciutti, poi qualcosa cambia, il guizzo tipico dell’irrequietudine che caratterizza Jovanotti prende piega ed è che l’album diventa vario: «Rubin ha capito come sono fatto e ha assecondato la mia inclinazione naturale. Alla fine della produzione mi ha detto che questo è il disco più vario mai prodotto in vita sua e ne è stato felice».

Viene naturale chiedersi come tutto questo finirà sul palco nel corso dell’imminente tour: «Abbiamo già fatto due settimane di prove con la band, in un paio di giorni mi sono reso conto che c’era bisogno di intervenire anche nei pezzi vecchi. Questo disco getta una luce positiva anche sul mio passato, costringendomi piacevolmente a vivere i primi brani in modo più scarno e informale. Abbiamo asciugato i pezzi, quasi rivivendo i consigli di Rubin, la parola d’ordine è: less. Questo non implica una forma di minimalismo, si tratta di fare spazio per far funzionare meglio le cose. Per ora abbiamo provato 7 pezzi del disco nuovo, non so se li farò tutti e sette, il mio pubblico viene ai concerti con l’idea di partecipare a una mega festa, ho il problema di dover fare dei tagli ed eliminare molte cose a cui tengo, il grosso comunque si baserà sui pezzi storici».

Un progetto diverso da sempre, quindi. Figlio, tra l’altro, di un lungo periodo in cui Jovanotti ha vissuto negli Stati Uniti: «Partirei da una citazione: se vai a vivere per un po’ in America, all’America non cambia niente ma a te cambiano un sacco di cose. L’America è un paese vivo e pulsante, un paese selvatico, un paese in cui ti svegli e devi sopravvivere contro tutto e tutti. A New York sei da solo in una giungla, non ho mai pensato di sconfinare in America con la mia musica, so di sapermi mettere in comunicazione con qualunque pubblico ma non ho mai avuto un progetto americano e non c’è neanche in questo caso».

Video: Oh, vita!

Parlando dei testi, diventa importante soffermarsi sulle parole: tante quelle sentite in questo album. Si parte dal concetto di libertà: «La libertà sta al centro del disco. Ogni generazione ha il compito di ridare significato ad alcune parole importanti nel nostro vocabolario. Anima, giustizia, amore sono parole che ogni volta perdono senso, vengono sfilacciate, il nostro compito è cercare di ridargli vita soffiandoci dentro lo spirito. Dal mio punto di vista di cantante è bello cantarla, posso pronunciarla senza troppa pesantezza, sono diventato grande quando i movienti politici erano finiti, per me la rivoluzione è soprattutto interiore» – racconta Jovanotti. «Più in generale – aggiunge – lavoro tantissimo ai testi ma non seguo mai una regola. Alcuni dei miei pezzi più famosi sono nati in pochissimo tempo. “Piove”, ad esempio, è nato in 45 minuti mentre per “L’ombelico del mondo” ci sono voluti 4 anni. L’aneddoto relativo a questo nuovo album è relativo al singolo “Oh, vita!”: ho scritto il testo recitandolo sul telefonino come un free style ma mi ci sono impegnato così tanto che non ho cambiato neanche una virgola. Non riuscivo ad uscire da quel tipo di leggerezza, poi l’ho fatto ascoltare un giorno in macchina alla mia famiglia e il commento di mia figlia mi ha convinto definitivamente. Per il resto il disco è tutto scarno dal mio punto di vista, mi sono sentito nudo dentro questi testi, continuamente a confronto con i miei limiti da interprete. Con Canova ho realizzato 10 dischi e siamo in ottimi rapporti. L’approccio con lui era molto diverso, la voce era trattata con le macchine, con Rubin invece è l’opposto, non ci sono correzioni, non avevo mai lavorato in questo modo. Mi sento ancora elettrizzato».

Jovanotti cover Sbam

Jovanotti cover Sbam

A corredare “Oh, vita!” ci saranno un docufilm e un almanacco letterario intitolato Sbam”. Ecco come li presenta Jovanotti: «Michele Lugaresi, film maker e web master lavora con me dal 1997 e ha seguito tutte le mie attività web fin dall’inizio. Quando lo stesso Rubin mi ha scritto che se volevo, potevo portare qualcuno per riprendere il making del disco, ho colto subito l’occasione e ho invitato Michele a venire con me. Ci siamo esaltati, il film è molto crudo, ripreso con una sola telecamera, non ci sono luci artificiali. L’aspetto più interessante è che nel film non si sente il disco, ho scelto della musica d’ambiente, si sentono solo dei frammenti delle canzoni, il senso è seguire la genesi del disco che prende forma. Potrete vederlo gratuitamente il 10/12/2017 in tutti gli UCI cinemas. Sarà un film per appassionati di musica. A proposito di cose che mi gasano, non dimenticatevi di “Sbam”: ho voluto invitare alcuni degli esponenti letterari che mi stanno più a cuore, ho giocato a fare il direttore e mi sono divertito anche a scrivere un diario di viaggio di questa mia nuova avventura. Mi piacerebbe che questo progetto diventasse un periodico, non è un libro nì una rivista, è semplicemente “Sbam”!».

 Raffaella Sbrescia

 Jovanotti in concerto nel 2018:

Febbraio

  • 12, 13, 15, 16, 18, 19, 21, 22, 24, 25 Mediolanum Forum, Milano

Marzo

  • 3, 4 Rds Stadium, Rimini
  • 10, 11, 13, 14, 16, 17, 19, 20 Nelson Mandela Forum, Firenze

 Aprile

  • 3, 4, 6, 7 Pala Alpitour , Torino
  • 13, 14 Unipol Arena, Bologna
  • 19, 20, 22, 23, 25, 26, 28, 29 Palalottomatica, Roma

 Maggio

  • 8, 9 Pala Art Hotel Acireale
  • 15, 16, 18, 19, 21, 22 Arena di Verona
  • 25, 26 Palasele, Eboli

 Giugno

  • 1,2 Pala Prometeo, Ancona
  • 16 Porsche Arena Stoccarda
  • 19 Stadthalle, Vienna
  • 21 Hallenstadion, Zurigo
  • 23 Forest National, Bruxelles
  • 30 Pala Resega, Lugano

 

Come neve: Giorgia e Marco Mengoni insieme nel duetto perfetto

Giorgia Mengoni ph Julian Hargreaves

Giorgia Mengoni ph Julian Hargreaves

Era l’ormai lontano 2009, Marco Mengoni iniziava la sua carriera e tra i suoi punti di riferimento citava sempre lei: Giorgia. Frutti di una stessa matrice soul, entrambi dotati di una voce flessibile, potente, sinuosa, in grado di cantare tutto in modo ineguagliabile, figli della scuola cantautorale made in Roma, che Piero e Massimo Calabrese hanno costruito nell’arco di diversi decenni, Marco e Giorgia si ritrovano finalmente sullo stesso piano e sulle stesse note per un nuovo singolo intitolato “Come neve”.

Chi segue questi due artisti da diverso tempo, saprà che il loro incontro artistico era un fatto agognato, spesso considerato possibile emblema di duetto perfetto.

La trama del brano persegue in modo morbido e vellutato un refrain ripetuto a più riprese e con cadenze diverse. Il tappeto elettronico ricorda diverse produzioni precedenti di entrambi, questa a dire il vero è la pecca di questo lavoro il cui punto focale rimane, tuttavia, l’incontro all’unisono delle due voci di Marco e Giorgia. Il testo, scritto insieme a Tony Maiello e Davide Simonetta, racchiude una richiesta d’aiuto per riuscire ad affrontare le cadute della vita all’insegna della propositività e leggerezza. Un modo per liberarsi dai demoni e dalle ossessioni che offuscano il nostro presente.

come neve

come neve

Il singolo, arrivato a ridosso dell’uscita di “ORONERO LIVE”, anticipa il nuovo progetto di Giorgia che conterrà altri brani inediti nonché il meglio di “Oronero Tour”.

Il consiglio per l’ascolto: chiudete gli occhi e lasciatevi trasportare dai ghirigori disegnati dai vocalizzi di due performer che ci invidiano in molti.

Raffaella Sbrescia