Toquinho inaugura il wall of fame del Blue Note Milano e ripristina il Blue Note Award

Blue Note - Wall of Fame

Blue Note – Wall of Fame

Tutto inizia dalla chitarra. Il fulcro e lo strumento attraverso il quale Toquinho, chitarrista e cantante brasiliano, ha dedicato cinquant’anni della propria vita allo sviluppo di una carriera incentrata sul concetto di interazione e collaborazione. Una formazione musicale che farebbe impressione a chiunque: Noqueira, Gianullo Leo Peracchi gli hanno dato le basi per essere un eccellente strumentista, Joào Gilberto, Chico Buarque o Tom Jobim i maestri che hanno dato il là all’idea di musica senza frontiere. Alla luce di quanto sopra, il Blue Note Milano ha voluto ultimare i festeggiamenti per il quindicesimo anniversario di attività scegliendo proprio Toquinho per l’inaugurazione del “Wall of Fame”: un muro che, seguendo il proposito holliwoodiano, lascerà uno spazio perpetuo dedicato ai più grandi musicisti che saliranno sul suo palco.

Toquinho Live @ Blue Note Milano

Toquinho Live @ Blue Note Milano

Il caso di Toquinho è stato peculiare perchè, per lui si è trattato dell’esordio sul palco del Blue Note, avvenuto nel bel mezzo del tour che celebra i suoi cinquant’anni di carriera. Il suo doppio concerto sold out ha rappresentato l’occasione per incontrare e conoscere da vicino un artista che a 71 anni suonati, lascia trasparire energia e desiderio di condivisione. Amore e passione per lo strumento, gratitudine per i suoi maestri, sincero affetto per i suoi amici. Sul palco con lui anche Ornella Vanoni, sua stimata amica e collega con cui nel 1976 pubblicò ‘La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria’. Titolo, questo, che sintetizza un po’ tutto il modo d’intendere la musica da parte di un uomo che non ha mai smesso di tenere concerti in tutto il mondo, mosso dall’autentica passione per la sua musica carioca. A completare una serata speciale, il ripristino del Blue Note Award, il riconoscimento alla carriera è stato consegna a Toquinho dal direttore artistico Nick the Nightfy con l’intento di rendere omaggio a una scuola di composizione e di pensiero lontana anni luce da quella attuale, lontana da logiche di successo ma tanto tanto vicina al cuore.

Raffaella Sbrescia

I Baustelle ritornano con “L’amore e la violenza vol.2″. Dodici pezzi che sono tutto tranne che facili.

Baustelle

Baustelle

Amore e violenza. I concetti si rincorrono, si intrecciano per poi distanziarsi all’interno del recente percorso artistico dei Baustelle. Ne “L’amore e la violenza vol.2 – Dodici nuovi pezzi facili” il gruppo nato a Montepulciano nel 1996 concede una tregua alla guerra per mettere in primo piano la love song che, in ogni caso, rimane lontana anni luce da quella inflazionata, mielosa e ormai trita che a ogni più sospinto ci viene riproposta.
Qui i Baustelle sfoderano la loro maestria linguistica, testuale e compositiva celebrando un amore che nasce con la consapevolezza che sarà destinato a consumarsi, previa la sublimazione assoluta.

Perchè un volume 2?

Abbiamo composto queste canzoni mentre eravamo in tour con “L’amore e la violenza vol.1″. Questo è un fatto inedito per noi che non abbiamo mai amato scrivere mentre siamo in giro. Forse stavolta l’immaginario sonoro e le cose che avevamo in mente di dire non si sono esaurite nel vol.1 e abbiamo voluto completare il discorso. Definire questi pezzi facili è un provocazione ironica che fa il verso a un film con Jack Nicholson. Il primo era un disco d’amore in tempo di guerra, c’era più focus sul contesto che sul racconto privato. Stavolta abbiamo dato spazio a relazioni sentimentali anche se le canzoni di questo album parlano di storie d’amor che contengono violenza al loro interno. Possiamo quindi dire che la guerra non è affatto finita, continua semplicemente in modo diverso da quella narrata del volume 1, in cui era più legata al contesto storico-sociale che stiamo vivendo.

L’unica eccezione, in questo senso, è data dal brano “Tazebao”?

Sì, in effetti lo è. Al suo interno ci sono folli aforismi sul presente. Possiamo considerarla l’eccezione che conferma la regola.

Come intendono l’amore i Baustelle? 

In “Amore negativo”, ad esempio, raccontiamo che l’amore è quello in cui nella migliore delle ipotesi ci scappa il morto, attraverso il sacrificio del proprio io. L’annullamento del sè per l’adesione all’altro. Il testo parte con una negazione, poi si sublima in piacere, ancora più forte se si riesce ad annullare l’ego e darsi all’altro senza chiedere niente in cambio. Viviamo in una società che non incita assolutamente questo tipo di concezione, anzi, al contrario siamo al centro di un grande massaggio all’ego. Vogliamo vivere per sempre, essere belli, magri, in forma. L’amore per come lo intendo io è il contrario di questo: è sporco e distruttore.

L’amore è salvifico?

No. Applicare l’annullamento del sè per darsi a qualcosa d’altro è sicuramente qualcosa che dà piacere ma non so da cosa dovremmo salvarci, l’amore non serve per vincere o eliminare le guerre, è una cosa più alta.

Perchè ne “Il Minotauro di Borges” il mostro accetta di morire?

Il Minotauro viene descritto come un essere mostruoso ma in realtà è un essere solo, chiuso in una casa grande come il mondo con stanze ripetute all’infinito. Ogni 12 anni arrivano le fanciulle in sacrificio per lui ma, ancora prima che possa dilettarsi, quelle muoiono prima dallo spavento. Nel dialogo tra Arianna e Teseo si evince che il Minotauro non voleva più vivere. I suoi sono amori impossibili.

Cosa sceglierete di portare dal vivo stavolta?
Porteremo in tour gran parte di questo disco e del precedente. Naturalmente non mancheranno le vecchie glorie che non possiamo non fare. Inoltre abbiamo ritrovato l’amore per certe canzoni vecchie che con un nuovo arrangiamento sono più vicine al nostro modo di suonare contemporaneo.

Una canzone si può giudicare pop o semplice a seconda della fatica che si fa per comprenderla?

Troviamo che sia sempre giusto fare fatica. Tutte le cose che ci piacciono richiedono un importante lavoro interpretativo e, si da il caso che a queste corrispondano per lo più cose che hanno resistito al tempo. La storia ci insegna che le cose che hanno richiesto fatica interpretativa non sono state apprezzate subito e che i loro autori morissero di fame o scoperti postumi. Intanto però sono rimasti nella storia. Tutto il resto è puro commercio. Secondo noi, dunque, l’attitudine giusta per fare qualunque lavoro artistico è cercare di sopravvivere al tempo e rimanere nella storia.

baustelle- cover album

baustelle- cover album

Cosa implica fare pop?

Questa è una definizione di gomma, in Italia questa distinzione è sparita abbastanza presto. Noi nel 1997 volevamo essere per tutti, all’inizio abbiamo avuto difficoltà, intorno a noi c’era molto più rock e scena alternativa. A noi va bene che si sia abbattuto questo muro. Se però abbattere l’indie significa diventare uguale al mainstream più becero allora sarà meglio rimettere su più di qualche mattoncino. Eliminiamo la musica prodotta solo per arrivare al commercio, a questa età non ci va più di perdere tempo a fare cose che non ci va di fare. Preferiamo l’ascolto alto.

Come convivete con la vostra spiccata estetica cinematografica?

All’inizio mescolavamo elementi rock alle colonne sonore. Siamo sempre stati affascinati dai compositori e dimenticati. D’altronde siamo nati quando all’estero cominciavano a scoprire proprio grandi compositori italiani, c’era tutto un sottobosco che allora di definiva “easy listening”. Abbiamo sempre amato il cinema e la musica per cinema. Ci ispirano le aperture prettamente strumentali e infatti ci sono anche in questo album. Ci piace l’idea che il disco si apra come una finestra. Rachele scrive molta musica senza testo, insieme gli diamo poi la forma canzone.

Un po’ come accade nel brano Jesse James e Billy Kid?

Ci piacciono i western, quelli di Tarantino in particolare. Nel brano questi riferimenti vengono usati in modo metaforico. I protagonisti vivono una storia d’amore turbolenta e travagliata.

A che punto siete della vostra carriera artistica?

Questo album racconta e fotografa in modo preciso chi siamo adesso. Le canzoni del vol.2 sono molto diverse dal vol.1, sono state scritte più in fretta e hanno visto un uso massiccio della chitarra, a differenza dei tre dischi precedenti. Quando ci si siede al pianoforte si ha a disposizione una maggiore possibilità di colori e complessità armonica. La chitarra invece ha un limite fisico che porta a scrivere canzoni più semplici, più veloci e più rock’n'roll. Per questo il disco ha una serie di colorazioni spigolose e un piglio ritmico più tirato. Naturalmente non abbiamo rinunciato ai sintetizzatori, sentiamo la differenza con il lavoro precedente e ci piace l’idea di poterlo suonare.

 Raffaella Sbrescia

Tracklist

Violenza

Veronica n.2

Lei malgrado te

Jesse James e Billy Kid

A proposito di lei

La musica elettronica

Baby

Tazebao

L’amore è negativo

Perdere Giovanna

Caraibi

Il minotauro di Borges

Maneskin live @ Santeria Social Club: annunciati nuovo singolo, nuovo album e nuovo tour

Maneskin live @ Santeria Social Club

Maneskin live @ Santeria Social Club

Qualcuno li definisce sfrontati, qualcun’altro arroganti. Loro sono i Maneskin, sono giovanissimi e sono i vincitori morali e non solo dell’ultima edizione di X Factor. La loro performance dal vivo è carica e avvincente. Certo, la scaletta comprende al 95% cover ma la cose che incuriosisce è che nessuna di queste ricorda l’originale. Questi ragazzi lavorano per dare un tocco personale a tutto quello che incontrano e, gran parte delle volte ci riescono. Vedere degli adolescenti buttarsi a capofitto in questa avventura con caparbietà, sicurezza, disinvoltura piace e spaventa. Piace vedere come ci credono, come si muovono, come convincono la piazza, come se ne fregano dei detrattori e di quelli che si rifiutano di credere nella loro favola rock. Sinceramente fa spavento pensare che a 17/18 anni si molli tutto per credere in un sogno effimero, come può apparire oggi quello della musica mordi e fuggi ma d’altronde molti grandi del passato lo hanno fatto suscitando reazioni ben peggiori. Per cui dico avanti Maneskin e fateci vedere cosa sapete fare.
Ieri sera li ho incontrati alla Santeria Social Club di Milano. Poco prima di due ore al primo concerto milanese della band capitanata da Damiano David ha incontrato la stampa per nuovi succosi aggiornamenti. Dopo essere stati definiti gruppo rivelazione del 2017 Damiano David e compagni annunciano l’uscita del nuovo singolo “Morirò da re”, prevista per il 23 marzo, dichiarano di essere al lavoro su un nuovo disco e che il prossimo autunno partirà un nuovo tour in location più grandi.

L’inedito in italiano.
“Con il nuovo singolo “Morirò da re” ci esporremo con l’italiano. Siamo al centro di un processo creativo molto bello. Il brano è nato in modo molto spontaneo, dal nostro bisogno di scrivere, dal nostro desiderio di raccontarci e dire qualcosa. La scelta dell’italiano è stata una casualità. Scriviamo in entrambe le lingue e vogliamo destreggiarci sia con l’una che con l’altra senza mai abbassare il livello del nostro prodotto. Abbiamo scritto questo pezzo durante giorni di off, abbiamo due modi di scrivere: o partiamo dall’arrangiamento oppure da un pezzo già scritto. Subito dopo l’esperienza in tv con X Factor abbiamo voluto tornare subito a suonare. Per noi la cosa principale è il contatto con il pubblico. Abbiamo scelto posti piccoli in cui esibirci per imparare e crescere”.
Il significato del testo

“Al centro del testo c’è il concetto di redenzione. Dal male può nascere del bene. Da qualcosa che viene visto come sbagliato, così come è avvenuto con la nostra scelta di mollare tutto e dedicarci alla musica h24, può nascere del buono credendo in se stessi e in quello che si fa. Il messaggio è che non bisogna farsi spaventare dal mondo esterno, aldilà delle nostre canzoni vorremmo dire alla nostra generazione, in particolare ,di portare avanti quello in cui si crede. Bisogna cercare la felicità attraverso il proprio talento”.

Il sound

“Fin dall’inizio abbiamo cercato di creare un suono nuovo e fresco. Con questo brano siamo approdati a un suono che non avevamo mai affrontato prima. Questo anche grazie ai mezzi che abbiamo avuto a disposizione. Abbiamo lavorato in uno studio fantastico, la chitarra di Thomas ha un suono alla Frusciante dei primi anni ’90, siamo vicini alla scuola dei Red Hot Chili Peppers. La voce di Damiano ricorda quella di Fletwoodmac”.

Maneskin live @ Santeria Social Club ph Francesco Prandoni

Maneskin live @ Santeria Social Club ph Francesco Prandoni

Il nuovo tour

“In autunno ci sarà un nuovo tour con un allestimento inedito e cambieremo anche la scaletta. La tourneè partirà il 10 novembre 2018 e sarà prodotta nuovamente da VIVO CONCERTI dopo il fantastico successo che ci ha portato al sold out, in pochissime ore e per tutte le ventuno date, del primo tour. Possiamo anticiparvi che non ci saranno solo cover, cercheremo di portare principalmente noi stessi e i nostri brani, non vediamo l’ ora che questo tour possa portarci a uno step successivo ancora più soddisfacente. La nostra vera dimensione è il palco e questa cosa non vogliamo dimenticarcela. Il nuovo tour ci vedrà sui palchi di locali diversi e più grandi. Tra tutti possiamo già citare il Fabrique di Milano e il Palatlantico di Roma. Per ora abbiamo fissato una decina di date.

Il nuovo album

Stiamo valutando dove ficcare il naso, sicuramente faremo molto meno, abbiamo in programma di chiuderci in studio, saremo in ritiro per mettere mano al disco e lo finiremo sicuramente entro l’autunno, prima che inizi il nuovo tour. Abbiamo dei pezzi già scritti, dobbiamo continuare a lavorare con lo stesso spirito. Per il momento stiamo mettendo in pole position sia brani in italiano che in inglese, così come ci vengono.

Il marchio di fabbrica Maneskin

Si parte sempre da un compromesso intrinseco tra noi quattro. La nostra produttività ed efficacia è aumentata parecchio in questi ultimi mesi. Stiamo cercando di creare una dimensione nostra, il nostro desiderio è creare il nostro sound personale e il disco seguirà questa linea d’onda. Ognuno di noi ascolta generi diversi per cui il risultato è una mescolanza di quello che ci piace.

Raffaella Sbrescia

Video: Maneskin live – Santeria Social Club

La scaletta del concerto
Intro
Let’s get it started
Take me out/Somebody told me
Un temporale
You need me
Breezblocks
Gimme Shelter
Pyro
Gangsta’s paradise
Master Blaster
Alors on dance
Recovery
Dirty Diana
Beggin’
Hey Mama
Vengo dalla luna
Prisoners/Eatch me
Kiss this
Chosen

CALENDARIO TOUR AUTUNNALE 2018:

sabato 10 novembre 2018 – SENIGALLIA (ANCONA) – MAMAMIA – DATA ZERO

giovedì 15 novembre 2018 – PADOVA – GRAN TEATRO GEOX

sabato 17 novembre 2018 – BOLOGNA – ESTRAGON

sabato 24 novembre 2018 – MILANO – FABRIQUE

venerdì 30 novembre 2018 – BARI – DEMODÈ CLUB

sabato 1 dicembre 2018 – NAPOLI – CASA DELLA MUSICA

giovedì 6 dicembre 2018 – BRESCIA – GRAN TEATRO MORATO

domenica 9 dicembre 2018 – VENARIA REALE (TO) – TEATRO DELLA CONCORDIA

mercoledì 12 dicembre 2018 – FIRENZE – OBIHALL

sabato 15 dicembre 2018 – ROMA – ATLANTICO LIVE

 

Video intervista a Tommy Kuti: Ironia, politica e verità in “Italiano vero”

Tommy Kuti

Tommy Kuti

Non si tratta dell’ennesimo rapper. TOMMY KUTI, all’anagrafe Tolulope Olabode Kuti, pubblica “Italiano vero” per Universal Music Italia e segna un passo importante già all’esordio. Il motivo di questa affermazione risiede nel fatto che Tommy è un rapper afroitaliano di origini nigeriane e si fa portavoce dei cosiddetti “nuovi italiani” di seconda generazione che non trovano spazio nella società, che non vedono riconosciuti i propri diritti di cittadini italiani e che non riscontrano l’attenzione dei media, troppo accaniti sempre e solo sui fatti di cronaca nera. Attraverso uno stile diretto e rime non scontate, Kuti intende fare su luce su questa questione ma anche su temi di integrazione socio-politica multirazziale. Il disco spazia dal cantautorato Italiano, al sound impegnato del rap francese, mischiate alla trap tradizionale. Tra i plus, il fearuring con Fabri Fibra nel brano “Clichè”, una traccia che spara in faccia una serie di scomode verità. Un esordio che non passerà inosservato.

Video intervista:

Questa la tracklist del disco, mixato e masterizzato da Marco Zangirolami:
1. Forza Italia (prod. 2ndRoof)
2. Il Disco di Tommy (Prod. Pankees)
3. The Way I Am (Prod. 2nd Roof)
4. Skit Clichè (Prod. Marco Zangirolami)
5. Clichè (feat. Fabri Fibra) (Prod. Pankees)
6. Afroitaliano (Prod. Pankees)
7. Hassan (Prod. Pankees)
8. La Bella Italia (Prod. Yves The Male)
9. La Pelle (Prod. Medeline)

 

Video intervista a Gazebo: “Italo by numbers” è la rivincita della disco music Made in Italy

 “ITALO BY NUMBERS” (Softworks / SELF Distribution) è il nuovo album di GAZEBO, l’artista, cantante e coautore di “I Like Chopin (uno dei brani simbolo degli anni ‘80), che torna dopo 8 album in studio. All’interno di questo progetto GAZEBO ripropone alcuni classici della famosissima ondata di musica dance made in Italy, insieme ad brano inedito intitolato “La Divina”, in cui per la prima volta il cantante si cimenta con la lingua italiana.

Video intervista:

 Raffaella Sbrescia

Questa la tracklist: “Passion”, “Give me one day”, “Self control”, “Wait”, “I like Chopin”, “Tarzan boy”, “Another life”, “Survivor”, “Happy children”, “Lunatic”, “Untouchable”, “People from Ibiza”, “Masterpiece”, “Easy lady”, “Dolce vita”, “Rainfall memories”, “La Divina”.

Fatti sentire: Laura Pausini presenta il nuovo album. Com’è? E’lei

Laura Pausini

Il ritorno di Laura Pausini

“Fatti sentire” è un invito che voglio fare a me e a chi ascolta la mia musica, un invito a essere coraggiosi ad andare avanti senza avere paura dei pregiudizi. Lo dico io che sono continuamente giudicata e spesso ho sofferto di questo tentando di proteggermi facendo il possibile per piacere a chi mi giudicava male. In questi 25 anni ho cercato di essere coraggiosa anche nei momenti in cui non lo ero”. Tante volte mi è stato detto che sono coraggiosa ma appena scendo dal palco, mi bastano cinque gradini per farmi diventare piccola, fragile e insicura. “Fatti sentire” è una cosa che mi viene da dire quando sono sul palco. Abbiamo una sola vita, una sola occasione e io ho scelto di essere contenta di me stessa, esattamente così come sono.

La scelta delle canzoni
Le canzoni che sono nel disco sono molto diverse tra loro, si passa da una ballad, a un reggaeton a un pop americano tendente al funky. Il disco è il mio 13esimo in italiano, il 12esimo in spagnolo, nasce dalle parole, non è autobiografico ma sono stata felice di cantare queste canzoni in un momento inaspettato. I tempi per fare uscire un album li conosciamo tutti, io stessa credevo di tornare all’inizio del 2019 ma, ad un tratto, nel giro di un mese e mezzo, avevo già tutte le canzoni che volevo cantare, ho chiamato Marco Alboni, presidente di Warner Music Italy e gli ho detto che ero pronta anche se lui non era d’accordo. Gli ho chiesto di venire a casa mia a sentire le canzoni che avevo con me, un po’ in veste di loro protettrice, non volevo aspettare il periodo in cui si vende di più. Avevo voglia di cantarle adesso, magari tra otto mesi non mi sentirò più così. Volevo combattere per loro.

In questo periodo mi sento protagonista di una fase nuova, mi sembra di ricominciare daccapo, finalmente farò promozione in programmi televisivi nuovi con conduttori che non conosco. Anche con le canzoni mi sono comportata in un modo diverso, le ho scelte senza sapere chi le avesse scritte, ho chiesto alla mia manager di inviarmele via mail solo con il titolo ma senza il nome dell’autore. La verità è che mi lascio facilmente influenzare, ho fatto una selezione di 40 brani, lasciandomi colpire da quelle che mi smuovono a livello fisico e che fanno muovere il mio braccio destro.
Il brano in inglese “No river is wilder” è rimasto così perchè mi piace molto interpretarlo, si tratta di un brano un po’ sofisticato dal punto di vista vocale, mi piace sentirmi sfidata.

Tutte le canzoni in tracklist hanno un comune denominatore: il protagonista è sempre qualcuno che si trova di fronte a una scelta, in qualche modo deve farsi sentire. Sono storiie molto diverse l’una dall’altra. Posso dire che questo è il mio disco più vario di sempre.

Musica da produrre e da conoscere

Oltre a produrre musica, sono anche un’appassionata fruitrice, sono attenta al modo in cui lavorano i miei colleghi d’oltreoceano e sono curiosa di come si sia diffusa la tendenza a fare uscire diversi brani prima di pubblicare il disco vero e proprio.
Amo il supporto fisico anche se il digitale va molto più veloce mi aspettassi, voglio imparare ad amare questo modo di conoscere e vivere la musica. Non voglio fare quella della vecchia scuola. La musica urbana va per la maggiore, nel ’93 c’erano tante ballads, tante persone dicevano “che palle” ora, invece, soprattutto in Sud America sono percepite come qualcosa di molto chic. Un prodotto popolare non è per forza scarso, nel mio disco ho voluto inserire il mio secondo brano reggaeton, il primo è stato “Innamorata” di Lorenzo Jovanotti nel disco “Simili”. Non è scritta da un colombiano, è una roba diversa, nata per omaggiare il fatto che per sei mesi all’anno vivo lì. Non posso dimenticare questo fatto, l’attitudine latina fa parte del mio essere e su certi aspetti i latini sono molto simili ai romagnoli, sono molto veraci. La canzone è divertente, di solito faccio fatica a scegliere brani divertenti non sono riuscita a trovare il modo per inserire un allure leggera nelle mie ballads. In genere ci sono temi profondi difatti anche in “Marco se n’è andato” il tema era la solitudine.

Pausini (Julian Hargreaves)

Il tour mondiale inizia al Circo Massimo

Quando Ferdinando Salzano mi ha proposto di aprire il tour al Circo Massimo, sono stata subito felicissima ed entusiasta poi dopo circa 15 giorni ho iniziato ad avere paura e a sentire il peso della responsabilità e il timore di non riempire uno spazio così prestigioso. Ora che sono arrivati i numeri dei biglietti venduti mi sento molto più tranquilla, neanche immaginavo potesse essere possibile che venisse proposto di esibirsi lì a un cantante italiano. Inizialmente la data era solo una ma, francamente, pensando al fatto che tanti miei fan hanno ormai la mia età e hanno figli, mi sentivo in colpa a farli venire in un posto stando in piedi, coi bimbi in braccio e senza vedere nulla. Pensando a questo, gli avrei detto io stessa di restare a casa.

Spazio agli autori del disco

Sono felice di invitare gli autori del disco a sentirsi liberi di venire ad aprire i miei concerti. Virginio Simonelli, Edwin Roberts, Niccolo Agliardi, Giulia Anania, Enrico Nigiotti, Daniel Vuletic, Joseph Carta. Gli autori non sono solo tali, sono interpreti e hanno all’attivo i loro progetti e sarò felice di dare loro lo spazio che meritano.

“Fatti sentire 1/2″
Non ci stavano tutte dentro, non mi andava di farne uscire 20 in Italia e 14 in America, non so come e quando e come uscirà ma so che questo disco ha delle parole che devono continuare. Non ho ancora registrato i brani ma ho i demo, vorrei che si facessero sentire.

Nuovi singoli in arrivo

Il prossimo singolo sarà “Frasi a metà” di Agliardi. In America sta girando invece un remix molto particolare in pieno stile latino con una produzione di Sergio George arricchita da un featuring con Gente De Zona, duo di salsa reggaeton. La diversità sta nel fatto che invece di prendere una canzone e ricantarla, hanno voluto fare un intervento molto più importante entrando nella canzone con testo e musica. Abbiamo fatto qualcosa di nuovo che francamente non avevo ancora mai sentito. Anche se l’arrangiamento è stato molto particolare non mi sono sentita snaturalizzata. A questo proposito sono molto felice di annunciarvi che tra due settimane terrò finalmente un concerto a Cuba, aspettavo da tempo questa occasione.

Laura Pausini

La retorica del femminismo

In questi ultimi anni la figura della donna ha ottenuto molto a fronte del proprio merito. In ogni caso non sono una femminista, non mi piace mettermi dentro una categoria, cerco di apprendere soprattutto quello che riguarda la dimensione umana. Se una ha persona ha del valore, uomo o donna che sia, è giusto che gli venga riconosciuto.

Corde vocali tricolori

Il mio rapporto con l’Italia è fondamentale, quando vado in America canto per lo più in spagnolo ma non con un altro repertorio. C’è sempre Italia nelle mie canzoni, le mie corde vocali sono tricolori, si sentono più comode con quelle note lì. Ovunque io vada sarò sempre “desde Italia”.

“Francesca” (Piccola aliena)

Francesca è la mia nipotina, figlia di mia cugina Roberta. La bambina è morta a tre anni, vittima di una rara malattia genetica (sindrome da deiezione ip36). Sua madre ha scritto una favola e mi ha chiesto di cantarla. Con l’aiuto di Daniel, sempre capace di intuire il tipo di sensibilità necessaria per narrare queste mie cose personali, ho voluto raccontare questa storia anche per sensibilizzare le persone riguardo il fatto che i genitori che perdono i propri figli hanno bisogno di essere aiutate. L’associazione con cui collabora Francesca si chiama “Bimbo tu”.

Scaletta work in progress
Ormai comincio ad avere tante canzoni in repertorio. L’unica che davvero non mi piace è “Cani e gatti” presente nel mio secondo disco. Ricordo che l’abbiamo scritta in mezz’ora allo studio Sant’Anna e non c’era nemmeno il testo. Mi piacerebbe fare 13 concerti e cantare in ogni concerto un disco. Sto buttando giù la scaletta ma è davvero molto difficile, molti fan mi dicono che non vogliono più i medley e le canzoni più famose. Per questo motivo voglio presentare un po’ di canzoni che fanno parte di questo nuovo disco.
Quest’anno non ci saranno ballerini, voglio che la musica sia l’unica vera protagonista. Non si tratta di un percorso dei miei 25 anni di carrriera anche se alla fine lo è. Non riuscirò a fare un concerto di 3 ore, sembrerebbe troppo anche a me. Mi sto guardando in giro alla ricerca di nuove idee tecnologiche, qualcosa che possa essere all’altezza delle aspettative del pubblico. Chi viene da me, viene per conoscere un repertorio ma deve avere anche qualcosa di speciale da guardare.

Il canto dopo 25 anni di carriera.

Più serie e profonde sono le mie canzoni, più vado fuori di testa. Non vedo l’ora che la gente le ascolti. La canzone più difficile da cantare è stata “Nuevo”: pur avendo poche note, per me che sono abituata a cantare ad alto volume e che quando mi gaso spingo, è stato difficile adattarmi all’attitudine di questo nuovo ritmo e cercare di sussurrare. Il prossimo singolo comunque sarà “Frasi a metà”, un brano pop rock che rispecchia il mio mood attuale. Uno dei pochi brani autobiografici, dedicato a una persona che conosco, avevo bisogno di sfogarmi.

Raffaella Sbrescia

Video:

“Volevo scriverti da tanto”: Mina torna ad emozionare come una volta

Mina-Maeba

Mina-Maeba

Che dolce il tepore di una voce calda, potente, vicina. Una voce inconfondibile come quella di Mina. Una voce che regala vita ad un flusso di coscienza rimasto quiescente per chissà quanto tempo. Questo è quanto accade in “Volevo scriverti da tanto”, il nuovo singolo che preannuncia l’uscita di “MAEBA”, il nuovo album di inediti della cantante. Il testo è di Maria Francesca Polli e le musiche di Moreno Ferrara, il pathos interpretativo è 100% Mina.

Quante volte ci siamo fermati, incantati, ad ascoltare le sue canzoni più famose?
Ecco, questo è quello che succedo ascoltando questo nuovo brano così cupo, intenso, struggente. Una lettera mai scritta, una dialogo destinato a non avere mai luogo, l’occasione per fare pace con se stessi e perdonarsi dopo un lungo personalissimo patimento emotivo.
La ballad è di chiaro stampo mediterraneo, amabilmente agèe, ed è in grado di creare un’atmosfera intima, personale, inviolabile. L’arrangiamento è a cura di Massimiliano Pani ma la diva qui è solo Mina, maestra nell’esaltare tutte le sfumature più dolorose di un’ammissione privata.
“Canto ancora di te, non so più a chi credere, ho litigato con Dio che non mi parla da un po’, ci sono notti in cui la notte è troppo lunga anche per me, sciolgo dentro un caffèlatte ogni mio stupido perchè” e poi, ancora, “volevo scriverti ma lo faccio adesso se vuoi, volevo dirti che io canto ancora di te, e pure se a modo mio ho fatto pace con me”, canta Mina fino all’atto conclusivo: “Volevo scriverti da tanto, scusa se non l’ho fatto mai”. Ci piace immaginare che questo effluvio di intime dichiarazioni possa aver trovato un interlocutore, presente o figurato, pronto a regalare un abbraccio scalda-anima.

Raffaella Sbrescia

Claudia Cantisani presenta “Non inizia bene neanche questo weekend” al Blue Note

claudia-cantisani

claudia-cantisani

Domenica 8 aprile-ore 21.00- la vocalist e compositrice jazz Claudia Cantisani presenterà nello storico jazz club Blue Note Milano il secondo lavoro discografico, “Non inizia bene neanche questo weekend” (La Stanza Nascosta Records, 2018), pubblicato lo scorso 10 marzo.

Fedele al mood swingante e jazzy, che è il suo marchio di fabbrica, Cantisani proporrà al Blue Note alcuni brani del precedente Storie d’amore non troppo riuscite (Crocevia di Suoni Records, 2014) e del recentissimo Non inizia bene neanche questo weekend (La Stanza Nascosta Records, 2018); non mancherà qualche incursione nei repertori di Conte e Caputo, particolarmente congeniali all’artista, e una personalissima versione della kurtweilliana Mack the knife, già interpretata- tra gli altri- da Ella Fitzgerald, Mina e Marianne Faithfull.

Claudia Cantisani (voce e armonica) sarà accompagnata sul palco da:

Felice Del Vecchio-pianoforte

Tony Arco-batteria

Valerio Della Fonte -contrabbasso

Felice Clemente- sax e clarinetto

Andrea Baronchelli- trombone

Ospiti:

Franco Finocchiaro-contrabbasso

Antonello Fiamma-chitarra

Martino Pellegrini-violino

Wrongonyou: la recensione dell’album d’esordio “Rebirth”

Rebirth

Il folk americano, la natura, l’inglese e l’autenticità sono il poker d’assi che Marco Zitelli, in arte Wrongonyou, cala per il suo album d’esordio “Rebirth” (Carosello Records), giunto dopo l’ep “Mountain Man”. La rinascita di cui si intende parlare è di tipo mentale e mette in luce la ritrovata capacità da parte di Wrongonyou di focalizzarsi sull’uso della voce e sulle vibrazioni dettate da un’interpretazione verace e senza filtri. Al centro delle 11 tracce c’è madre terra, lo si percepisce dai suoni che rimandano a grandi distese di boschi Canadesi e selvaggie brughiere. La forza immaginifica delle parole di Wrongonyou solca i confini tra i generi, distende i nervi, regala nuove e inedite prospettive. “Tree”, “Son of winter”, “Green river”, “The lake”, ‘I don’t want to get down’ sondano anche le vicende più personali del cantautore che si destreggia agilmente tra canzoni nuove, che lo hanno portato a collaborare con Michele Canova a Los Angeles, e canzoni meno recenti che lo hanno condotto a una presa di coscienza matura e consapevole. L’originalità della formula proposta da Wrongonyou sta nella squisitezza dell’artigianalità Made in Italy, coniugata ad un più organizzato metodo di selezione e rielaborazione di sonorità dalla bellezza senza tempo. Wrongonyou è un ragazzo che macina chilometri da sempre, la malinconia e l’intimismo sono parte integrante del suo linguaggio comunicativo eppure il risultato non è affatto cupo anzi, è fresco e delicato. Just “Prove It”.

Raffaella Sbrescia

Video: Prove it

Wrongonyou si esibirà in tre concerti al South by Southwest festival di Austin, in Texas, dal 12 al 17 marzo, poi in tour in Italia dal 21 marzo a Roma.
TRACKLIST
1. Tree
2. Prove it
3. Rebirth
4. Family of the Year
5. Son of Winter
6. Green River
7. Sweet Marianne
8. The Lake
9. I Don’t Want To Get Down
10. Shoulders
11. Killer

Intervista ai Negrita: “Desert Yacht Club” è figlio del nostro tempo e rispecchia il nostro cambiamento

Negrita ph Magliocchetti

Negrita ph Magliocchetti

Desert Yacht Club” è il decimo album in studio dei Negrita e contiene undici tracce inedite, scritte e composte dai Negrita e prodotte da Fabrizio Barbacci. Il titolo, “Desert Yacht Club” rimanda all’omonima oasi creativa fondata da Alessandro Giuliano nel deserto di Joshua Tree in California ma non lasciatevi ingannare, in questo disco c’è molto altro. I NEGRITA hanno scelto di guardarsi dentro e di trovare un nuovo modo di comunicare dopo un momento difficile. D’altronde anche questo è il bello di ritrovarsi.

Intervista

La lavorazione di “Desert Yacht Club” nasce da un’approccio diverso. Cosa si intende per kitchen groove?
Di solito ci si ritrova in una saletta umida e poco salubre, qui questo concetto è stato ribaltato. Abbiamo sfruttato quello che la vita ci ha dato in questi ultimi anni. Come sapete, in genere usiamo studi residenziali, per noi la musica si lavora h24, non esistono orari da ufficio. Stavolta il tavolo è stato il nostro campo da gioco, lavoravamo senza limiti di tempo con la fortuna di avere un chitarrista cuoco. Tra un passo e un altro la musica fluiva senza soluzione di continuità, avevamo il nostro trip dentro al trip.

E qual è stato questo trip geografico?

Abbiamo attraversato il Sud Ovest degli Stati Uniti, ci trasferivamo su gomma con un furgone, ogni volta cambiavamo casa, siamo stati in mezzo al deserto, a San Diego, ovunque ci andasse. Questo tipo di manegevolezza ha fatto sì che le idee non avessero limiti. Alla base di tutto c’è stato un ragionamento: vuoi essere figlio del tuo tempo o metterti sugli allori?

Cosa avete risposto?

Abbiamo scelto di guardarci in faccia, sono venuti fuori dei ragionamenti profondi, il deserto ti spinge a guardarti dentro, ti fa sentire piccolo. Non potevamo approcciarci alla scrittura come facevamo 20 anni, abbiamo scelto anche argomenti mai toccati prima.

Raccontateci il tipo di deserto che avete vissuto.
Abbiamo scelto una struttura, definita resort, comprensiva di tre tende e due roulotte. In quel contesto si vivono 4 stagioni nel corso di 24 ore. La natura è estrema, sei completamente isolato e hai la possibilità di concentrarti su quello che stai facendo in quel momento. In quel contesto poteva capitare, com’è capitato, che gli abitanti del luogo, americani che hanno scelto di trascorrere la vecchiaia lontano da tutto, ci invitassero a bere e mangiare con loro. Pazzesco.

Video: I Negrita raccontano la loro America

Tornando al disco, cosa vi ha portato questa profonda connessione con voi stessi?

Siamo arrivati a 50 anni, siamo tutti padri di famiglia, ascoltiamo quello che sta succedendo e vediamo che ci sono in atto cambiamenti importanti. C’è un vento nuovo nel mondo, confidiamo quindi in un cambio di mentalità. L’importante, secondo noi, è che ci sia questo sentore di cambiamento altrimenti saremmo solo degli zombie. Non siamo come ci collochiamo in questo contesto, di sicuro sappiamo che i tempi che sono stati, sono andati. Il presente è quello che ci interessa. Il nostro background deve aprirsi a cose che apparentemente non collimano, bisogna avere il coraggio e la passione di farlo, serve uno spirito temerario, questo ci spinge a ricecare una passione inscritta nel nostro tempo, abbiamo una mentalità aperta e tale resterà in modo che gli input che ci arrivano possano comunque finire nei nostri tratti distintivi.

Com’è la natura di “Desert Yacht Club”?

Questo è un disco da outsider, non è collocabile in una moda, per noi essere una band significa che nel momento in cui andiamo a comporre un album abbiamo raggiunto una certa sintonia mentale. La fase preliminare di questo progetto ci ha visto condividere delle playlist in cui inserivamo le ultime cose che avevamo avuto modo di ascoltare. Questa è stata la nostra agenda di riferimento, il modo per ritrovare un linguaggio comune. Tra le cose che abbiamo scelto ce ne sono tante che sono molto lontane dal rock classico; del resto sono almeno 20 anni che il rock non riesce a proporre qualcosa che raggiunga la massa e che diventi colonna sonora di momenti importanti della vita di ciascuno.

Che tipo di messaggio intende trasmettere la vostra musica cosmopolita

Questo dipende molto dalla sensibilità di ognuno. Ovviamente noi non facciamo musica barricadera. Avendo raggiunto una certa maturità umana, la nostra musica parla della vita, dell’esistenza. C’è il romanticismo, la rabbia, la disillusione, l’amore. Bruce Springsteen sapeva tramutare la vita in musica, così come fanno i grandi classici, questo è quello che preferiamo in assoluto. Cerchiamo di applicare la passione alla musica, il risultato è un ventaglio di ampio respiro. Quello che serve di più è la coscienza perchè i modelli imposti della società sono piuttosto confusi e inquinati da tanti input. I valori veri e importanti sono sempre meno focalizzati, bisogna dare strumenti ai ragazzi per intraprendere un percorso umano, stiamo annacquando tutto nel mondo del digitale e dei social network, in questo modo le cose perdono di significato e di intensità. Per noi artisti questo significa che abbiamo un ruolo, non che debba essere caricato di responsabilità, il che sarebbe vincolante per la nostra espressività.

Da dove nasce il brano “Non torneranno più”?

Tornavamo da San Diego, stavamo per chiudere la giornata ma all’improvviso è arrivato uno spunto così potente da spingerci a lavorare subito. Abbiamo preso coscienza poco a poco del contenuto di questo pezzo rivolto alla nostra generazione nata a fine ani ’60. Parliamo ai nostri coetanei lasciando un piccolo spazio al rimpianti. Ad un certo punto ci siamo resi conto che siamo genitori e ci è venuto naturale scrivere anche ai nostri figli in “La rivoluzione è avere 20 anni”. Abbiamo usato la frase di Gandhi “Be the change you wanna see in the world” per dire ai ragazzi di oggi: “Pensate come volete, l’essenziale è che capiate che quella lì è l’età giusta per cambiare le cose”. I ragazzi di oggi devono poter avere gli strumenti per leggere la realtà, se li costringiamo dentro format predefiniti creiamo degli infelici e degli irrisolti.

Quanta California c’è in questo album?
La California è stata un imprinitng. Dopo il tour europeo abbiamo toccato Los Angeles e ci siamo rimasti per quattro settimane. Questo non è un disco californiano, venivamo da un momento di down, il nostro gruppo cominciava a vedere un orizzonte finito, qualcuno cominciava addirittura a pensare di mettere un piede fuori dalla band. Per fortuna però veniamo dalla provincia che, nonostante i limiti, ci lascia intatti e così siamo rimasti. Il viaggio di questo album è arrivato dalla paura di essere arrivati alla fine, si erano create situazioni che ci facevano pensare di essere arrivati al traguardo, invece siamo ripartiti proprio da dove eravamo per creare un percorso nuovo basato su una soluzione comunicativa incentrata sulla condivisione.

Quindi questo album si può definire come una sorta di terapia di gruppo?
Sicuramente. Quello che proprio non accettiamo è che spesso ci viene chiesto di non cambiare mai. Ogni volta che pubblichiamo un album nuovo, la gente dice “Ma che cazzo si sono fumati i Negrita?”. Il nostro cruccio è che se viene fuori qualcosa che ricorda il disco precedente lo scartiamo, non accettiamo la pretesa egoistica di chi pretende che dobbiamo fare sempre le stesse cose. La nostra attitudine sicuramente è la stessa ma i Negrita sono camaleontici, cambiamo la codifica del suono in base alle nostre esistenze individuali e di gruppo. Cerchiamo quindi di interpretare il nostro tempo e questi anni a modo nostro.

Il disco si chiude con “Aspettando l’alba”, un brano particolare dalla doppia anima.
Drigo: ho scritto questo brano dopo l’improvvisa scomparsa di mio padre. Ho vissuto molto male questo momento, ero sempre l’ultimo che rientrava in hotel dopo i concerti e venivo da una lunga serie di addii che mi ha messo a dura prova per tanti anni. Nel momento in cui mi sono messo a scrivere, ho rielaborato questi addii, il fulcro della canzone è: ogni fine finirà. Io credo che non ci sia una vita sola, ci si reincontrerà in futuro.
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Pau: in questo brano Drigo ha sputato fuori gli ioni negativi. Il brano cambia vita nella seconda parte diventando una pseudo samba attraverso una componente brasileira senza i classici stilemi del samba. L’importante per noi è questi momenti si risolvano con una ricerca di positività. Questa, in effetti, è una caratteristica dei Negrita, molti non ci stimano perchè hanno la sensazione che siamo troppo positivi ma sono opinioni. Noi amiamo mettere in gioco la nostra componente solare, la gente invece tende a tirar fuori la depressione e a crogiolarvisi, noi no.

Raffaella Sbrescia

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