Andrea Tarquini canta Stefano Rosso e lavora ad un nuovo disco

Andrea Tarquini

Andrea Tarquini

Andrea Tarquini è un cantante e chitarrista acustico. Intorno ai vent’anni esordisce sui palchi di tutta Italia, grazie alla collaborazione con il suo maestro e amico Stefano Rosso, che lo avvia allo studio della chitarra Fingerpicking. Poco più tardi, ormai trentenne, Andrea Tarquini comincia a focalizzare l’ attenzione verso i generi musicali più acustici: dal cantautorato alla musica tradizionale USA. Sono anni nei quali l’artista frequenta la scena musicale acustica e bluegrass romana ed è proprio grazie al gruppo di “bluegrassari” romani che inizia la collaborazione con Luigi “Grechi” De Gregori, fratello maggiore di Francesco. Grazie all’amicizia e a lunghi scambi di idee con Luigi e con Paolo Giovenchi prende forma il progetto di realizzazione del disco – tributo a Stefano Rosso con brani cantati e suonati da Andrea Tarquini che, intanto, sta scrivendo un pugno di canzoni proprie, tutte rigorosamente “unplugged”, che saranno all’interno di nuovo lavoro discografico.

Andrea, quanta America c’è nella sua musica e quanta Trastevere?

Nella mia musica c’è sicuramente tanta America, la mia ricerca artistica si concentra, infatti, sulle sonorità tipicamente nord-americane.

 Qual è la differenza tra fingerpicking e flatpicking?

Il flatpicking consiste nel suonare la chitarra acustica col plettro nella mano destra, si tratta di una tecnica legata alla musica tradizionale ma non solo. Il fingerpicking consiste, invece, nel suonare  la chitarra acustica suonata senza plettro nella mano destra e prevede l’indipendenza del pollice, che suona i bassi alternati mentre le altre dita fanno la melodia.

AT_REDS Canzoni di Stefano Rosso_cover“Reds! Canzoni di Stefano Rosso” è il tuo lavoro discografico più recente. Da dove nasce l’idea di questo album e che ricordo umano e professionale hai di Stefano?

Il disco nasce principalmente grazie allo stimolo di Luigi (Grechi) De Gregori, che mi ha sempre detto le seguenti parole: «Sei un ottimo chitarrista, canti bene e suonavi con Stefano Rosso. Chi meglio di te può fare un disco con i suoi brani? Sbrigati a realizzare questo progetto prima che qualcun’altro metta in pratica l’idea, magari in malo modo». Questo è stato, quindi, uno dei primi motori, a cui si è aggiunto Enrico Campanelli che, con la sua società, ha finanziato e sostenuto la produzione del disco, e Paolo Giovenchi, che ha curato la produzione con un supporto artistico e creativo. Di Stefano Rosso potrei dire tante cose: quando suonavo con lui ero molto più giovane, avevo una ventina d’anni e, in qualche modo, è stata una fase formativa e molto significativa della mia vita. Lui era un uomo semplice, un uomo naturale, non c’era nulla di costruito. Stefano era esattamente quello che si vedeva dall’esterno, comprese le fragilità e i limiti che lo hanno allontanato dal grande pubblico negli ultimi anni della sua carriera. Questa sorta di isolamento lo ha portato, infine, a far diventare sempre più forte la sua peculiarità di folk singer.

Come si svolge la tua vita di “romano a Milano”, innamorato del sound americano?

La musica non è l’unica cosa che ho fatto in questi anni anche se il mio percorso è molto legato allo strumento e alle musiche strumentali, in particolare. Non  penso che esista musica vecchia e nuova, esiste, bensì, musica buona e musica cattiva. La cosa importante sono i contenuti e, per quanto mi riguarda, quello che mi contraddistingue è il fatto di credere fortemente in una musica di tipo cantautorale, acustica, intima.

Andrea Tarquini

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“Ho capito come” è un brano strumentale scritto da lei e dedicato a Stefano Rosso. Il titolo è una risposta al ricorrente intercalare dell’artista o  è anche una dichiarazione di intenti?

Chissà, forse avrei dovuto mettere un punto interrogativo alla fine del titolo perché, in verità, non si capisce mai qualcosa del tutto. “Ho capito come” potrebbe far pensare che uno abbia raggiunto qualche traguardo mentre, invece, ogni cosa che fai sposta in avanti il traguardo. L’importante è essere su un cammino che ti rappresenti, che senti sia tuo.

 “C’è un vecchio bar” è un inedito, una canzone mai registrata in studio da Stefano Rosso. Come ha potuto riproporla esattamente come l’artista la suonava?

Possedevo una cassetta con una registrazione amatoriale che Stefano Rosso non ha mai inciso. Purtroppo la cassetta è andata distrutta ma, attraverso la mia memoria, è stato possibile effettuare un vero e proprio recupero storico del brano.

Prossimamente presenterà, a Milano, la nuova OMS Custom dello storico marchio “Burgeosis”, ci anticipa qualcosa?

“Orchestra Model Slotted” è il modello dello strumento, realizzato apposta per me, e che non ho mai suonato prima. Si tratterà di un concerto di presentazione e, se da una parte festeggeremo la mia collaborazione, in qualità di endorser con lo storico marchio, dall’altra presenteremo lo strumento al pubblico.

Che progetti ci sono per il futuro?

Sto scrivendo un nuovo disco e mi sto concentrando su questo. Per il resto vorrei fare un buon numero di concerti: in Italia la musica acustica fatica il doppio degli altri generi a trovare spazio. Si tratta di un genere apparentemente di nicchia ma molto più popolare di quanto si creda. Mi piacerebbe, dunque, fare un buon disco e suonarlo bene in giro, senza problemi di fruizione.Vorrei, inoltre, che il nostro paese fosse un pò più attrezzato e rispettoso nei confronti della musica.

Raffaella Sbrescia