My Gravity Girls: ecco primi due volumi della tetralogia “Irrelevant Pieces”

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Perdita, amore, speranza, silenzio. Ecco i capisaldi di “Irrelevant Pieces” la prima tetralogia firmata da My Gravity Girls, il progetto discografico nato a giugno 2013 che riunisce le menti e gli strumenti di Claudio, Mattia, Pietro, Simone C, Simone G. Dopo aver ascoltato i primi due capitoli di quest’opera, è già possibile sbilanciarsi tracciando i tratti fondamentali che contraddistinguono questa nuova realtà musicale made in Italy (più precisamente Parma). L’estrema rarefazione che fa da caposaldo nel primo volume è la tangibile testimonianza di un radicato senso di alienazione e smarrimento che confluisce all’interno di una miscela sonora ectoplasmica dal fascino ipnotico. Quattro tracce intime prendono vita dai meandri più oscuri del subconscio poi i sussurri si materializzano in parole di canzoni folktroniche. Che sia una calda lacrima o un inaspettato sorriso, My Gravity Girls riescono a generare reazioni emotive. Tra tutte le tracce ascoltate segnaliamo la bellezza onirica di “Whispers” e l’ imponenza epica di “Desert Storm” che, nel chiudere il secondo di quelli che saranno quattro volumi in tutto, ci infonde la consapevolezza che si tratterà di qualcosa che ci resterà stampato nel cuore.

 Raffaella Sbrescia

Credits:
All songs performed by My Gravity Girls
Produced by My Gravity Girls and Marco Canepa
Recorded at Drumcode studio and Home
Mixed by Marco Canepa
Mastered by Stefan Noltemeyer

Ascolta qui l’album:

Roba lieve: dall’Emilia al west con i La Rosta

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Dall’Emilia al West con “Roba lieve”, primo lavoro dei La Rosta, nuova combo musicale composta da Massimo “Ice” Ghiacci, membro fondatore, bassista e autore dei Modena City Ramblers e Marco “Goran” Ambrosi, chitarrista e autore nella band calabro-bolognese dei Nuju. Pubblicato da IWorld Records e mixato da Andrea Rovacchi nello studio Bunker di Rubiera (RE), il disco si muove con spiccata personalità tra suoni acustici e trame elettroniche senza rinunciare ad echi del cantautorato anni ’70 ed il country rock dei giorni nostri. Le undici canzoni proposte dai “La Rosta” profumano di vita vissuta e incantano l’ascolto attraverso avvolgenti derive oniriche. Il calore del suono acustico del bouzouki s’ibrida con l’elettricità di una chitarra elettrica western sul battito di una batteria elettronica creando un suono meticcio e senza tempo. Il ritmo incalzante e godibile della ballata folk “Per un momento ancora” fa da apripista a “Canzone Sui Binari N.1” l’ode al mondo antico dotata di un testo intriso di racconti e suggestioni letterarie. Rossellini, Monicelli, Visconti sono gli dei osannati con piglio leggero e disinvolto, lo stesso che muove le trame della title track Roba Lieve”, fotogramma della “regina campagna”. Lo spirito cinematico della penna di Ghiacci trova spazio anche in Solitudine ed in “Troppo Tempo Qui Da Solo in cui l’esser soli diventa un momento prezioso per immergersi in se stessi, comprendersi, risolversi. Lo strumentalismo di “Via Adua” arriva a sorpresa ed è, in effetti, un momento buono per riposarsi e tirare il fiato. Un attimo dopo ci si immerge nel piglio cantautorale di “Tra I Tuoi Suoni”. Apparentemente più leggero e caciarone il mood de “L’Estate Dell’80”, un tuffo carpiato all’indietro, un po’ come avviene anche ne “Le lucciole” brano che, a differenza del precedente, si muove lungo una melodia emotivamente più impattante. “Come sarebbe bello fermare il mondo e scappare”, cantano i La Rosta in “Emma”, brano dal retrogusto amaro che precede “Lizzy Luz”, il testo che chiude il disco tra cori enigmatici ed interrogativi che ci lasciano con la testa per aria e l’animo alleggerito.

 Raffaella Sbrescia

TRACKLIST
01. Per Un Momento Ancora
02. Canzone Sui Binari N.1
03. Roba Lieve
04. Solitudine
05. Troppo Tempo Qui Da Solo
06. Via Adua
07. Tra I Tuoi Suoni
08. L’Estate Dell’80
09. Le Lucciole
10. Emma
11. Lizzy Luz

 

Piers Faccini live a Napoli per il Suo.Na

Pier Faccini

Pier Faccini

Si è tenuto lo scorso 21 marzo il secondo appuntamento della rassegna Suo.Na, interamente dedicata alle realtà musicali più interessanti del momento. Protagonista del palcoscenico della Sala 3 del Duel Beat di Agnano a Napoli, il cantautore anglo-italiano e polistrumentista Piers Faccini. “Between Dogs and Wolves”, tra cani e lupi, è il titolo del suo ultimo disco che ben descrive anche l’irrispettoso e rumoroso pubblico che l’elegante e delicato artista si è  ritrovato a fronteggiare. La serata, ad ingresso gratuito per la riapertura della sala dell’ex cinema, voleva essere un regalo speciale e prezioso da parte degli infaticabili organizzatori della kermesse ma ben pochi hanno saputo apprezzarlo. La musica malinconica e cosmopolita di Piers trova le sue vie di espressione attraverso un dolce ed incisivo finger picking, accompagnato da una leggera batteria e dal suggestivo suono di un’armonica a bocca. Una manciata di canzoni intrise di intime  sfumature, continui e articolati rimandi musicali e suggestivi innesti culturali sono i tratti salienti della musica di Piers Faccini. Nessun effetto speciale, niente luci colorate o sbuffi di fumo: solo la voce, calda e coinvolgente, miscelata al folk anglosassone, iniettato di autentico blues, sono le “armi” con cui Piers ha provato a conquistare la selvaggia platea del venerdì sera, senza tuttavia riuscirci. Ci resterà l’indelebile ricordo delle intense parole di “Uncover my eyes”, l’ultimo atto performativo del song writer:

“Crowds were gathered at the waters’ edge
While in each face and hand
A million stories there to tell
A tale for every man

I’ve heard all the answers
But none that fit the question
Is there a way to silence
There’s the revelation

Sing heart, sing
Sing heart, sing
Sing heart, sing
A river flows in my veins”

Raffaella Sbrescia

Gli irlandesi Moxie chiudono la XIX edizione del “Vo’ on the Folks”

Moxie

Moxie

La XIX edizione del “Vo’ on the Folks”, la rassegna musicale diretta da Paolo Sgevano, organizzata in collaborazione con l’assessorato comunale alla Cultura e la Cassa Rurale e Artigiana, giunge al termine con un ultimo concerto molto speciale, previsto per sabato 15 marzo, presso la Sala della comunità di Brendola, in provincia di Vicenza. Sul palco del festival dedicato alle musiche popolari del mondo saliranno, infatti, i  Moxie: 5 giovani musicisti irlandesi capaci di esplorare e solcare i confini della musica attraverso la loro rinomata sensibilità interpretativa. Il loro repertorio coinvolgente e variegato è in grado di ispirare il pubblico grazie a suggestioni insolite e fuori dal comune. La band è composta da Cillian Doheny (banjo e chitarra), che nel 2010 è stato protagonista di una speciale jam session al fianco di Bono Vox degli U2, Joss Kelly (voce, organetto diatonico e tastiere),  che ha suonato con artisti del calibro di Kenny Werner, Martín O Connor, Bobby McFerrin, Beoga. Ted Kelly (voce, banjo e chitarra), fratello di Joss, anche lui spesso sul palco con Bobby McFeerin, Darren Roche (organetto), presente a numerosi festival internazionali come il Willie Clancy, Fleadh by the Feale, Con Curtin, Temple Bar Trad Festival and Sligo Live, e Paddy Hazelton (voce e percussioni), a cui si devono molte delle fusioni musicali e delle sperimentazioni strumentali del gruppo che, nonostante un solido background ispirato alla tradizione irlandese, si lascia spesso ammaliare dal fascino del jazz, dei ritmi tipici della world music e persino dalla new age.

Info e prenotazioni:

Sala della Comunità – via Carbonara,28  - Brendola (VI) – tel. e fax 0444 401132

www.saladellacomunita.com - info@saladellacomunita.com

Video: ”What Lies Behind The Wall”

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Andrea Tarquini canta Stefano Rosso e lavora ad un nuovo disco

Andrea Tarquini

Andrea Tarquini

Andrea Tarquini è un cantante e chitarrista acustico. Intorno ai vent’anni esordisce sui palchi di tutta Italia, grazie alla collaborazione con il suo maestro e amico Stefano Rosso, che lo avvia allo studio della chitarra Fingerpicking. Poco più tardi, ormai trentenne, Andrea Tarquini comincia a focalizzare l’ attenzione verso i generi musicali più acustici: dal cantautorato alla musica tradizionale USA. Sono anni nei quali l’artista frequenta la scena musicale acustica e bluegrass romana ed è proprio grazie al gruppo di “bluegrassari” romani che inizia la collaborazione con Luigi “Grechi” De Gregori, fratello maggiore di Francesco. Grazie all’amicizia e a lunghi scambi di idee con Luigi e con Paolo Giovenchi prende forma il progetto di realizzazione del disco – tributo a Stefano Rosso con brani cantati e suonati da Andrea Tarquini che, intanto, sta scrivendo un pugno di canzoni proprie, tutte rigorosamente “unplugged”, che saranno all’interno di nuovo lavoro discografico.

Andrea, quanta America c’è nella sua musica e quanta Trastevere?

Nella mia musica c’è sicuramente tanta America, la mia ricerca artistica si concentra, infatti, sulle sonorità tipicamente nord-americane.

 Qual è la differenza tra fingerpicking e flatpicking?

Il flatpicking consiste nel suonare la chitarra acustica col plettro nella mano destra, si tratta di una tecnica legata alla musica tradizionale ma non solo. Il fingerpicking consiste, invece, nel suonare  la chitarra acustica suonata senza plettro nella mano destra e prevede l’indipendenza del pollice, che suona i bassi alternati mentre le altre dita fanno la melodia.

AT_REDS Canzoni di Stefano Rosso_cover“Reds! Canzoni di Stefano Rosso” è il tuo lavoro discografico più recente. Da dove nasce l’idea di questo album e che ricordo umano e professionale hai di Stefano?

Il disco nasce principalmente grazie allo stimolo di Luigi (Grechi) De Gregori, che mi ha sempre detto le seguenti parole: «Sei un ottimo chitarrista, canti bene e suonavi con Stefano Rosso. Chi meglio di te può fare un disco con i suoi brani? Sbrigati a realizzare questo progetto prima che qualcun’altro metta in pratica l’idea, magari in malo modo». Questo è stato, quindi, uno dei primi motori, a cui si è aggiunto Enrico Campanelli che, con la sua società, ha finanziato e sostenuto la produzione del disco, e Paolo Giovenchi, che ha curato la produzione con un supporto artistico e creativo. Di Stefano Rosso potrei dire tante cose: quando suonavo con lui ero molto più giovane, avevo una ventina d’anni e, in qualche modo, è stata una fase formativa e molto significativa della mia vita. Lui era un uomo semplice, un uomo naturale, non c’era nulla di costruito. Stefano era esattamente quello che si vedeva dall’esterno, comprese le fragilità e i limiti che lo hanno allontanato dal grande pubblico negli ultimi anni della sua carriera. Questa sorta di isolamento lo ha portato, infine, a far diventare sempre più forte la sua peculiarità di folk singer.

Come si svolge la tua vita di “romano a Milano”, innamorato del sound americano?

La musica non è l’unica cosa che ho fatto in questi anni anche se il mio percorso è molto legato allo strumento e alle musiche strumentali, in particolare. Non  penso che esista musica vecchia e nuova, esiste, bensì, musica buona e musica cattiva. La cosa importante sono i contenuti e, per quanto mi riguarda, quello che mi contraddistingue è il fatto di credere fortemente in una musica di tipo cantautorale, acustica, intima.

Andrea Tarquini

Andrea Tarquini

“Ho capito come” è un brano strumentale scritto da lei e dedicato a Stefano Rosso. Il titolo è una risposta al ricorrente intercalare dell’artista o  è anche una dichiarazione di intenti?

Chissà, forse avrei dovuto mettere un punto interrogativo alla fine del titolo perché, in verità, non si capisce mai qualcosa del tutto. “Ho capito come” potrebbe far pensare che uno abbia raggiunto qualche traguardo mentre, invece, ogni cosa che fai sposta in avanti il traguardo. L’importante è essere su un cammino che ti rappresenti, che senti sia tuo.

 “C’è un vecchio bar” è un inedito, una canzone mai registrata in studio da Stefano Rosso. Come ha potuto riproporla esattamente come l’artista la suonava?

Possedevo una cassetta con una registrazione amatoriale che Stefano Rosso non ha mai inciso. Purtroppo la cassetta è andata distrutta ma, attraverso la mia memoria, è stato possibile effettuare un vero e proprio recupero storico del brano.

Prossimamente presenterà, a Milano, la nuova OMS Custom dello storico marchio “Burgeosis”, ci anticipa qualcosa?

“Orchestra Model Slotted” è il modello dello strumento, realizzato apposta per me, e che non ho mai suonato prima. Si tratterà di un concerto di presentazione e, se da una parte festeggeremo la mia collaborazione, in qualità di endorser con lo storico marchio, dall’altra presenteremo lo strumento al pubblico.

Che progetti ci sono per il futuro?

Sto scrivendo un nuovo disco e mi sto concentrando su questo. Per il resto vorrei fare un buon numero di concerti: in Italia la musica acustica fatica il doppio degli altri generi a trovare spazio. Si tratta di un genere apparentemente di nicchia ma molto più popolare di quanto si creda. Mi piacerebbe, dunque, fare un buon disco e suonarlo bene in giro, senza problemi di fruizione.Vorrei, inoltre, che il nostro paese fosse un pò più attrezzato e rispettoso nei confronti della musica.

Raffaella Sbrescia