“The Prophecy”, Giulia Facco ed il suo jazz d’autore. L’intervista

cover disco Giulia Facco

Dall’8 Gennaio 2016 è nei negozi tradizionali, in digital download e in tutte le piattaforme streaming “The Prophecy” (Emme Records Label), il nuovo disco inedito della pianista e compositrice Giulia Facco con Mirko Cisilino (tromba), Davide Tardozzi (chitarra), Riccardo Di Vinci (contrabasso) ed Enrico Smiderle (batteria). All’interno di questo lavoro fortemente legato al jazz modale e al blues, Giulia racchiude diversi momenti del proprio vissuto ofrendo una rivisitazione personale di melodie intrise di richiami a compositori eccelsi quali Wayne Shorter, Thelonious Monk, Horace Silver ed Enrico Pieranunzi. L’obiettivo di questo progetto è quindi quello di mescolare echi tradizionali ad elementi moderni, mantenendo un’energia ritmica costante che accompagna l’ascoltatore in un viaggio sonoro decisamente personale ed evocativo.

Intervista

Perché hai scelto questo titolo per l’album?
Ho scelto “The Prophecy “ perchè è uno dei primi brani jazz che ho scritto. Ricordo di averlo scritto in un momento in cui ero molto ispirata; il pezzo è “uscito” in un flusso costante, quasi come se esistesse già da qualche parte e fosse arrivato alla mia mente

Nelle otto tracce che proponi al pubblico hai racchiuso ben 4 anni della tua vita. Quali sono gli universi sonori ed emotivi che hai inteso ricreare nelle tue composizioni?
Ho cercato di tradurre in musica delle esperienze che fanno parte del mio vissuto; dietro a ogni pezzo ci sono situazioni, paesaggi, sensazioni e persone. Mi piace ricreare dei piccoli universi sonori in cui siano presenti calore, voglia di immaginare, relax, amore per la vita e senso dell’umorismo; questi, per me, sono tra gli aspetti fondamentali dell’esistenza e, perché no, della musica stessa.

Come è avvenuta la concatenazione delle melodie e la scelta di accordi non sempre “ortodossi”?

Quando scrivo mi affido molto all’orecchio: tendenzialmente mi canto delle melodie e delle linee di basso, poi riempio le con degli accordi. In questo modo le progressioni armoniche seguono un equilibrio dettato dall’istinto.

Quanto conta per te l’istinto?
É sicuramente una qualità molto importante: direi che nella musica improvvisata è fondamentale per trovare la propria voce, inoltre la musica molto “razionale” a mio parere perde in capacità espressiva.

E l’orecchio?
É un alleato necessario!

La spiritualità?
Credo che la spiritualità sia una parte fondamentale della vita di ogni uomo e probabilmente la più trascurata. Per quanto mi riguarda, la spiritualità non centra per forza con la religione, ma è un processo interiore per trovare un equilibrio con noi stessi e con le persone e l’ambiente che ci circondano, cercando di sviluppare al massimo le nostre potenzialità; è un viaggio alla ricerca di noi stessi.

“Giuly Sun” è un pezzo molto energico. A chi e a cosa si ispira?
Ho scritto “Giuly Sun” dopo aver ascoltato un brano di Ellis Marsalis dal sapore latino. Il titolo è la deformazione di un soprannome che mi aveva dato un mio amico, Giuly San, come i guerrieri giapponesi (diceva che secondo lui ero una “guerriera”; ho scritto il pezzo in un momento in cui mi sentivo “alla riscossa”, ma, dato che il sapore del brano non è per nulla giapponese, ma per lo più cubano, ho cambiato “san” in “sun” (= sole).

La trama immaginifica di “Promenade” ci offre una nuova chiave di lettura della morte. Qual è la tua?
Mi piacciono le filosofie/religioni che dipingono la morte come il passaggio a una realtà extra corporea, a un livello superiore in cui diventiamo energia pura. Una sorta di liberazione e rinascita.

Giulia Facco

Giulia Facco

“Take Me A-Wayne” prende ispirazione da un concerto di Tom Harrel in quintetto. Cosa ci racconti di questo blues funky?
Questo blues mi è stato ispirato da alcuni pezzi che Tom Harrel aveva suonato in quel live: mi ha influenzato nell’uso dei pedali del basso e nella ritmica jazz-funk.

Quanto conta per te la figura di Miles Davis?
Miles è stato uno dei musicisti decisivi della storia del jazz, un riferimento per tutti: ho sempre amato il suo stile improvvisativo così attaccato alla melodia e agli spazi, la sua tenacia nell’affermare la sua voce e la capacità geniale nel costruire gruppi che hanno cambiavano la storia della musica, scovando sempre nuovi giovani talenti.

Enrico Pieranunzi è il soggetto della tua tesi relativa al triennio di studio in conservatorio, a lui hai anche dedicato il brano E.P.Centro. Cosa rappresenta la sua figura all’interno del tuo percorso artistico?
Enrico Pieranunzi è sicuramente uno dei musicisti più validi della scena italiana e internazionale: il suo linguaggio mescola sapientemente elementi della musica italiana, classica, del jazz tradizionale e moderno. Approfondire lo studio della sua musica mi ha sicuramente influenzato nell’approccio agli elementi melodico-armonici. Tra l’altro, uno dei miei insegnanti di piano, Stefano Onorati, è stato un suo allievo.

“Out Of The Comfort Zone” è una suite di due brani, una ballad e un fast, collegati da un pedale funk e da un solo di batteria; una composizione audace e intraprendente. Potremmo considerarla il punto di partenza per il prossimo lavoro?

Sicuramente trovo molto stimolante scrivere in forma di suite perché permette di collegare momenti sonori apparentemente molto distanti tra di loro, quindi da questo punto di vista, sì, può essere un punto di partenza per il prossimo lavoro.

Come hai lavorato con Mirko Cisilino (tromba), Davide Tardozzi (chitarra), Riccardo Di Vinci (contrabasso) ed Enrico Smiderle (batteria)?
É stato molto stimolante: sono degli ottimi musicisti e si è creato da subito un clima di collaborazione e rispetto reciproco. Credo ci sia un buon equilibrio tra le personalità musicali di tutti e questo è davvero importante.

Dove e quando potremo ascoltarti dal vivo?
Col quintetto ci esibiremo il 3 febbraio all’hostaria da Filo a Venezia e il 4 febbraio al ristorante Vegetiamoci di Padova.

Raffaella Sbrescia

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