A ring in the forest: il nuovo capitolo di Erica Mou. Intervista

Da venerdì 14 giugno è disponibile nei digital store e in radio “A ring in the forest”, il nuovo singolo internazionale di Erica Mou, distribuito da Artist First.

La canzone in lingua inglese è strettamente connessa all’immaginario proposto nel videoclip, online sul canale ufficiale VEVO dell’artista al link http://www.youtube.com/watch?v=scrKjrK7GNU. Essa nasce come opera musicale e video che racconta la storia di un albero trasformato in chitarra. Il videoclip mostra il lento processo di evoluzione artigianale catturato nel tempo, in ogni fase creativa e in ogni gesto di cura del dettaglio per la produzione dello strumento. Così, in sintonia con la musica, mette in scena una sorta di mito moderno, che narra, tramanda e rinnova il legame solidale e di corrispondenza artistica tra la natura e l’uomo.

Il brano, interpretato da Erica Mou e prodotto a Londra dalla stessa cantautrice con la collaborazione di Matthew Ker (alias MaJiKer), è stato scritto dai due artisti insieme a Piers Faccini. La realizzazione creativa del tutto è durata dodici mesi, rispettando i tempi della natura, necessari alla sua trasformazione

Intervista

Erica Verticale ph OmarSartor

Erica Verticale ph OmarSartor

“A ring in the forest” rappresenta un nuovo capitolo della tua carriera. Come ti senti in questo periodo, cosa hai fatto negli ultimi due anni e come hai portato avanti la tua ricerca artistica?

Mi sento bene, è un bel periodo creativo e di sole. Il mio album precedente è uscito a dicembre del 2017 e nei mesi seguenti mi sono dedicata al tour di quel lavoro. Dopodiché ho ripreso a scrivere e a sviluppare idee nuove, come “A ring in the forest”. Sto cercando vie diverse, come sempre, sperimentando in studio e in fase di scrittura. Il messaggio di questo brano è tramandare il legame solidale tra natura e uomo, un tema di grandissima attualità.

Come ci hai lavorato e da dove nasce l’idea?

I legami sono il vero tema di ogni canzone (anzi, della vita, direi); tra persone e tra gli elementi che ci circondano. Ogni volta che provo un’emozione forte, positiva o negativa, io mi sento più legata alla terra, agli alberi, al cielo, al mare. È come se ogni scossone mi ricordasse forte qual è il posto a cui appartengo, la forza che la natura ha, l’armonia del farne parte. La canzone nasce dalla suggestione che mi ha dato il regista del video, Marco Callegari, di raccontare la storia di un albero che si trasforma in chitarra (attraverso le mani di un liutaio, Paolo Sussone).

Quando e perché hai deciso di cantare in inglese? La scelta è legata al fatto che vivi a Londra?

Il tema di questo brano mi ha suggerito di usare una lingua che fosse il più universale possibile e poi abitare a Londra mi ha ispirata ad usare anche l’inglese nella scrittura, cosa che non avevo mai fatto e che porta con sé anche un approccio diverso alla melodia e al canto, una nuova ricerca.

Quanto conta per te l’artigianalità e che spazio pensi possano trovare le realtà e i prodotti artigianali in un mondo sempre più votato al consumismo?

L’artigianalità è preziosa perché ci ricorda il tempo, quello necessario per cui le cose si trasformino e si riempiano di significato. Fare musica è come lavorare il legno, è un processo che ha bisogno di preparazione ma che deve anche fare i conti con ciò che stringi in mano in quel momento, con la materia, con i cambi di rotta.

Raccontaci del percorso collaborativo con Matthew Ker (alias MaJiKer) e Piers Faccini.

Sono molto contenta di lavorare di nuovo con MaJiKer, un artista che avevo conosciuto in studio di registrazione nel 2010, quando abbiamo lavorato al mio album “È” e con cui ho suonato in giro per il mondo per ben due anni. Poi le nostre strade si sono divise e Londra ci ha fatto finalmente ritrovare, a livello compositivo e produttivo. Piers Faccini invece è un cantautore che amo moltissimo e che ascolto da quando avevo sedici anni, dopo averlo visto suonare in un festival. Posso dire di essere una sua fan e trovarmi a chiacchierare con lui di musica e chiedergli aiuto per il testo di “A ring in the forest” è stato inaspettato e sincero.

Questo singolo è il preludio ad un nuovo album?

Non immediatamente, sto lavorando molto a canzoni nuove ma ci vorrà ancora un po’.

Come coltivi la tua creatività e cosa ti porti dietro delle tue esperienze precedenti?

Suono e scrivo praticamente ogni giorno, con la chitarra, su un foglio o nella mia testa. Leggo, ascolto, guardo… e i passi fatti, sì, me li ricordo tutti e li tengo con me.

Ci sono altri interessi personali di cui il tuo pubblico non è ancora a conoscenza?

Sì.

Quali sono gli argomenti che in questo momento ti stanno più a cuore?

Non dare il colpo di grazia alla Terra che abitiamo, costruire un futuro per i figli che la mia generazione ha o sogna di avere, parlare più di Arte e meno di paura.

Quali sono i prossimi progetti in cui ti vedremo coinvolta?

Quest’estate sarò impegnata con qualche live in giro per l’Italia, il prossimo il 29 Giugno a Polignano a Mare per l’apertura del Bari in Jazz. Poi sarò in studio e a scrivere fino a che qualcosa di bello accadrà.

Raffaella Sbrescia

PFM Premiata Forneria Marconi – Cristiano De André cantano FABRIZIO: il concerto evento all’Arena di Verona

PFM e Cristiano De André

PFM e Cristiano De André

Il cerchio si chiude. Per chi c’era, per chi avrebbe voluto esserci, per chi si è sempre chiesto come sarebbe stato. A 40 anni di distanza dal rivoluzionario incontro tra Fabrizio De Andrè e la PFM – Premiata Forneria Marconi, ci sarà un concerto evento all’Arena di Verona il prossimo 29 luglio. La grande sorpresa è che le poesie di Faber stavolta saranno interpretate direttamente da suo figlio Cristiano, come già da diverso tempo ormai accade.

Sono lontani i tempi in cui Cristiano si aggirava, poco più che bambino, tra le percussioni e la batteria di Franz Di Cioccio. Oggi il figlio d’arte e gli zii artistici si ritrovano commossi a affiatati per dare vita a una serata ricca di magia, ricordi, aneddoti e, perché no, nuovi spunti da tramandare alle generazioni che hanno imparato ad amare la poetica di Fabrizio De Andrè anche senza averlo mai ascoltato dal vivo.

Si tratterà di un concerto molto lungo, suddiviso in tre blocchi in cui la prog band italiana più famosa al mondo, PFM – Premiata Forneria Marconi, e il polistrumentista e cantautore Cristiano De André si alterneranno sul palco con le loro rispettive performance e condivideranno la terza parte finale di un concerto intitolato “PFM Premiata Forneria Marconi – Cristiano De André cantano FABRIZIO”.
Il concerto è prodotto da D&D Concerti e da BMU, in collaborazione con DuemilaGrandiEventi, VentiDieci e Verona Eventi, con il patrocinio morale della Fondazione Fabrizio De André.
Nato dalla scia dei fortunati concerti tenutisi nell’ambito del tour “PFM canta De André – Anniversary” e di “Storia di un impiegato”, storico disco di Faber arrangiato come una vera e propria opera rock da Cristiano De Andrè, il concerto si presenta come una preziosa occasione per riportarci indietro di decenni. Ogni arrangiamento del tour “Anime Salve” sarà fedelmente riprodotto a mano, esattamente nello spirito che da sempre accompagna le avventure nel mondo della PFM.
Le prove sono ancora da fare e i pezzi da scegliere. Non sarà un’operazione nostalgia, sarà bensì un modo per dare seguito al patrimonio di un Maestro mai dimenticato. Figli della stessa storia Cristiano De Andrè e la PFM viaggiano uniti su una grande “autostrada americana” che tutti potranno percorrere. Insieme a loro ci saranno Flavio Premoli, Lucio Fabbri, Michele Ascolese e Alessandro Scaglione. Sicuramente l’evento verrà ripreso ma è anche vero che sarà davvero intenso vedere che tipo di alchimia si creerà sul palco, soprattutto pensando alla leggerezza, al coraggio e all’autenticità con cui tanti anni Fabrizio De Andrè scelse ancora una volta di essere coerente a se stesso e di fare semplicemente quello che secondo lui meritava di essere fatto. L’obiettivo di tutti sarà portarsi a casa scopa, primiera e settebello. Nessuno dovrà rimanere seduto e nessuno potrà sentirsi indifferente. Per chi non si ferma alle apparenze e alle mode, ma soprattutto per chi cerca qualcosa in più l’appuntamento è per il 29 luglio all’Arena di Verona.

Raffaella Sbrescia

 

Ylenia Lucisano presenta l’album “Punta da un chiodo in un campo di papaveri. Intervista

Ylenia Lucisano ph DANIELE BARRACO

Ylenia Lucisano ph DANIELE BARRACO

 

PUNTA DA UN CHIODO IN UN CAMPO DI PAPAVERI” (distribuito da Universal Music Italia) è il nuovo album della cantautrice YLENIA LUCISANO pubblicato lo scorso 10 maggio.

Prodotto, arrangiato e mixato da Taketo Goharal’album è composto da 11 brani scritti da Ylenia Lucisano, con la collaborazione tra musica e testo di Pasquale “Paz” Defina, Vincenzo “Cinaski” Costantino, Renato Caruso e altri musicisti.

Abbiamo incontrato Ylenia  Lucisano d è venuta fuori una conversazione senza filtri e a tutto tondo. Buona lettura!

Ciao Ylenia, bentrovata! Prima ancora di parlare del tuo nuovo album, raccontaci la tua evoluzione personale e artistica in questi lunghi 5 anni di distanza dal tuo primo album. Chi è oggi Ylenia, quali sono i tuoi nuovi punti di riferimento, quali le nuove certezze e quali invece ferme insicurezze?

La mia certezza oggi sta proprio nel fatto di non sapere chi sono. Conoscermi davvero è un’utopia perché mi sono resa conto che quando ho raggiunto delle certezze le voglio oltrepassare. Quando ho creduto di conoscermi stava avvenendo già in me un cambiamento. Credo che solo se non sappiamo chi siamo possiamo essere qualsiasi cosa. Il mio unico punto di riferimento è l’amore, vivo sempre nel raggiungimento di questo stato. Le insicurezze nascono quando non vado verso di esso.

Con “Punta da un chiodo in un campo di papaveri” si evince un cambio di scrittura importante. Che tipo di lavoro hai fatto su te stessa, come ha messo mano ai testi, con quali idee e con quali presupposti?

Ho lasciato libero il flusso di pensiero, scartando poi ciò che non mi emozionava, rileggendolo o cantandolo. L’idea era quella di trasmettere dei testi puri, ma di una purezza che sa di verità, partendo dal presupposto che la verità non è quasi mai quello che abbiamo davanti.

Come sei riuscita a entrare in connessione artistica con Taketo Gohara, come avete lavorato insieme? Cosa ti ha sorpreso di lui e cosa invece pensi di avergli lasciato durante la lavorazione di questo disco?

Grazie al mio produttore che gli ha fatto avere molti provini. Era una delle mie ambizioni riuscire a lavorare con Taketo perché lo sentivo molto vicino a me artisticamente ascoltando i suoi lavori precedenti. Soprattutto volevo un vero produttore artistico, non un arrangiatore. Di lui mi ha sorpreso soprattutto il fatto che avesse le idee chiare sin dal l’inizio rispetto al progetto artistico da far nascere, da zero. Credo, anzi, sono certa di averlo sorpreso positivamente.

Ci spieghi la scelta di questo titolo così particolare?

Ho voluto dare, più che un vero e proprio titolo, un’immagine, qualcosa che potesse stimolare la fantasia rimanendo impressa come una piccola fiaba, per poter introdurre da subito al mondo onirico e surreale del mio disco.

Come si fa a vivere il passaggio dai 20 ai 30 anni cercando di fare arte in Italia?

Spero di riuscire a capirlo una volta superati i 30. Per ora sono consapevole che non ci sono regole e che non si può vivere facendo solo arte pura. Chi vuole fare questo lavoro deve avere una mentalità aperta a 360° gradi. Sicuramente i giovani che vivono di sola musica è perché pensano sia da artisti che da imprenditori.

Quali sono state le fasi di crescita e maturazione che hai attraversato, anche pensando al tuo spostamento dalla Calabria alla Lombardia. Due terre così intimamente diverse, il cui conflitto si ripercuote anche sulla pelle di chi cerca una propria dimensione in entrambe i contesti?

La mia è la storia di tanti giovani costretti a lasciare il cuore al Sud per iniziare una nuova vita. Ormai la mia dimensione è a Milano, in Calabria faccio davvero fatica a trovarne una. Sono nata e cresciuta in una città bellissima e circondata dalla natura come Rossano, ma la consapevolezza che la mia passione per il canto sarebbe rimasta solo un hobby da sfogare in qualche piano bar, mi ha portato a farmi coraggio e a partire verso l’ignoto. Del divario tra nord e sud ne sentivo parlare già da piccolina dai vecchi zii che nel dopo guerra erano partiti per la Lombardia alla ricerca di un lavoro di fabbrica per mantenere la famiglia…poi l’ho vissuto sulla mia pelle, ed era come sei ci fossi già stata perché tra quei racconti avevo già immaginato più volte i pericoli, le opportunità e le grandi strade di Milano. La mia crescita e maturazione, se così si può dire, è avvenuta molto in fretta soprattutto per il fatto che mi sono trovata prestissimo a vivere da sola, senza punti di riferimento e a caccia di un sogno anche oggi definirei astratto.

Ylenia PH DANIELE BARRACO

Ylenia PH DANIELE BARRACO

Anche se in questo album lasci da parte il dialetto, immagino che per te rivesta ancora una grande importanza. Certi messaggi si possono veicolare solo usando le espressioni dialettali, confermi?

Certi messaggi si possono veicolare solo nella lingua in cui vengono pensati. Se penso in dialetto scrivo in dialetto, altrimenti sarebbe come tradurre una canzone di Frank Sinatra in italiano: una cosa inascoltabile!

In queste canzoni si percepisce un animo malinconico ma mai triste. Un’attitudine alla positività razionale, una radicata determinazione ad andare avanti, passo dopo passo. E’ così che costruisci la tua musica?

Grazie alla musica ho capito l’importanza del viaggio, quello in cui fermo spesso ad ammirare il panorama e poi ti guardo indietro per capire quanta strada ho fatto. La meta non la conosco ma la decido camminando. L’importante è godermi il viaggio in una delle tantissime possibili strade, senza ambizione né paura.

Come percepisci lo status quo del cantautorato femminile in Italia? Hai notato una fruizione spesso più superficiale dei messaggi veicolati dai colleghi di sesso maschile o è un’impressione sbagliata?

Il cantautorato femminile in Italia è vivo e attivo ma se ne parla poco, credo perché la maggior parte delle cantautrici non sono entrate a far parte del ”sistema” musicale italiano, magari per scelta e anche un po’ perché questo così detto sistema, ai vertici, è gestito nella maggior parte dei casi da uomini in cui credo che il pregiudizio inconscio della cultura maschilista prevale sempre. Non faccio di tutta l’erba un fascio ma questo atteggiamento l’ho vissuto anche sulla mia pelle. Per quanto riguarda i messaggi veicolati, purtroppo la musica è sempre stato uno specchio della nostra società dunque superficialità non prevale solo nelle classifiche. Sicuramente chi ama l’arte e la cultura musicale sa dove attingere per godere delle buona musica.

Parliamo di stili e influenze. In questo disco traspare un forte ampiamento di ascolti e orizzonti musicali. Dicci di più.

Si, grazie alla persone di cui mi sono circondata e alla mia curiosità, i mie orizzonti si sono ampliati dal punto di vista degli ascolti. Per realizzare questo disco mi sono fatta stimolare da artisti come Alt J, Calexico, Fiona Apple, Joan Baez e molti altri del cantautorato angloamericano. 

Mi piace pensare che esiste un altro modo di guardare canti in “Ti sembra normale”. Qual è il tuo modo di vedere le cose e di affrontare questo mondo?

Se per gli animali il modo di concepire il mondo è già definito da millenni, quello dell’uomo è in continua evoluzione e dipende molto dal modo di gestire le emozioni e i sentimenti. In questo periodo quello che voglio (e provo) a vedere è Bellezza. E non intendo la bellezza che non riusciamo a percepire nella routine quotidiana, ma quella che parte da dentro e che proiettiamo all’esterno perché il nostro modo di vedere le cose parte dai nostri occhi. Il mio modo di affrontare il mondo è ‘’affrontarlo’’, quindi senza mai prendere le distanze da esso. Vivere e non sopravvivere.

Quali sono i tuoi prossimi impegni e dove potremo ascoltarti dal vivo?

Dopo la partecipazione al Mi Ami Festival 2019, a giugno ci saranno diversi showcase di presentazione del disco. Questi sono i primi appuntamenti confermati: l’8 giugno a Comacchio – FE (Porto Garibaldi c/o Comacchio Beach Festival), il 12 giugno a Milano (Mondadori Megastore Piazza Duomo), il 21 giugno a Terni (Festa Europea della Musica – Spazi Caos c/o Fat Art Club), il 22 giugno a Milano (Festival Contaminafro), il 29 giugno a Sulzano – BS (Albori Music Festival), il 27 giugno a Roma (Festival Femminile Plurale ideato da Michele Monina e Tosca c/o Officina Pasolini), il 23 luglio a Soverato – CZ (Summer Arena), come opening act del concerto di Francesco De Gregori. Consiglio comunque tutti di seguire le mie pagine sui social per restare aggiornati sulle nuove date!

Raffaella Sbrescia

Mario Venuti presenta il nuovo album “Soyuz 10″. Intervista

Mario Venuti

Mario Venuti

Mario Venuti pubblica il decimo album di inediti “Soyuz 10” in 30 anni di carriera e lo fa con classe, sapienza e maestria. La sua è una scrittura senza tempo, elegante e corposa. Un preciso tratto distintivo di un artista che da sempre ama creare e vivere in modo autentico e lontano da sovrastrutture.
A raccontare il nuovo album è lui stesso con queste parole:
“Ho intitolato il disco in questo modo per cercare di andare oltre l’automatismo che in genere scandisce questo tipo di operazione. In questo caso ho lasciato che una sessione di registrazioni mi coinvolgesse al punto da mettermi al centro di una visione. Il protagonista di questo momento è stato un microfono Soyuz, particolarmente adatto alla mia voce. Ho quindi immaginato che proprio quel microfono potesse trasfigurarsi in una sorta di razzo che traghettasse la mia voce in altre dimensioni. Per concludere il tema dell’incontro e del relazionarsi tra le persone mi ha incoraggiato a scegliere il titolo”.
Il mood che scandisce questi brani è distensione e positività. Questo tipo di vibrazioni sono frutto della maturità e della prorompenza dell’esperienza. Ci sono molte canzoni d’amore incentrate sul concetto che gli umani hanno un bisogno disperato della componente emozionale, benchè oggi tutto sia fortemente condizionato dalla mente e dalla razionalità.
“Il mio rapporto con la musica è sempre stato naturale anche se con il tempo sono diventato più istintivo. Prima scrivevo da solo ed era un lavoro di sedimentazione, ora invece annoto piccole frasi, veri e propri frammenti su dei taccuini, ho delle basi armoniche e sono fanatico della melodia. Poi mi vedo con Pippo (Kaballà ndr) e tutto prende una forma più compiuta. Il plot diventa netto e la mia felice consuetudine raggiunge il lieto fine. Per spiegare questo processo in modo più concreto, l’ultima trilogia di album rappresenta l’esempio perfetto: il “Tramonto dell’occidente’ del 2014 era il disco della ragione (abbiamo volutamente messo da parte la componente emozionale per raccontare la società e la crisi). ‘Motore di vita’ del 2017 era un disco fisico in cui azione e ballo s’incentravano sulla riscoperta del corpo. Questo è chiaramente un disco del cuore, nato in posti di mare di fronte a grandi orizzonti marini tra Sicilia e Liguria con grande istintività e senza pc”.
“La mia vita personale è di basso profilo. Vivo in un quartiere misto di Catania e ho sempre preferito i contesti off limits. Mi piace il mio paradiso bohemien, faccio una vita tranquilla e mantengo intatto il legame con la mia terra e con la dimensione affettiva. Lì vivo e scrivo, Kaballà ormai è una certezza costante, è sempre bello condividere idee e pensieri con lui. Con Bianconi invece mi diverto molto, la sua presenza è diventata un rito scaramantico. Voglio che in ogni mio disco ci sia una canzone scritta da lui, una persona colta che stimo moltissimo”.
“I confini tra l’autobiografismo e la fiction sono sempre molto labili, trovo che sia giusto che sia tutto molto sfumato. Allo stesso tempo la mia nostalgia del futuro sta nel cercare di rapportare tutto all’oggi, offrire letture e punti di vista da prospettive diverse lasciando anche qualcosa di non detto. La tecnologia ci sovrasta ma l’unico antidoto possibile è instaurare un legame con elementi naturali, ritagliarsi spazi di disintossicazione. Ogni eccesso ha le sue controindicazioni.
Il mio linguaggio sta in bilico tra passato e presente, oggi si tende allo svacco, il mio è molto più raffinato. Vorrei istituire la giornata mondiale dell’immodestia, un giorno all’anno in cui ci si spoglia della finta umiltà. Vorrei semplicemente dire che un disco così, oggi, è veramente raro per eleganza, raffinatezza, ricerca musicale, armonica, testuale. Questo album è molto più suonato rispetto a “Motore di vita”. Qui c’è un’importante componente umana, ci sono musicisti veri, archi, fiati, ma sfido chiunque a produrre, oggi, un disco senza Pro-Tools e computer. Mi fregio di dire che è un album molto vario e pieno di riferimenti, sono portato a fare dischi variegati dal punto di vista stilistico, ho rinunciato all’idea di stare dentro uno spazio ristretto di azione, mi piacciono i dischi vari e infatti il mio preferito dei Beatles è ‘Revolver’, che contiene di tutto un po’.
Non mi preoccupo delle tendenze, i social sono un’appendice, una sovrastruttura. Il nocciolo rimangono le canzoni, domani resteranno solo quelle a prescindere dal resto che rimane del materiale che si consuma in giornata.
Se penso ai nuovi cantautori, sinceramente non penso a una rottura con il passato, anzi. Sono convinto che l’attuale scena pop sia la naturale prosecuzione di quanto abbiano insegnato i primi maestri del cantautorato italiano. Lo stesso Tommaso Paradiso si rifà apertamente a Carboni, Venditti, il primo Vasco. Poi penso a Brunori, ovvero la summa del cantautorato classico italiano: Gaetano, Battisti, Dalla, De Gregori ben miscelati e serviti. C’è un filo che lega le canzoni di oggi a quelle di ieri e questi artisti ne sono la prova dimostrata”.
Raffaella Sbrescia