Vent’anni: lo sfrontato ritorno dei Måneskin

Maneskin - Oliviero Toscani

Maneskin – Oliviero Toscani

Vent’anni” è il nuovo singolo che segna il fresco, sfrontato, ragionato ritorno dei Måneskin a distanza di due anni dall’album “Il ballo della vita”.

Damiano, Victoria, Thomas e Ethan, ospiti della web serie “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica”, hanno presentato in anteprima il singolo con una performance in live streaming dai palazzi imperiali sul Palatino e hanno incontrato virtualmente la stampa per approfondire la genesi, il messaggio e il significato di un brano che li traghetterà verso l’uscita del nuovo atteso album. Scritta dai Måneskin e prodotta con Fabrizio Ferraguzzo, “Vent’anni” è una rock ballad che ha preso il là durante il lockdown da un giro di chitarra di Thomas e da una visione avuta da Damiano. La band ha lavorato molto in analogico, dando spazio agli strumenti con l’idea di riportare i suoni dal vivo direttamente in studio e così è stato.

I pensieri di Damiano s’innervano con quelli del suo alter ego più maturo; il risultato è un dialogo sincero, crudo, spiazzante ma anche incoraggiante. La voglia è quella di liberarsi dal peso dei giudizi ed è per questo che il gruppo dedica il brano alla propria generazione con la voglia di lasciare il segno: “e c’hai vent’anni ti sto scrivendo adesso prima che sia troppo tardi e farà il male il dubbio di non essere nessuno sarai qualcuno se resterai diverso dagli altri ma c’hai solo vent’anni”, scrive Damiano seguendo un filone introspettivo con un messaggio che si amplia ambiziosamente alle generazioni dei non più ventenni. Ad accompagnare l’uscita del brano, il fotografo Oliviero Toscani firma la campagna di lancio ritraendo la band a nudo in un abbraccio di gruppo che racchiude volutamente un messaggio forte: liberarsi dalle sovrastrutture ed essere autentici, se stessi, senza veli inutili. Se queste sono le premesse, ne sentiremo e ne vedremo delle belle.

Raffaella Sbrescia

Con il senno di poi: la poesia solista di Marco Guazzone

Marco Guazzone

Marco Guazzone

Ci eravamo lasciati con un Marco Guazzone autore per Andrea Bocelli nell’album “Sì”, lo ritroviamo finalmente cantautore con il brano “Con il senno di poi”, una ballad prodotta da Elisa, la cui voce è presente anche in questa canzone, che fa da preludio al nuovo percorso da solista dell’artista romano.

Per gli estimatori storici, niente paura Stefano, Edo e Josh degli Stag continueranno a lavorare con Marco, tanti degli inediti presenti nel nuovo album sono nati proprio insieme a loro e ci saranno anche sul palco non appena sarà possibile. Ora però è tempo di lasciarsi andare ad una nuova avventura e lo sa bene Marco Guazzone che anche nel videoclip girato da Beniamino Barrese interpreta con coraggio una significativa coreografia di Paolo Ermanno dando vita ad una danza parlante.

Video: Con il senno di poi

Il brano veleggia sulla possibilità di rincontrarsi dopo la fine di una storia importante e scoprire che ci si può amare ancora ma con nuove consapevolezze. Il testo della canzone è ispirato a una poesia di Eugenio Montale del 1967 dal titolo “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale” (poesia n. 5 di Xenia II, Satura). Marco Guazzone si è dunque lasciato ispirare scrivendo: In tutti i miei sogni si parla di te e più ti allontani mi chiedo perché. Non posso più amare nessuno, nemmeno per fingere danzando tra dubbi e certezze potrò svuotare le tasche dai pesi che ho. E vengo a cercarti leggero per dirti che ti raggiungerò addormentando i giganti e ti riporterò ma con il senno di poi dove eravamo io e te, dove eravamo io e te, come eravamo io e te. Io e te”. I versi selezionati mettono in rilievo la sensibilità, la delicatezza, la poesia con cui Guazzone esprime e disegna un mondo fatto di parole dolci, carezzevoli e pregne di significato. Il protagonista riconosce con saggezza gli errori, li individua e ne fa tesoro per ripartire con nuovo slancio e affrontare la paura, il vuoto, il viaggio, i pericoli, gli spettri del passato e sa che non si tratta di malinconia ma di puro, semplice, prezioso, genuino, amore. Lasciamoci cullare dalla poesia in attesa dell’album che ci auguriamo possa segnare la definitiva svolta artistica di un artista prezioso.

Raffaella Sbrescia

“Mentale strumentale”: il tesoro nascosto dei Subsonica. Recensione

mentale-strumentale-subsonica-cover

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Mentale strumentale” nasce nel 2004 per sancire in modo netto, anticonvenzionale e definitivo la virata verso la libertà dei Subsonica. La rottura all’epoca fu drastica, radicale e soprattutto scomoda. Sedici anni dopo, quel lavoro ritrova la luce per offrirci un viaggio spaziale e artistico, culturale con una finalità nobile: le royalties dell’album andranno infatti a sostegno della Fondazione Caterina Farassino, impegnata con il progetto “Respira Torino”, nato per supportare le attività degli ospedali di Torino e Asti durante l’emergenza sanitaria in corso. La linea di continuità dal passato a oggi risulta evidente nelle intenzioni, in quel sano gusto per la jam session nel senso più autentico del termine. La tracklist non è semplice, così come non è di immediata fruizione. Suoni freddi, distopici, industriali cercano una via di ingresso all’interno del substrato cognitivo e si fanno via via strada in modo contorto e tortuoso. Si passa dal mood metallico di “Decollo a voce off” passando dagli strumenti acustici di “Detriti nello spazio” fino alle percussioni esotiche delle corde boliviane e di un bodhran indiano arrivando alle voci angeliche di Madame Mystere “A di addio”. L’attualità del progetto è tangibile grazie al saggio utilizzo di synth analogici mixati con strumenti a corde e le oniriche suggestioni delle voci trasfigurate di Samuel.Malinconia, oscurità, esoterismo hanno spesso accompagnato il percorso musicale dei Subsonica che, in questo senso, non si sono mai risparmiati. Inquietudini, angosce, speranze, desideri convivono in modo a tratti originale e curioso, a tratti perturbante e sinistro. Il flusso musicale è liquido, così come la fruizione di questo album non può che essere soggetta a diverse interpretazioni anche mutabili nel corso di diverse occasioni di ascolto. “Mentale Strumentale” richiede concentrazione, attenzione e analisi. Le tracce finali e in particolare “Rientro in atmosfera” appaiono come il preludio a una nuova parte di un racconto emozionale rimasto in sospeso, pronto per raggiungere nuovi mondi inesplorati.

Raffaella Sbrescia

  1. Decollo – Voce Off
  2. Cullati Dalla Tempesta
  3. Artide 3 A.M.
  4. A Nord Di Ogni Lontananza
  5. Detriti Nello Spazio
  6. A Di Addio
  7. Tempesta Solare
  8. Delitto Sulla Luna
  9. Strumentale
  10. Rientro In Atmosfera

Scritto nelle stelle: la recensione del nuovo album di Ghemon

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Scritto nelle stelle” è il nuovo album di Ghemon (Carosello Records). In queste nuove undici tracce, l’artista mette a fuoco una fotografia nitida, vivida, concreta di un rinnovato status quo. Coerente alla sua filosofia, Ghemon riesce ad affinare ancora una volta l’uso delle parole ma soprattutto lavora molto bene con il sound. Soul, r’n’b, hip hop, rap, jazz convivono in una miscela sonora che è un unicum raffinato, vivace e mai banale. Trasparente, onesto, per questo a tratti scomodo, Ghemon mette in risalto una personalità spigolosa, mai facile da accettare nella sua totalità ma sempre capace di mostrarsi attraente.

Si parte da “Questioni di principio”, all’interno del brano la disamina di Ghemon è ampia: analisi, giudizi, ridimensionamento, libertà sono i grandi temi che ruotano in questi 4 minuti intrisi di classe. Elettricità e chimica attraversano la trama di “In un certo qual modo”, in cui traspare purezza di intenti e di penna. I pensieri fuori tempo massimo di “Champagne” come Stappo una boccia di champagne per il pericolo scampato, chissà se non mi fossi fermato dove sarei a quest’ora sanciscono una sana presa di coscienza e la voglia di chiudere finalmente un cerchio. Le giornate incompiute raccontano di un periodo diverso da quello che viviamo ma riescono a incastrarsi stranamente benissimo con questa quarantena in lockdown: No, ma quale cena fuori, non provarci nemmeno / Hai ragione, che i miei amici non li vedo da un po’ / È un momento pieno zeppo di giornate incompiute / E di pessime battute nei gruppi WhatsApp / Di delivery che tanto mangio davanti al computer. Così canta Ghemon un po’old school, un po’ avanguardista. Molto intima è “Cosa resta di noi”: un’elaborazione del lutto, il racconto di un’evoluzione personale complessa e mai facile. Tu sei il coraggio che a volte mi manca, scrive Ghemon in “Inguaribile e romantico”. E ancora: faccio fatica in mezzo alle persone perché non so cosa ci si aspetti da me”. Il genio senza coraggio serve a poco. Quanta verità in “Buona stella”. Suggestivi i flashback fedelmente aderenti alla quotidianità tra scuse, assenze, silenzi, ritardi, prese di coscienza di “Io e te” e “Un vero miracolo”. Di grande impatto e promettenti sono le velleità da crooner mostrate nella perla del disco “Un’anima” piena di macchie e di zone d’ombra sì, ma anche fascinosa e raffinata. Il disco si chiude con “K.O”: una ritmica più dura ma funzionale a una dichiarazione d’intenti nitida e definita: mettere da parte l’aria da vittima e non mollare mai il colpo.

 Raffaella Sbrescia

Video: Buona stella

TRACKLIST 

01. Questioni di principio
02. In Un Certo Qual Modo
03. Champagne
04. Due Settimane
05. Cosa Resta Di Noi
06. Inguaribile e Romantico
07. Buona Stella
08. Io e Te
09. Un Vero Miracolo
10. Un’Anima

Settebello: la recensione del nuovo album di Galeffi

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SETTEBELLO” (Maciste Dischi/Polydor/Universal Music) è il titolo del secondo album del cantautore romano GALEFFI pubblicato lo scorso 20 marzo 2020. Prodotto dai Mamakass, duo composto da Fabiò Dalè e Carlo Frigerio, l’album si contraddistingue all’interno di un mare magnum di proposte grazie ad un tipo di approccio alla musica decisamente vivo, frenetico, creativo. Galeffi, all’anagrafe Marco Cantagalli, fa tesoro del felice connubio con i produttori che insieme a lui fanno parte della squadra autorale della Warner Chapell e, senza la frenesia di voler sfornare tormentoni, si prende la sacrosanta libertà di sperimentare mettendo in piedi una tracklist di tutto rispetto. “Settebello” strizza l’occhio al passato in maniera intelligente e dinamica, i testi nascono da suggestioni contemporanee e da rapporti difficili da mantenere ma si accompagnano a reminiscenze jazz, a giri di basso caldi e sinuosi, a echi funky e ad affondi blues. “Ho un cruciverba nella testa, ma quasi mai la soluzione”, canta e scrive Galeffi, a tratti molto vicino allo stile e alle intenzioni di Cesare Cremonini. Inquieto, incerto, appassionato, sguaiato, violento, crudo, nudo, Galeffi mette in campo la sua voce lasciandone scorgere diverse sfumature, vive e attraversa le note rendendole vive, significanti, intense. Cantautorato, itpop, rock, jazz funky, blues, surf garage convivono felicemente senza stancare mai. Il brano più controverso del disco è “Cercasi amore”: nata come una canzone elettronica, successivamente diventata un pezzo per chitarra e voce, poi una ballad ed infine una canzone rock. La gemma della tracklist è invece “America”, il colpo di scena, l’asso dal cilindro, il frutto della volontà dell’artista di prendersi il lusso di mostrarsi per quello che è e intanto “Butto la pasta quel tanto che basta per non sentire il vuoto che c’è”. Vibrano i richiami allo stile di Ghemon in “Grattacielo”, ormai immancabile il divertissement strumentale, stavolta intitolato “Quasi quasi”. Il disco si chiude con “Bacio illimitato”,quasi a sigillare l’epopea sentimentale fallimentare che attraversa un’emotività incerta e in cerca di una nuova consapevolezza che l’esperienza sicuramente saprà dare ad un cantautore dall’ottimo potenziale.

Raffaella Sbrescia

Video: America

Tracklist:
1. Settebello
2. Monolocale
3. America
4. Dove Non Batte Il Sole
5. Grattacielo
6. Quasi Quasi
7. Tre Metri Sotto Terra
8. Cercasi Amore
9. Gas
10. Bacio Illimitato

Immensità: la recensione della suite di Andrea Laszlo De Simone

Immensità - Andrea Laszlo De Simone

Immensità – Andrea Laszlo De Simone

Immensità è il titolo dell’ultimo lavoro discografico del cantautore torinese Andrea Laszlo De Simone, pubblicato lo corso 8 novembre per 42 Records. L’opera è una suite della durata di 25 minuti: nove tracce suddivise in 4 capitoli, con un brano cantato per ogni capitolo. Preludi, interludi, conclusioni si susseguono all’interno di una vorticosa spirale emotiva senza fine. Andrea Laszlo De Simone è un artigiano della musica, la sua visione è il frutto di una ricerca artistica immaginata, concepita, lavorata, veicolata in solitudine. Nella costruzione dei suoi arrangiamenti, l’artista osa, mescola, mette a nudo influenze, idee, suggestioni con calma, tranquillità, lasciandosi cullare dal tempo. Navigando lo spettro delle illusioni Andrea Laszlo De Simone mette a punto un immaginifico percorso di accettazione della realtà attraverso il naturale scorrere del tempo. La musica avanza con prepotenza per raccontarci che siamo in grado di rivoluzionarci completamente molte volte all’interno di una sola vita: ogni volta si ricomincia con dei presupposti nuovi sempre basati sulle stesse dinamiche: c’è una fase di entusiasmo possibilista (il sogno), seguita da un fisiologico ridimensionamento (la realtà), giunge immancabile  lo smarrimento (lo spazio) fino all’accettazione o alla rinascita (il tempo). L’atmosfera ovattata, avvolgente, onirica de “Il sogno” viene incalzata dagli archi e le percussioni de “La nostra fine”. La vita che racconta l’artista è un piano inclinato in cui il domani scivola via. “Così è successo lo sai, la nostra vita sceglie per noi”, canta Andrea mentre prendono vita le suggestioni, gli arpeggi e i violini del brano più ibrido:“Mistero”, incluso nel capitolo “Lo spazio”. Suoni del passato e del presente si incrociano come in una sorta di contrasto biblico, precursore di una svolta empirica. L’ultimo capitolo è il “Il tempo”, raccontato dal brano “Conchiglie”: Ti sei un po’ spaventato / proprio come pensavo / vedrai non serve a niente rintanarti in te stesso / siamo solo conchiglie sparse sulla sabbia / niente potrà tornare a quando il mare era calmo. Ed è tutto chiaro, limpido, nitido e devastante. Il cerchio si conclude e l’opera può finalmente ritenersi pienamente riuscita nell’intento di regalarci un bel mucchio di emozioni. Per chi desidera godere appieno di ogni singolo frame di questo lavoro, da non perdere il mediometraggio con soggetto e musiche dello stesso Andrea Laszlo De Simone.

Raffaella Sbrescia

Mediometraggio: Immensità

TRACKLIST

01. Preludio: Il sogno

02. Capitolo I: Immensità

03. Interludio primo: La realtà

04. Capitolo II: La nostra fine

05. Interludio secondo: Lo spazio

06. Capitolo III: Mistero

07. Interludio terzo: Il tempo

08. Capitolo IV: Conchiglie

09. Conclusione

Dente: la recensione del nuovo album

Dente

Dente

Dente” è il titolo del disco omonimo che Giuseppe Peveri, in arte Dente, ha pubblicato a tre anni di distanza dal suo precedente lavoro discografico. Consapevolezza, coraggio e testi maturi caratterizzano questa nuova prova del cantautore fidentino che per questa volta ha scelto di avvalersi della collaborazione di Federico Laini e Matteo Cantaluppi. Il percorso di lavorazione del disco è stato tortuoso, complesso, a tratti doloroso. Dente mette al setaccio la sua poetica e le certezze acquisite con i precedenti lavori, rimette mano alla narrativa che da lo sempre lo contraddistingue per dare credito a una cifra pop semplice ma allo stesso tempo articolata e ricca di sfumature sonore. E’ proprio in questo fondamentale passaggio che risiede la chiave di interpretazione di questo disco in cui l’autore mette la faccia per testimoniare una chiara intenzione: tirare fuori parti di sé, ora chiare e definite, ora rimaste oscure e in via di definizione. Dente lascia per un attimo la chitarra e scrive al pianoforte, esattamente come accade per accompagnare l’ineludibile testo di “Anche se non voglio”. Liberatoria è anche “Adieu”, una canzone scritta di getto per mettere in chiaro cosa può restare e cosa no. Perturbano gli interrogativi di “Tra 100 anni” e le ipotesi di “Sarà la musica”. Intense, autentiche, immaginifiche le suggestioni di “Trasparente” e “Paura di niente”. Inaspettata la vena romantica e accasata de “L’ago della bussola”. Preziosi i ricordi e le consapevolezze raccontate in “Non te lo dico” ma soprattutto ne “La mia vita precedente” e nel brano di chiusura “Cose dell’altro mondo”. Osso duro di provincia con anima cosmopolita, Dente trova il giusto bilanciamento tra presente e passato, tra giovinezza e maturità, tra punti fissi e nuove prospettive aprendosi e lasciandosi ascoltare senza filtri. Con buona pace dei puristi.

Raffaella Sbrescia

Video: Adieu


Inizia da
0:12

Tracklist

1) ANCHE SE NON VOGLIO

2) ADIEU

3) TRA 100 ANNI

4) COSE DELL’ALTRO MONDO

5) SARÀ LA MUSICA

6) TRASPARENTE

7) L’AGO DELLA BUSSOLA

8) NON TE LO DICO

9) PAURA DI NIENTE

10) LA MIA VITA PRECEDENTE

11) NON CAMBIO MAI

Corallo, la recensione del nuovo album di Colombre

colombre-corallo
“Corallo” è il titolo del nuovo disco di Colombre, frutto di un lungo e meticoloso processo di osservazione e introspezione al contempo. Nella tracklist ci sono otto brani da ascoltare, comprendere, interpretare da angolazioni e prospettive diverse in cui Colombre mette in luce un mondo sommerso, esattamente come avviene per il corallo posato sui fondali, un mondo da esplorare in tutte le sue minuscole e quasi impercettibili forme. Il corallo, dunque rappresenta metaforicamente la relazione con l’altro, spesso sommersa da una quotidianità piatta ma altrettanto spesso pronta ad evolversi in modo imprevedibile e inaspettato. Queste sono le caratteristiche che rendono il disco un piccolo elogio alla lentezza e alla capacità di mettersi in gioco in un momento non esattamente facile. Prodotto dallo stesso Colombre, insieme a Fabio Grande e Pietro Paroletti, “Corallo” è stato registrato e mixato alla Sala Tre di Roma, masterizzato da Andrea Suriani all’Alpha Depth di Bologna e si fregia della collaborazione di Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours) alla batteria. In questo lavoro la narrativa preferisce le linee morbide, una forma elegante e arrangiamenti sinuosi che fanno astutamente la spola tra passato e presente tra generi e influenze ora lontanissime, ora stratificate nelle radici italiche. I suoni oscillano tra le chitarre di Mac DeMarco, Alex Turner o Andy Shauf e le ritmiche di Alan Sorrenti, Battisti, Battiato e Baustelle. Si va dall’incipit di Mille e una notte: “Dovrei tornare ad ascoltare ma sono anni che non ci riesco più” alla conturbante rivelazione di Non ti prendo la mano: “Se non mi vuoi più bene non me ne importa niente perché probabilmente non sei così più importante”. Colombre disseppellisce sentimenti, sensazioni, visioni ora rosei, ora plumbei con naturalezza, trasparenza e coerenza. Questo è ciò che avviene in Terrore ma soprattutto in Crudele, costellata di pentimenti e prese di coscienza. Scomoda, velenosa ma ardente e appassionata è Arcobaleno; immaginifico il finale affidato al primo e unico brano scritto con Maria Antonietta Anche tu cambierai, un brano che riporta a un tempo lontano, intriso di echi di fine anni ’60 dei grandi crooner di un tempo. Un brivido lungo la schiena e siamo già diventati altre persone insieme a “Corallo”.

Leggi anche la recensione di “Pulviscolo”

Raffaella Sbrescia

Video: Arcobaleno

TRACKLIST
01. Corallo
02. Non Ti Prendo La Mano
03. Terrore
04. Crudele
05. Per Un Secondo
06. Mille E Una Notte
07. Arcobaleno
08. Anche Tu Cambierai

Piramidi: la recensione del nuovo album di Germanò

Piramidi- Germanò

Il titolo è evocativo: “Piramidi“. Il secondo disco di Germanò per Bomba Dischi si compone di 10 tracce e risponde a un cambio di prospettiva, al rovescio dei pensieri freddi, alla coerenza del descrivere il qui e l’ora senza perdere una ritmica accattivante, quasi illusoria di una leggerezza che in realtà non c’è. Germanò rielabora la percezione dei rapporti, gli innesti umani in contesti vari eppure legati da un filo conduuttore impercettibile ma massicciamente presente: la solitudine. “Piramidi” è stato scritto e arrangiato in solitaria, sono poche ma tangili le variazioni strumentali con cui Germanò prova a innescare un cambiamento nella propria linea melodica costellandola di synth e richiami  alla disco music. Germanò scrive in terza persona senza mai scindere la propria anima dalle vicende narrate, sceglie di ispirarsi alla narrativa di Lou Reed senza rinunciare all’immancabile richiamo alla poesia del cantautore Enzo Carella, all’universo di Battiato, alle ritmiche di Riccardo Sinigallia. Il cantautore si affida all’istinto, alla perentorietà dell’esperienza empirica, attiva la percezione dei sensi e ne condensa il senso attraverso frame di immagini definite. Spiccano nella tracklist “Friends Forever”, “Dov’è che mi fa male”, “Stasera esco” e la titletrack “Piramidi”. Tutto e l’opposto di tutto convivono in canzoni che sfidano l’incertezza della vita, dei rapporti, delle prospettive ma che dimostrano sete di cose nuove e fame di vita vera.

Raffaella Sbrescia

Video:

Tracklist

1

Che vita meravigliosa: intervista a Diodato e recensione dell’album

Diodato

Esce oggi “CHE VITA MERAVIGLIOSA” il nuovo album di DIODATO, vincitore del 70° Festival di Sanremo con il brano “Fai Rumore”. In questo lavoro l’artista mette in luce anime diverse e allo stesso tempo complementari. La scrittura cinematografica di Diodato offre l’opportunità di vivere frame di vita vissuta ma anche di immergersi in riflessioni sociologiche di un certo spessore.

A due anni di distanza da “Cosa siamo diventati”, Diodato si mostra particolarmente lucido, ispirato e coinvolgente. In queste nuove 11 canzoni, ci sono passioni e fragilità, amori, solitudini, cadute e rinascite senza mai perdere di vista i rapporti tra esseri umani e le relative barriere invisibili che contraddistinguono un’epoca quanto mai controversa come quella che stiamo vivendo.

Videointervista a Diodato:

Il fatto che Diodato abbia vinto non solo il Festival di Sanremo ma anche il Premio della Critica “Mia Martini”, il Premio della Sala Stampa Radio, Tv e Web “Lucio Dalla” e il Premio Lunezia per il valore musical-letterario di “Fai Rumore”, rappresenta la tangibile testimonianza di un riconoscimento artistico unanime. Antonio Diodato si contraddistingue per aver liberamente scelto di essere un perenne viaggiatore, un navigante felicemente disperso ma mai così a fuoco come adesso. La sua ricerca di verità nascosta nelle persone e nelle cose si rivela in tutta la sua luminosa bellezza all’interno dei suoi testi. Se a questo aggiungiamo il prezioso e fertile contributo musciale del noto produttore discografico Tommaso Colliva per la realizzazione dei nuovi arrangiamenti, tanto ricchi, quanto variopinti e strutturati, capiamo perché possiamo definire “Che vita meravigliosa” come l’affresco estemporaneo dell’essenziale invisibile agli occhi ma percepibile dal cuore. La fragilità, la caduta, il fallimento, la riflessione, la rinascita, l’indagine e la riflessione sono gli assi nella manica di un artista apparentemente malinconico ma estremamente innamorato della vita. L’impegno di Diodato è quello che ci serve per reagire, per riaccendere l’emotività, per cedere all’input evocativo di una voce forte, nitida, avvolgente. Che siano baci o altissime e fragorose onde, ascoltando Diodato non possiamo far altro che abbandonarci felicemente a questo flusso di coscienza vorticoso e sì, meraviglioso.

Raffaella Sbrescia

Nel 2020 Diodato sarà live per la prima volta all’Alcatraz di Milano (22 aprile 2020) e all’Atlantico di Roma (29 aprile 2020) e il 16 maggio rappresenterà il nostro Paese all’Eurovision Song Contest nella città di Rotterdam.

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