Invers: “In Montagne vi spieghiamo che la resa sta alla radice di una svolta”

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Gli Invers sono una band originaria di Biella  con una formula musicale a cavallo tra rock e cantautorato. La potenza delle melodie proposte da questi 4 musicisti italiani si sposa con la forza emotiva dei testi proposti al pubblico. Con un gran numero di concerti all’attivo e due Ep pubblicati negli scorsi anni, la band presenta un nuovo singolo intitolato “Montagne”, scelto per anticipare il nuovo atteso album “Dellʼamore, della morte, della vita” che sarà pubblicato ad inizio 2015. Registrato e mixato al MoscowMule Studio (Biella) da VinaBros, il singolo è stato masterizzato al The Exchange (Londra) da Mike Marsh (Franz Ferdinand, Kasabian, Savages).  In questa intervista  Marco B. / Mattia I. / Enrico B. / Mirko L. ci raccontano nello specifico la trama dell’inedito pubblicato lo scorso 17 ottobre, anticipando alcuni gustosi dettagli relativi al lavoro discografico in uscita nei prossimi mesi.

 

Alla luce dei vostri lavori precedenti e di quello a cui state lavorando oggi… chi sono gli Invers?

Quando ci si guarda in faccia, vedendosi ogni giorno, ci si dice che si è sempre uguali, ma sappiamo tutti che la realtà è diversa. Per noi questo è vero in parte, perchè se musicalmente dobbiamo riconoscere e quindi dire di essere cambiati, o meglio di aver intrapreso un percorso in cui ci sentiamo più liberi e forse anche cresciuti e consapevoli, dal lato personale siamo fondamentalmente i soliti quattro di sempre, ognuno con i propri gusti, le proprie idee, i propri modi di fare, costantemente in contrasto con quelli degli altri, che tra un confronto e l’altro riescono sempre a trovare un modo per andare d’accordo. Quattro amici, di cui due fratelli, e gli altri due praticamente fratelli acquisiti.

Avete definito il singolo “Montagne” un brano potente, serrato ed ossessivo…  come motivereste la scelta di questi aggettivi e come spieghereste il senso di questa canzone?

Partendo dall’idea primordiale del pezzo, passando attraverso il suo sviluppo e arrivando alla versione definitiva del brano, questi tre aggettivi sono rimasti intatti, dall’energia messa nelle prime prove alle sensazioni percepite ascoltando il risultato finale in studio. Il testo del brano descrive la condizione di inadeguatezza in cui si trova chi non si riconosce più in quello che vede, che fa, che vive, e solo dopo aver preso atto dell’immutabilità di tale condizione, riconosce che l’unica cosa da fare è arrendersi ad essa. La parte musicale è potente, ipnotica, quasi una cantilena tagliente proprio perchè ossessiva, serrata, a sostenere e rafforzare il senso di costrizione descritto dalle parole.

Invers

Invers

Quali saranno i temi, le storie, i personaggi e le scelte musicali che verranno incluse in “Dell’amore, della morte, della vita”?

I tre concetti che regalano il titolo al nostro secondo album sono i temi portanti di ognuna delle canzoni che compongo il disco. Alle volte uno solo, altre volte due, oppure tutti e tre nello stesso brano, sono l’amore, la morte e la vita i “personaggi” in scena in questo nuovo lavoro, che vengono riflessi attraverso storie di persone vicine e lontane, unite e divise, presenti e passate. Tutto ciò è avvolto da una componente musicale decisamente più dinamica rispetto al nostro precedente lavoro, volta a trasmettere nel modo più efficace e profondo possibile il significato e l’atmosfera di ogni brano.

Cosa vi hanno insegnato i tanti concerti che avete tenuto negli scorsi mesi in tutta Italia e cosa amate di più dell’interazione con il pubblico?

Sicuramente abbiamo capito che, nonostante i chilometri, gli imprevisti, le dimenticanze, i ritardi, le ore di sonno mancate, e tutti gli altri accessori inclusi, suonare è quello che vogliamo fare, ad ogni costo, cercando di arrivare a più timpani e cervelli e cuori possibili, per trasmettere la nostra visione e la nostra idea, per poterla mettere nelle mani di altre persone e vedere che effetto fa loro, se la giudicheranno, l’apprezzeranno o la demoliranno, avremo comunque raggiunto l’obiettivo più importante: condividere quel che siamo e facciamo con chi è lì con noi in quel momento.

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Se doveste spiegare la vostra musica a chi non vi conosce, quali parole usereste?

Ci piace usare una frase breve ma significativa per presentare quello che facciamo, ovvero “musica potente con testi particolarmente vicini al cantautorato italiano”, che di fatto descrive molto bene quello che siamo musicalmente parlando, sia sul palco che in studio. Tuttavia non si tratta solamente di una personale presentazione del nostro lavoro, è anche e soprattutto l’idea che abbiamo in testa, che vogliamo realizzare, e il modo in cui sentiamo di doverla esprimere.

La “resa” può rappresentare una svolta esistenziale?

Senza ombra di dubbio la resa sta alla radice di una svolta.Che sia per scelta o per forza, si arriva alla resa dopo un’ attenta analisi della situazione che causa malessere, e solo dopo aver raggiunto una posizione oggettiva rispetto ad essa, si può essere in grado di prendere la decisione di non curarsene più, e quindi lasciare perdere. La resa come atto supremo di presa di coscienza fa da spartiacque tra quello che è stato e quello che sarà, istruendoci su un nuovo e più lucido approccio nella visione della realtà.

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Dove e quando vi esibirete dal vivo?

Da qui alla fine dell’anno porteremo in giro una sorta di anteprima live completa dei brani che comporranno “Dell’amore, della morte della vita”, in attesa della sua pubblicazione ufficiale, nei primi mesi del 2015. Più precisamente, chiunque vorrà ascoltare il nuovo disco, potrà trovarci venerdì 24 ottobre alla Cooperativa Portalupi di Vigevano, sabato 1 novembre al Circolino Porta Torino di Vercelli, mercoledì 12 a Bologna, al Làbas occupato e sabato 22 al Kantiere di Verbania. Per quanto riguarda dicembre, invece, saremo dapprima il 13 a Torino, al Magazzino sul Po, e poi sabato 20 all’Otto di Biella, vicino a casa, giusto in tempo per prepararsi per un nuovo anno, un nuovo disco, una nuova vita.

Raffaella Sbrescia

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“Tie me down”, il nuovo ep di Jack Savoretti

Jack-Savoretti Ph Chris Faith

Jack-Savoretti Ph Chris Faith

“Tie me down” è il nuovo ep del cantautore londinese Jack Savoretti. I quattro brani che compongono questo nuovo lavoro annunciano una nuova evoluzione nella carriera dell’artista ed anticipano la pubblicazione di nuovo album, la cui è uscita è prevista per il 2015. L’ep, scritto insieme al produttore Matty Benbrook, intende mettere in luce la nuova direzione che il cantautore ha intrapreso e la sua nuova attenzione per nuovi ritmi e nuovi filoni musicali. Particolarmente intensa la title track “Tie me down”:“No man was born to be locked up,  No man is born to not be free. We’re here to live, we’re here to love. We’re here to touch, feel & see”, canta Jack, ipnotizzando l’ascoltare con la sua vocalità calda, graffiata e sensuale. Luoghi, colori, sapori, emozioni e sofferenze emergono attraverso la carica emotiva insita nella capacità interpretativa di Savoretti. Un riff insistente di chitarra acustica, una linea di basso tribale ed un groove di batteria incalzante lasciano spazio al mood decisamente più intimo e sofferto di “Last beat”, una struggente ballad amorosa perfetta per incarnare l’idea di un sentimento intenso e profondo al punto da risultare quasi distruttivo. Il fascino della melodia si avvicina a quello immaginifico di una tipica colonna sonora da film strappalacrime. Lo struggimento continua anche in “Jackie Blue”: sudore e polvere si intrecciano tra nuove strade e vecchi ricordi mentre  Jack abbraccia il suo ruolo di folksinger in maniera assoluta e totale. Questo piccolo e prezioso ep si chiude con “Solitude”, un brano che non si distanzia dai contenuti precedenti e che, anzi, sancisce con risoluta efficacia il mood malinconico ed intimista con cui Jack riesce a raccontare scelte, rimorsi e rimpianti che, pur riguardando un eventuale passato, coinvolgono anche e soprattutto il presente.  Per concludere, considerando gli ottimi presupposti di partenza, sarà interessante scoprire se Jack Savoretti seguirà questa scia contenutistica nel nuovo album o se, invece,  vorrà stupire il pubblico con nuovi contenuti e nuove scelte sonore.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Tie me down”

Earth Hotel, il nuovo album di Paolo Benvegnù. La recensione

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Una struttura ermetica e complessa attraversa “Earth Hotel”, il nuovo album di inediti firmato dal ottimo Paolo Benvegnù, pubblicato il 17 ottobre da Woodworm e distribuito da Audioglobe. A tre anni di distanza da “Hermann”, il cantautore attraversa le fasi del vivere umano contemporaneo attraverso 12 canzoni, metaforicamente associate a 12 piani di un posto che, per antonomasia, esprime l’idea di passaggio. Intrigante e destabilizzante al contempo “Heart hotel” rappresenta un non-luogo da cui osservare il mondo da vicino, pur rimanendo comodamente nella propria stanza. La solitudine rappresenta, infatti, un tema molto caro a Benvegnù, cantore di un mondo silenzioso eppure traboccante di pensieri e di emozioni descritte in maniera ermeticamente concettuale. La cura per i dettagli sia dei testi, che degli arrangiamenti, rende “Earth Hotel” un lavoro destinato a spiriti sensibili ed ad intelletti particolarmente sviluppati. La ricerca dell’equilibrio tra materia e forma, tra arte e sentimenti ha condotto Benvegnù a compiere un percorso complesso, spesso difficile da comprendere ed interpretare con lucida completezza. La prima traccia che l’artista propone all’ascoltatore è “Nello spazio profondo”, l’enigmatica ed impalpabile descrizione di un’illusione sentimentale. “Le parole sono pietre ambiziose”, canta Benvegnù, tra arpeggi di chitarra e volute di sintetizzatore. Appassionata e suadente è la trama di “Una nuova innocenza”, un brano dal fascino perturbante, addolcito dal fortunatissimo inserimento degli archi tra le sonorità profonde delle chitarre e delle tastiere. Carne e sangue sono gli elementi tangibili di questa potente mistura di parole e note.

Paolo Benvegnù

Paolo Benvegnù

L’amore e le sue molteplici declinazioni collegano gli intricati passaggi di  “Earth Hotel”: si passa repentinamente tra contrasti di chiaro/scuro, pieno/vuoto, presenza/assenza, passando attraverso i contrappunti affilati del violino e degli archi. La ricerca di un nuovo ordine del caos attraversa “Nuovosonettomaoista” mentre il surreale fascino e la suadente lunghezza di “Avenida Silencio” traghettano l’ascoltatore all’interno di imprevedibili  e cosmopolite dimensioni spazio-temporali . La delicatezza della ballad acustica intitolata “Life” si contrappone alla durezza semantica di “Feed the distruction” mentre la bellezza immaginifica di “Stefan  Zweig” incarna la perenne sete dell’animo umano, condannato all’insoddisfazione eterna. “Tutto ci parla senza farsi vedere”, così Paolo Benvegnù descrive in maniera minimalista eppure lucida il nostro tempo in “Divisionisti” mentre le domande senza riposta di “Orlando” si disintegrano negli anatemi contenuti in “Piccola pornografia umana”. I toni e le atmosfere si addolciscono con il sopraggiungere di “Hannah”, un’altra ballad ammorbidita dal carezzevole fascino delle corde arpeggiate. A chiudere l’album è il brano intitolato “Sempiterni sguardi e primati”: “verrà un tempo per la verità, per la gioia, per la solitudine, per la noia”, canta Benvegnù, rilanciando fino alla fine  l’insita bellezza del nichilismo improntato alla ricerca del profondo senso dell’esistenza umana.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Una nuova innocenza”

Intervista a Piero Fabrizi: “Primula? Un disco spontaneo e libero”

Piero Fabrizi

Piero Fabrizi

Musicista, compositore, produttore e arrangiatore, Piero Fabrizi è attivo nel panorama musicale italiano sin dal 1980. Dopo aver prodotto, nell’arco di 23 anni, 14 album e due DVD della cantante romana Fiorella Mannoia, nel 2002 Piero Fabrizi ha fondato l’etichetta discografica indipendente Brave Art Records, con la quale realizza progetti dedicati alla musica strumentale. Lo scorso settembre il chitarrista e produttore romano ha deciso di pubblicare “Primula” (un album d’esordio arrivato dopo una lunga carriera e oltre cento dischi), per raccontarsi senza limiti. In questa intervista, l’artista si è raccontato a 360 gradi dedicando un ampio approfondimento non solo a questo lavoro ricco di prestigiose collaborazioni, ma anche alla situazione generale del contesto musicale contemporaneo, offrendo numerosi spunti di riflessione.

Nel corso della tua carriera, iniziata nel 1980, hai ricoperto il ruolo di produttore, chitarrista, autore lavorando alla realizzazione di più di cento album. Quale di queste vesti senti più tua e perché? Come cambia il tuo ruolo a seconda della funzione che svolgi?

Mi sento soprattutto un musicista, la produzione è uno dei lati del mio fare musica, forse il più coinvolgente lavorativamente parlando, molto simile al ruolo di un regista nel cinema, una figura di riferimento che può realmente affiancare un’artista dall’inizio alla fine di un progetto, una figura importante in America o in Inghilterra, in Brasile perfino…un po’ meno da noi, dove il produttore è visto come colui che realizza un disco e lo consegna all’artista o alla casa discografica. In realtà, a mio avviso, non è questa la funzione fondamentale del produttore. La produzione parte a monte, con la scelta delle canzoni, interpretando al meglio l’orientamento dell’artista, aiutandolo il più delle volte a cercare il percorso ideale per esprimersi al meglio, attraverso le canzoni migliori, con quel filo di distacco che l’artista non potrebbe mantenere fino in fondo, nei confronti del proprio materiale. Il produttore è il vero alter ego dell’artista, colui che vede oltre e coadiuva nelle scelte importanti, con chiarezza e determinazione, fuori da ogni logica che non sia prettamente artistica. In tutto questo, il suonare, comporre e arrangiare, diventano elementi indispensabili per comunicare con il giusto linguaggio e per veicolare al meglio l’emozione trasmessa dall’artista nelle sue interpretazioni. Il rispetto della personalità artistica, unito al senso critico, alla creatività e ad una visione d’insieme, fanno di un musicista, chitarrista e autore… un buon produttore.

Hai lavorato per tantissimi anni con Fiorella Mannoia… ci racconti come hai vissuto questa speciale sintonia artistica con lei e come l’avete alimentata nel corso degli anni?

Lavorare per oltre 23 anni con Fiorella Mannoia è stato relativamente facile perché ci ha uniti la profonda passione e l’altrettanta sintonia, su tutto ciò che abbiamo deciso di fare, ma soprattutto, direi, la stima reciproca, che sancisce sempre le unioni creative e umane. L’essere due persone molto diverse – ma con grandi affinità – ha sicuramente arricchito ed alimentato per molto tempo il nostro rapport rendendolo molto speciale.

Nel tuo album d’esordio hai racchiuso i tuoi riferimenti musicali, i tuoi sogni di una vita e gli hai dato forma insieme ad alcuni nomi di spicco della scena musicale internazionale come Chico Cèsar, Tony Levin, Jacques Morelenbaum, Morneo Veloso, David Binney, Mauro Pagani, Maurizio Giammarco… Quando e perché ti è venuta voglia di lavorare ad un progetto tuo? Qual è stato l’elemento scatenante e quali sono le storie, i messaggi e le prospettive di questo lavoro così eterogeneo?

Era da tempo che sentivo l’esigenza di avventurarmi in qualcosa di personale e specifico come la progettazione di un mio album. In verità la musica ha preso il sopravvento sulla razionalità, nel senso che ho iniziato a registrare un paio di brani che avevo provato insieme al mio caro amico e mirabile batterista Elio Rivagli. Abbiamo improntato un ensemble molto scarno: chitarra elettrica, batteria acustica e percussioni elettroniche per appuntare delle idee ritmiche. Da lì a breve ci siamo ritrovati in studio con Dario Deidda al basso elettrico per registrare la prima traccia dell’album che dà il titolo a tutto il lavoro: “Primula”. Sono molti i momenti da ricordare, legati alle registrazioni del disco: ho ripreso gran parte delle sessioni in studio e vorrei riuscire a farne una sorta di “making of”, cosa sempre interessante dal punto di vista dell’ascoltatore che, in questo modo, può avere la possibilità di cogliere una maggiore “umanizzazione” dell’importante, (ma a volte oscuro) lavoro svolto in studio di registrazione. Non ci sono messaggi in questo mio lavoro, direi, piuttosto un pensiero costante: fare musica in piena libertà. Questo è il vero e unico intento, che io, insieme ai musicisti che hanno partecipato alle registrazioni, abbiamo perseguito fino in fondo. Ora c’è la voglia di portare questo progetto ambizioso fuori dallo studio, suonare dal vivo è il mio vero obiettivo, il più naturale e consequenziale, certo, ma anche il più gratificante.

Piero Fabrizi ph G. Canitano

Piero Fabrizi ph G. Canitano

Non solo musica ma anche solidarietà, con questo album sostieni la Onlus fondata da Barbara Olivi “Il sorriso dei miei bimbi”. Di cosa si occupa questo ente e in che modo il tuo album intende sostenerne i progetti?

Il lavoro svolto da Barbara Olivi e dagli altri volontari è proteso soprattutto alla scolarizzazione dei bambini (ma anche dei più adulti) in una realtà molto dura qual è la favela di Rocinha a Rio de Janeiro, (la più grande favela di tutto il Sud America),  dove il degrado è visibile e tangibile ad ogni angolo, e dove i ragazzi vengono continuamente a contatto con tutto ciò che di più dannoso e deleterio si possa immaginare in un “inter regno” costituito e gestito da spacciatori senza scrupoli, armati fino ai denti, impegnati in continue lotte intestine, feroci e sanguinose, per il controllo del territorio della favela. L’associazione di Barbara e compagni, garantisce per alcune ore giornaliere un cuscinetto ideale, per poter dare spazio e aree di pace e di aggregazione, gestite da insegnanti qualificati e psicologi, i quali si preoccupano del benessere dei bambini/ragazzi che aderiscono al progetto. Oltre alla scuola, ci sono corsi di danza, uso del computer, ginnastica e perfino un corso di botanica. La Onlus è una realtà che va sostenuta e difesa, questi volontari hanno cuore e coraggio da vendere!

Tu sei il fondatore della “Brave Art Records”, un’etichetta che si dedica alla musica strumentale. Come ti muovi all’interno del contesto contemporaneo italiano? Quali sono i filoni che ritieni interessanti? Cosa dovremmo assolutamente ascoltare in questo periodo secondo te?

Il contesto contemporaneo in Italia non consente ottimismi di nessun genere, resiste la passione e la caparbietà di molti di noi che, nonostante la totale assenza di un vero mercato discografico, continuano a pensare alla musica come un’idea più alta, un modo di pensare e di vivere che coinvolge e accomuna. Ritengo che tutto sia cambiato radicalmente con l’avvento di internet e della rete, si deve convivere con una maggiore promiscuità musicale e un minore talento creativo, c’è molta più offerta che richiesta di musica, ci sono molti più performers che compositori, i veri artisti sono addirittura difficili da scovare, dietro questa cortina fumogena formata da orde di prodotti e sottoprodotti musicali…difficile, orientarsi (da parte del consumatore) verso un prodotto qualitativamente alto. Gli stessi format televisivi (X-factor, The voice, ecc..) sono, a mio avviso, fuorvianti ed inefficaci, se pensati con la prospettiva di far ripartire un settore, ormai in caduta libera. Ci vorrebbe onestà e rigore per riuscire a ridare valore e vigore  alla musica italiana. La mia etichetta Brave Art Records, così come anche la Route 61 music, si impegnano a cercare di dare voce alle cose di qualità, qualunque sia la direzione e la tendenza espressa nei dischi prodotti, che vengono scelti esclusivamente sulla base di una proposta qualitativa alta. Se posso consigliare l’ascolto di un disco italiano, consiglierei sicuramente il disco di Tosca – “Il suono della voce”,  un lavoro di grande classe, che alza di netto il livello degli album usciti in questo 2014 in Italia.

Come nasce il passionale intreccio di corde e di pelli vibranti de “La Mirada del Che”? ( Bellissimo il solo di Mauro Pagani al violino… intenso, drammatico e straziante!)

Il brano mi è stato ispirato dalla lettura di una bella biografia di Ernesto Che Guevara, scritta dal francese Pierre Kalfon. Mi hanno colpito soprattutto gli appunti personali del Che e la drammatica imboscata che gli fu fatale a la Higuera in Bolivia, il pezzo vuole descrivere emozionalmente l’atto conclusivo della vita di Guevara. Il bellissimo solo di Mauro Pagani credo racchiuda in sè tutta la drammaticità e la tensione di quel momento, trovo che l’intervento di Mauro sia davvero eccezionale, egli è riuscito ad  interpretare alla perfezione l’andamento e l’intensità del brano. Lo considero un generoso regalo, fattomi da uno dei migliori musicisti italiani.

E la dedica ai “Meninos da rua” in “Clandestino”?

Questo è un brano che da sempre avrei voluto tradurre e riarrangiare e l’occasione di poterlo realizzare su un mio disco non poteva andare sprecata. Chico Cèsar ha scritto questo pezzo venti anni fa, e oggi più che mai,  le sue note e le sue parole risuonano attuali, inneggiando al senso di libertà e fratellanza che lega e unisce questi figli della strada. Chi ha visto e conosce questa dura realtà brasiliana può apprezzare ancora meglio il senso di questa canzone, che è al contempo dura denuncia e accattivante filastrocca. Quando mandai a Chico la mia versione, lui mi scrisse subito, proponendomi di cantare il pezzo insieme a lui, inutile dire che questa collaborazione è motivo di grande orgoglio per me.

Piero Fabrizi

Piero Fabrizi

La title track rappresenta davvero il punto di partenza di questo tuo progetto?

Si, “Primula” è stato il primo pezzo registrato (con Elio Rivalgi alla Batteria e Dario Deidda al Basso elettrico) e da qui il titolo emblematico del brano. Qualcosa che nasce in maniera spontanea e inattesa.

Come hai scoperto la meravigliosa voce di Elsa Lisa, che hai poi inserito in “Buzet Me Ishin Thare” ed in “Qan Lu Lja per Lulen”? Di cosa parlano questi brani così delicati e magici?

Elsa Lila è una cantante albanese di grande talento, ritengo che la sua voce sia oggettivamente una delle più belle al mondo. Il suo timbro è unico e la sua vocalità riesce a toccare corde emozionali profonde, con eleganza e sobrietà. Quelle cantate da Elsa, sono due canzoni d’amore…”Quan lulia per lulen” è un canto popolare, il cui titolo tradotto  dall’albanese è: “Piange il fiore per il fiore”, ovvero il canto di addio di un padre ad una figlia che va in sposa ad un giovane, il quale la porterà via per sempre dalla casa dei genitori, dai suoi affetti, dalla sua infanzia. Il pezzo è stato totalmente rielaborato e riarrangiato da Elsa Lila e da me per cercare di realizzarne una versione più internazionale, meno legata alla scrittura tradizionale del brano. Melodicamente e armonicamente la nostra versione è molto diversa dall’originale. Questo, comunque, è, in assoluto, uno dei miei pezzi preferiti dell’album.

L’estrema varietà del disco è confermata dalla presenza di “Uncle Frank”, il tuo tributo a Frank Zappa, dalla scelta di chiamare dei musicisti brasiliani ad interpretare “Kashmir”, dall’autentico blues di “Jff”…cosa ti ha spinto ad agire con tutta questa libertà?

La naturale propensione a fare soltanto ciò che mi piace è stata la vera costante che ha pervaso le registrazioni dell’intero album. Ho sempre pensato al fatto che ci fossero troppi luoghi comuni da sfatare (ad esempio) riguardo ai musicisti brasiliani. Ho voluto dimostrare che una band composta all’80% da musicisti brasiliani, potesse suonare in modo magistrale un classico del rock come “Kashmir”. Joao Viana (figlio di Djavan) è un batterista rock eccezionale e Jaques Morelenbaum, si è prestato a sottolineare i riff storici del brano con il suo violoncello. Il mio tributo a Zappa è nato dal cuore; la sua musica mi ha sempre affascinato. “Uncle Frank” è una dichiarazione d’amore dedicata al genio iconoclasta del rock. L’arrangiamento dei fiati, ad opera di Maurizio Giammarco, è in perfetto stile zappiano mentre il solo al violoncello, suonato da Jaques Morelenbaum, è una vera perla.

Il brano conclusivo del disco è “Now that you’re gone” un brano che hai scritto pensando a Michael Mc Donald. Se avessi la possibilità di incontrarlo come gli descriveresti questa canzone?

Si tratta di una canzone d’amore molto semplice. La musica non si descrive, si suona e si ascolta! Oltre la morbida voce soul di Lily Latuheru, c’è il notevole apporto sonoro di Tony Levin che sorregge con il suo riff di basso l’intero brano, insieme ad Elio Rivagli alla batteria. Gli archi dal malinconico sapore retrò – scritti e diretti da Maurizio Abeni – rappresentano l’ideale chiusura di questo viaggio personale, attraverso musiche e stili diversi.

Quali saranno i progetti collegati a questo nuovo album e quali, invece, quelli inerenti alla tua carriera da musicista e produttore?

Ho intenzione di fare una serie di concerti per portare dal vivo la musica di “Primula”. Parallelamente ho un paio di progetti, molto interessanti, da produrre nel corso dei prossimi mesi; si tratta di due cose molto diverse tra loro ma entrambe di grande spessore.

Raffaella Sbrescia

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Lezioni di Rock: Assante e Castaldo al Teatro Parenti per raccontare Bob Dylan

Bob Dylan

Bob Dylan

Tutti a #LezionidiRock! Il Teatro Parenti di Milano si è eccezionalmente trasformato in aula studio in occasione del nuovissimo ciclo incontri tenuti dai super prof di Repubblica, Ernesto Assante e Gino Castaldo, i critici musicali più famosi del web. Al centro del primo affollatissimo appuntamento, la controversa figura dell’eterno ed immortale Bob Dylan, geniale precursore di idee e correnti musicali ad ampio raggio.  A più di 50 anni dalla pubblicazione del suo primo disco, la lucidità con cui Dylan è stato in grado di raccontare il suo tempo non smette di rapire e conquistare un pubblico transgenerazionale. Nato per sorprendere, destabilizzare, sconvolgere se stesso e gli altri, Dylan diede letteralmente il via all’evoluzione della musica. Carismatici, attenti ed appassionati, oggi come allora, Ernesto e Gino hanno accompagnato il pubblico lungo il percorso umano ed artistico di Bob partendo dai suoi inizi di folksinger, passando per la fase beat, fino all’evoluzione rock.

Ernesto Assante e Gino Castaldo

Ernesto Assante e Gino Castaldo

Dalla banale e paradossale efficacia di “Blowing in the wind” al cambiamento epocale introdotto da “The Times They Are A Changin’” , il brano in cui Bob racconta le nuove esigenze del mondo. Particolarmente attento lo sguardo di Assante e Castaldo sulle costruzioni testuali inedite di Dylan, sul suo essere un punk ante-litteram, sulla sua capacità di sfuggire alle etichette per poter cambiare in qualsiasi momento le carte in tavola. Particolare l’enfasi posta sulla rilevanza del brano “Mr Tambourine Man” e sul ruolo della città di Newport all’interno dello scenario della musica folk negli anni ’60. Con la pazzesca ondata di successo dei Beatles, anche Dylan trova il modo per inserirsi in un contesto completamente assoggettato ai Fab4. Con il primo tour in Inghilterra, Bob trova il modo per dare un significato ad ogni minimo gesto. L’apice di questo complesso percorso evolutivo avviene nel 1965, l’anno in cui Dylan pubblica “Highway 61 Revisited”: l’album definitivo.

Bob Dylan

Bob Dylan

Ad introdurre questo masterpiece è il destabilizzante colpo di rullante di “Like a rolling stone”, il brano della discordia, il racconto del crollo sociale, della perdita delle certezze. La teatralizzazione della nascita del rock si compie con la prima esibizione, in formazione elettrica, di Bob Dylan a Newport. La “mecca” del folk viene violata proprio da uno dei suoi miti di riferimento: è l’apocalisse. Il pubblico fischia, Dylan piange: è nato il rock, “non un genere bensì un modo di fare le cose”, spiega Castaldo. La parte conclusiva dell’incontro è interamente concentrata su “Highway 61 Revisited”: un omaggio alla cultura americana, alla strada per eccellenza, al collegamento tra nord e sud, all’asfalto che trasuda blues da ogni centimetro, al simbolo che testimonia un preciso modo di essere, un album che fa da apripista ad un cambiamento che non ammetterà ripensamenti e che, ad oggi, rappresenta la pietra miliare di una svolta senza pari.

Raffaella Sbrescia

“Snob”, la recensione del nuovo album di Paolo Conte

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 “Snob” è il titolo del nuovo album di Paolo Conte, giunto a distanza di 4 anni dal lavoro precedente e riassuntivo della nuova identità artistica di un cantautore abituato a stupire il proprio pubblico con una personalissima e spesso ermetica dimensione sonora e testuale. A comporre l’album sono quindici brani eterogenei, variopinti, immaginifici e metaforici. La chiave interpretativa di questo lavoro sta nella ricerca di una neanche tanto velata critica al modus vivendi contemporaneo. Sono tante le suggestioni letterarie con cui Paolo Conte spennella note e parole creando speziati connubi semantici. Momenti intimi e raccolti irradiano “Snob” che, sia nei fatti che nelle intenzioni, si presenta come un lavoro elitario e ricercato. Ad aprire le danze è la grinta giocosa di “Si sposa l’Africa”: una terra acerba adornata a festa con monili di legno saluta ed introduce “Donna dal Profumo di caffè”, un brano sornione e sensuale, inebriato da pensieri d’amore e dai vocalizzi dello stesso Conte che, a più riprese, si diletta ad utilizzare la sua stessa voce come un vecchio trombone.

Paolo Conte Ph Alessandro Menegatti

Paolo Conte Ph Alessandro Menegatti

Gli appassionati echi di migranti di “Argentina”, le erre arrotate del dandy che irrompe tra i provinciali della title track “Snob” si accompagnano ai ritmi swing e retrò di “Tropical” contrapponendosi in maniera piuttosto decisa al mood solitario ed intimista di “Fandango”. Surreale è la magica storyline di “Incontro”, riscaldata dal pathos e dall’intensità di “Tutti a casa”: “bimba, tu non sai tutto il freddo che ho nel mio cuore”, canta Paolo Conte, tra respiro che illude e caldi mugolii d’amore. L’imponenza ed il carisma dell’ assolo al sax in “L’uomo specchio”illumina e arrotonda gli spigoli delle tracce più introverse mentre le clessidre del ritmo di “Maracas” lasciano che lo spirito ripiombi in un vortice nostalgico. Piedi, mani, sguardi e anime si incrociano in “Gente” (CSIDN) mentre i sogni e le visioni di “Glamour” prendono nuovamente le distanze dal genere umano con un certo vigore. Originale e controverso il racconto proposto in “Manuale di conversazione”: un camionista peruviano dà un passaggio ad una donna dall’idioma indecifrabile testimoniando un fallimentare tentativo di comunicazione. A chiudere l’album sono le metaforiche “Signorina saponetta” e “Ballerina”, tangibili testimonianze di visioni artistiche eleganti e classicheggianti attraverso cui Paolo Conte si riconferma instancabile esploratore di geografie esistenziali e sentimentali.

Raffaella Sbrescia

Acquista “Snob” su iTunes

Video: ” Tropical”

Queste le prime date del tour:

25 Ottobre 2014 Legnano Teatro Galleria
30 Ottobre 2014 Bologna Teatro Europauditorium
9 Novembre 2014 Munchen(D) Philarmonie
11 Novembre 2014 Barcelona(E) Auditori
20 Novembre 2014 Parma Teatro Regio
27,28,29 Novembre 2014 Milano Conservatorio Verdi
4,5,6 Dicembre 2014 Roma Teatro Sistina
26,27 Gennaio 2015 Paris (F) Le Grand Rex
27,28 Febbraio 2015 Amsterdam Theater Carré
14 March 2015 Frankfurt (D) Alte Oper
16 March 2015 Vienna (A) Konzerthaus
30 March 2015 Genova Teatro Carlo Felice

DiscoDays 2014: una tredicesima edizione da record

Discodays 2014 ph Luigi Maffettone

Discodays 2014 ph Luigi Maffettone

Grande successo per la tredicesima edizione del DiscoDays, il consueto appuntamento con il disco e con il vinile che, per l’occasione, si è spostato dalla Casa della Musica al vicino e più grande Teatro Palapartenope di Napoli. Oltre centomila dischi in vendita, etichette indipendenti e note realtà operanti nel settore della musica, insieme a decine di  espositori, incontri, presentazioni di nuovi progetti musicali, mostre artistiche e diverse memorabilia hanno incuriosito e soddisfatto migliaia di appassionati di musica e vinili. Condotto, come ormai di consueto, dallo speaker e programmatore musicale Gigio Rosa, il Discodays è stato inaugurato dall’ultimo lavoro discografico dei Pennelli di Vermeer, il concept album “NoiaNoir” (Marotta & Cafiero),  musicalmente trasversale i cui testi denunciano in chiave ironica la speculazione attuata dal “sistema dell’informazione” intorno ai casi di cronaca nera. La presentazione è avvenuta contestualmente a quella del recentissimo album – settembre 2014 - “Dramedy” degli The Shak & Speares (Freak House) band folk-rock, che ha già calcato il main-stage del Neapolis Festival.

DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

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Subito dopo l’interessante dibattito incentrato sul tema  “L’evoluzione della musica: prima e dopo internet”, a cura dell’Associazione Nazionale Sociologi,  c’è stata la consegna del Premio DiscoDays  al celebre musicista, cantautore e percussionista italiano Tony Esposito per la sua versatilità ritmica,  perfetto connubio tra world music, etnica, funk e jazz. In occasione del ritiro del premio, l’artista ha presentato in anteprima “Kostabeat!” (Azzurra Music), il lavoro discografico realizzato in collaborazione con il pittore e compositore americano Mark Kostabi.  Altro importante e consueto riconoscimento attribuito in ogni edizione di DiscoDays è il Premio Rete dei Festival, in collaborazione con la principale rete dei festival italiani ed il MEI che, quest’anno, è stato consegnato a JFK e la Sua Bella Bionda. Le live session sono poi proseguite in serata con La Pankina Crew, la band nata e cresciuta nella periferia Est di Napoli e con i Titoli di Coda,  che hanno recentemente pubblicato il debut album “Stanza223″ (Full Heads). Ad arricchire l’ampia offerta proposta al pubblico, la mostra interamente dedicata al Festival della Canzone Napoletana a cura del super esperto Antonio Sciotti, la mostra artistica curata dal pittore rock Alessandro Ferrara, considerato uno dei precursori di una particolare tecnica di pittura sul disco in vinile e la mostra fotografica “Musica a Scatti”, giunta ormai alla sua quarta edizione, vinta dal fotografo Daniele Cambria che sarà il protagonista di una mostra a lui dedicata, in occasione della prossima fiera, il 29 marzo 2015.

Fotogallery a cura di: Luigi Maffettone

DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

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“In Diverso Canto”: a Napoli suoni, rituali e racconti dal mondo

IN_DIVERSO_CANTO

Tutto pronto per “In Diverso Canto”, la rassegna ideata e diretta da Gigi Di Luca nata dall’esperienza ventennale del festival Ethnos, organizzata da La Bazzarra e presentata dal Forum Universale delle Culture di Napoli e Campania. Suoni, rituali, racconti e danze senza tempo, dall’Africa all’Asia, dal Medio Oriente ai Balcani daranno voce alle tradizioni secolari e storie di lotta, canti autentici e di rivalsa, liturgie sonore e popolari. Sono sette gli spettacoli in programma dal 12 ottobre al 2 novembre nel Villaggio del Forum presso la Mostra d’Oltremare di Napoli, contenitore creato ad hoc per tracciare un ideale percorso stilistico tra musiche, culture e linguaggi apparentemente lontani. Ad inaugurare la rassegna domenica 12 ottobre all’esterno dell’Arena Flegrea (ingresso via Terracina) sarà il New Trio del compositore e pianista cubano Omar Sosa, accompagnato dal pluripremiato trombettista tedesco Joo Kraus e dal percussionista venezuelano Gustavo Ovalles. La musica del combo, sospesa tra jazz, elettronica, etnica e contemporanea, creerà un’atmosfera magica originata dall’esperienza di ciascuno dei musicisti e dall’espressione delle loro differenti radici musicali.

Cuban composer and pianist Omar Sosa.

Il 13 ottobre al Teatro Mediterraneo (ingresso piazzale Tecchio)andrà in scena Al-Kindi, uno dei migliori ensemble di musica classica araba, che accompagnerà le suggestioni dei siriani Dervisci Rotanti di Damasco in uno spettacolo evocativo e ipnotico. Una sintesi perfetta tra ricerca spirituale, danza e canto. Sabato 18 ottobre ritornerà a Napoli Moni Ovadia: il drammaturgo, scrittore e cantastorie originario di Plovdiv con la sua Stage Orchestra presenterà, sempre al Teatro Mediterraneo, il recital “Senza confini. Ebrei e zingari”. Un concerto-spettacolo fatto di racconti e sonorità klezmer, di storie rom, sinti e melodie dell’est Europa. Il giorno seguente Seun Kuti & Egypt 80 porterà sul palco allestito all’esterno dell’Arena Flegrea sonorità tipiche della più ricercata black music, fatta di ritmi incalzanti, new soul, rap, funk e testi battaglieri. Il figlio del Fela Kuti – rivoluzionario musicista e attivista nigeriano, inventore dell’afrobeat – accompagnato dai 12 musicisti della più travolgente macchina ritmica dell’Africa tropicale, presenterà l’ultimo album “A long way to the beginning”.

moni-ovadia

Moni Ovadia

Come il padre, Seun lotta con la musica per l’affermazione del proprio popolo. Lunedì 20 al Teatro Mediterraneo, invece, andrà in scena “Donne d’Oriente”. Un affascinante connubio di danza e musica nel quale Sonia Sabri, accompagnata  da Sutapa Dey e Sarvar Sabri, esplorerà le radici del kathak, una danza tradizionale che unisce elementi hindu e islamici, diffusa nell’India settentrionale tra Uttar Pradesh, Rajasthan e Madhya Pradesh. In apertura, l’esibizione del duo coreano S:um, ovvero Jiha Park (piri, saenghwang, yanggeum) e Jungmin Seo (gayageum). Il 30 ottobre Trilok Gurtu renderà omaggio a Don Cherry col suo nuovo progetto “Spellbound”Ad accompagnare il virtuoso percussionista indiano sul palco del Teatro Mediterraneo ecco Frederik Köster alla tromba, Jonathan Ihlenfeld Cuniado al basso e Tulug Tirpan al pianoforte e tastiere. Gran finale il 2 novembre con un’icona della musica sudafricana e della lotta contro l’apartheid: Hugh Masekela.

Hugh Masekela

Hugh Masekela

Il leggendario trombettista e cantante classe 1939 vincitore di due Grammy Awards, in oltre 50 anni di carriera ha esplorato le melodie tradizionali e i ritmi della sua terra riversando nella sua arte sia i colori del jazz che il pop occidentale, inventando di fatto la world music. Nella sua unica data italiana, al Teatro Mediterraneo, presenterà un live set che racchiude il meglio del suo straordinario percorso artistico che ha segnato la storia del continente nero. “In Diverso Canto” è il progetto che il festival Ethnos ha pensato per il Forum delle Culture’ sottolinea il direttore artistico Gigi Di Luca. Un attraversamento culturale che va dal Sud America al Medio Oriente passando per i Balcani, l’Asia e l’Africa. Un Unico Canto di pace intonato a più voci, con più stili e in differenti religioni. Un diverso canto per un diverso futuro d’integrazione e di unione tra i popoli.

Intervista a Kìmel: Scrivere è un’esigenza che mi consente di “scavare dentro”

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La cantautrice-chitarrista cremonese Kìmel presenta “Distanti”, un brano autobiografico dalle sonorità pop rock, scritto e arrangiato da lei stessa e che anticipa l’uscita del disco, prevista per l’inizio del prossimo anno. Autrice e compositrice inquieta e particolarmente attenta al dettaglio, Kìmel propone un rock intimista, dal piglio immediato. In questa intervista la giovane artista ci accompagna alla scoperta del suo mondo fatto di note imprevedibili ed appassionate.

Kìmel, sei cantautrice e musicista diplomata in Conservatorio in Chitarra e Pianoforte. Quali caratteristiche di questi due strumenti rispecchiano maggiormente la tua personalità?

Entrambi influenzano notevolmente la mia personalità artistica. La chitarra elettrica rappresenta ‘l’alternativo” ovvero la mia inspirazione rock mentre il pianoforte rappresenta la classicità musicale che mi ha formata e continua ad essere fortemente presente.

In che modo la città di Cremona influenza i tuoi ascolti e i tuoi riferimenti musicali?

Cremona mi ha cresciuta per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Ha influenzato i miei studi, ho respirato la sua tradizione musicale, che ho amato e da cui ho attinto molto . Si tratta di un’ impronta dominante.

Il tuo rock è molto personale, teso e viscerale… cosa intendi comunicare attraverso le tue composizioni?

Le mie composizioni raccontano ciò che vivo, ho vissuto e sento. Scrivere è un’esigenza che mi consente di “scavare dentro” … Ancora oggi mi aiuta a conoscermi, ad esplorare ciò che ancora è inesplorato.

Cosa ti dà e cosa ti toglie l’esibizione live?

Il live a mio avviso aggiunge sempre, difficilmente toglie. Personalmente è il mezzo più immediato che conosca per emozionare ed emozionarsi.

“Distanti” è il tuo nuovo singolo, in cui il niente pare essere il protagonista assoluto, è davvero così o c’è dell’altro?

Il “niente” è il vero protagonista del brano. Ho cercato di descrivere la sofferenza che causa l’incomunicabilità, quel sapore amore in cui tutto è vano ed ogni sforzo risulta “contro corrente”.

kimel

La tua voce potente travolge l’ascoltatore con intensità. Nel caso specifico di questa canzone, il tuo canto lascia trasparire una sensazione di drammatica disperazione…Ci racconti da dove nasce questo testo e quali suggestioni intende ispirare nell’animo altrui?

Sono una visionaria, mi avvalgo di immagini quando compongo. In “Distanti” l’immagine del “niente” ha preso il sopravvento. La consapevolezza che tutto è andato perso, è una sofferenza molto più dolorosa del non aver mai avuto nulla. Ho cercato di esprimere la profonda amarezza con il testo mentre ho volutamente discostato l’arrangiamento verso tinte molto più morbide,  “cautamente” solari e serene.  Questo per sottolineare ancora maggiormente quanto sia destabilizzante e in disequilibrio l’immagine contraddittoria del “niente”.

Questo brano anticipa il nuovo album in uscita il prossimo anno… cosa puoi anticiparci di questo lavoro? Come e con chi ci stai lavorando su?

Sarà un album in cui i veri protagonisti saranno i suoni, i silenzi ed il rock. I brani sono arrangiati da me, per cui mi avvalgo della mia collaborazione (ride ndr)

Quali sono le altre tue passioni e gli eventuali progetti paralleli?

Non ho altre passioni che non siano strettamente collegate alla musica, per cui i miei progetti restano totalmente indirizzati ad essa. Avrei un sogno più che un progetto: poter vivere di musica con la musica. Chiedo molto vero??!!

Raffaella Sbrescia

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Classifica FIMI: Fedez scalza Fabi-Silvestri-Gazzè e Subsonica

“Pop-Hoolista”, il nuovo album di Fedez.  La recensione

“Pop-Hoolista”, il nuovo album di Fedez. La recensione

Fedez conquista subito la vetta della classifica FIMI/GFK degli album più venduti della settimana in Italia con “Pop-Hoolista”. Al secondo posto troviamo il trio Fabi-Silvestri-Gazzè con “Il padrone della Festa” mentre i Subsonica scendono in terza posizione con “Una nave in una foresta”. Alle loro spalle c’è “Strut” di Lenny Kravitz mentre la prima new entry della settimana è Red Canzian (Pooh) con il nuovo album di inediti intitolato “L’istinto e le stelle”. Sesti i Modà con “Gioia. Non è mai abbastanza” mentre Francesco Renga è settimo con il suo “Tempo reale”. All’ottavo posto scopriamo Leonard Cohen con “Popular Problems” mentre la seconda new entry della settimana è Prince con “Art official Page”. Chiudono la top ten i Club Dogo con “Non siamo più quelli di Mi Fist”.

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