Sanremo 2018: la terza serata vince gli ascolti ma le pecche sono comunque tante. Le pagelle

Baglioni - Negramaro

Baglioni – Negramaro

Ok, gli ascolti della terza serata del Festival di Sanremo 2018 sono da record. Uno share del 51.6 per cento sancisce il consenso degli spettatori ma, attenzione, questo dato non implica che il commento alla puntata debba essere per forza di tipo celebrativo. Anzi.
Purtroppo bisogna dirlo: questo Sanremo si sta trasformando in un concerto di Claudio Baglioni suddiviso in 5 serate. Ad intervallare le sue esibizioni, una serie di gag e scenette veramente grottesche. Su tutto spicca l’imbarazzante omaggio alle donne fatto da Michelle Hunziker e il finto malore di Memo Remigi. Non si capisce perchè si debba scimmiottare la tv del dolore in un contesto che dovrebbe proporsi come fonte di intrattenimento culturale di alto livello. Come sapete in questa sede ci si occupa del fronte musicale del festival ma certi aspetti non possono essere ignorati, da una macchina come quella sanremese ci si aspetta rispetto della storia italiana nonchè dell’impostazione culturale per cui diverse generazioni hanno lottato. Il Festival di Sanremo non è un semplice programma di intrattenimento, la kermesse è lo specchio del nostro paese e non ci può permettere di mettere in piedi certi siparietti così ridicoli e di cattivo gusto.

Dal punto di vista musicale, i momenti salienti della serata sono relativi alla buonissima esibizione dei Negramaro che hanno ricordato “Mentre tutto scorre” in versione acustica, hanno presentato il nuovo singolo “La prima volta” e hanno omaggiato Baglioni con una sentita interpretazione di “Poster” da parte dell’emozionato Guliano Sangiorgi.
Raffinato il duetto di James Taylor con Giorgia sulle note di “You’ve got a friend”. Prezioso il momento dedicato al pianista Danilo Rea e a Gino Paoli. I loro omaggi a De Andrè e Umberto Bindi sono stati molto emozionanti.

Sul fronte nuove proposte: Mudimbi (vincitore del premio Assomusica) intrattiene il pubblico con mille moine, Eva Pevarello prova a rimettere in piedi la sua carriera, Ultimo mette un’importante ipoteca sulla probabile vittoria, Leonardo Monteiro spicca con la sua voce ma l’attenzione viene irrimediabilmente distolta dal colore rosato del fondotinta con cui l’hanno truccato.

Le canzoni dei big ormai le conosciamo ma, come sempre accade, il secondo ascolto è quello che regala la possibilità di cogliere sfumature e dettagli sfuggiti in prima battuta.
Migliora l’intonazione di Giovanni Caccamo. La sua “Eterno” celebra il sentimento incondizionato in modo elegante e raffinato. Voto 6

Lo Stato Sociale è sicuramente favoritissimo, il brano “Una vita in vacanza” è furbo, il testo è grottescamente attuale e la melodia è catchy. Rimane capire come sarebbe la loro esibizione senza il fenomeno da baraccone sul palco. Voto 5

Luca Barbarossa con “Passame Er Sale” rientra in una categoria cantautorale di stampo superiore. Altra scuola, altra stoffa. (Un filino logorroico a fine esibizione) Voto 7

Stesso discorso per il duo Enzo Avitabile/Peppe Servillo: “Il coraggio di ogni giorno” mette in risalto una matrice mediterranea che profuma di magia e bellezza ma anche di quotidiana disperazione. Un regalo immeritato al pubblico generalista. Voto 8

Complimenti anche a Max Gazzè che, con “La leggenda di Cristalda e Pizzomunno”, regala nuova linfa al folklore di origini antiche. Che gioia vedere l’esaltazione della lingua italiana e dell’Orchestra Sinfonica. Un balsamo per lo spirito Voto 8

Pessima l’esibizione di Roby Facchinetti e Riccardo Fogli con “Il segreto del tempo”: non c’è chimica, non c’è intonazione, non c’è più fiato per cantare. Dopo mezzo secolo sul palco è il caso di pensare quanto possa valere ancora la pena rimanerci se non ci sono più i mezzi per farlo al meglio. Voto 3

Ermal Meta e Fabrizio Moro sono i super favoriti del Festival. Il fatto è conclamato. Di base “Non mi avete fatto niente” è un bel brano e, dopo la bagarre regolamentare, la loro interpretazione è nettamente migliorata su tutti i fronti. Voto 7

Noemi osa con il suo vestito e si conferma graffiante e determinata con “Non smettere di cercarmi”. Avanti così Voto 6

I The Kolors hanno il brano più scenografico da interpretare. Saranno un sicuro successo radiofonico anche se, a dirla tutta, il testo non si capisce neanche più di tanto. Voto 4.5

Sempre più incompreso Mario Biondi e la sua “Rivederti”. Il Festival non è assolutamente il posto giusto per la sua raffinata ricercatezza Voto 6

Raffaella Sbrescia

Sanremo 2018: Baglioni annuncia un Festival purista e popolar-nazionale

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Un Festival di Sanremo purista e non populista è quello che si terrà a Sanremo dal 6 al 10 febbraio 2018 in onda su Rai Uno. Per l’edizione numero 68, Claudio Baglioni direttore, autodefinitosi dittatore della kermesse, sceglie un’intelaiatura fissa, solida e impossibile da scalfire: la canzone italiana sarà infatti, forse finalmente, al centro della scena. Al suo fianco, Michelle Hunziker e Pierfrancesco Favino che si avvicenderanno in una conduzione di gruppo senza prime donne.

Fa riflettere l’intento, ampiamente dichiarato, di riportare la melodia Made in Italy al centro della scena. No agli scimmiottamenti, no alle brutte copie dei successi d’oltreoceano anche se la nota stonata c’è. Scegliere di imporre ai cantanti ospiti di “cantare qualcosa di matrice italiana” non sembra un’idea vincente per i più disparati motivi. Il focus sulla canzone italiana è sacrosanto ma il troppo, come sempre, rischia di stroppiare, e pure parecchio.

Sanremo 2018

Sanremo 2018

Un festival popolar-nazionale, dunque, è quello che Baglioni sta mettendo in piedi. Cinque serate che daranno tanto spazio ai 28 brani in gara che, quest’anno, dureranno ben 4 minuti ciascuno. No alle eliminazioni e alle cover, no ai cantanti freschi di talent show, no alle star di Hollywood. Insomma Baglioni ha fatto diversi tagli col passato, ha abbracciato a pieno titolo il ruolo di timoniere, ha voluto definire in modo marcato un’impronta purista, forse arcaica e non troppo conscia del potenziale dettato dai gusti del pubblico più giovane, ma bisogna riconoscere che la sua, anche se solo sulla carta, è già un’impresa: recuperare la tradizione della musica popolare italiana che, negli anni d’oro ha saputo fare davvero la differenza.

Raffaella Sbrescia