Mercoledì Note: il Pietro Santangelo trio nella culla della cultura partenopea

Ph Luigi Maffettone

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Continuano gli appuntamenti musicali della rassegna “Mercoledì note”, in programma fino al prossimo ottobre presso il Caffè Letterario Intra Moenia di Piazza Bellini a Napoli. Sulla veranda del ritrovo culturale del centro storico partenopeo il Pietro Santangelo trio, una versione riveduta e corretta del gruppo jazz-rock Slivovitz, considerato, ormai a pieno titolo, una delle realtà più interessanti dello scenario musicale indipendente nazionale. Vincenzo Lamagna (basso), Salvatore Rainone (batteria), Pietro Santangelo (sassofoni), con la straordinaria partecipazione di Ugo Santangelo, hanno mostrato tutta la loro verve mediterranea attraverso la loro musica intrisa di influenze etniche, fusion e prog rock, una potente miscellanea strumentale in cui immergere i sensi e lo spirito.

Fotogallery a cura di: Luigi Maffettone

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“The New classic”, Iggy Azalea accresce le quote rosa del rap

Iggy Azalea_Cover album_The New Classic_300CMYK_mDefinita la nuova rivelazione del rap, la 23enne australiana Iggy Azalea è già da qualche tempo al centro dell’attenzione mediatica. “The New Classic” è il presuntuoso titolo del suo album, pubblicato in Italia lo scorso 29 aprile. Aldilà dei paragoni e delle supposizioni, entriamo nel dettaglio di questo album per capirne i testi e le intenzioni. Attraverso la fusione tra elettronica ed hip hop, Amethyst Amelia Kelly rappa con grinta, sicurezza e padronanza delle parole. Veloce, diretta ed immediata, la Azalea scrive testi espliciti, spesso incentrati su se stessa e sul proprio tortuoso percorso che sì, non è quello di una ragazza tormentata del ghetto, ma è reduce da una serie di percorsi ad ostacoli, prontamente aggirati, in nome di un sogno chiamato rap. Nel passaggio da mixtape a mainstream, Iggy si è, forse, allontanata dalle intenzioni iniziali, lasciando che questo progetto slittasse un po’ oltre i confini, avvicinandosi ad una realtà musicale più addomesticata e piaciona. “No money, no family/ 16 in the middle of Miami” è stato uno dei versi hip hop più azzeccati dell’anno scorso e “Work”, primo singolo estratto dal debutto di Iggy Azalea, featuring di T.I., ha subito impressionato critica e pubblico. Quello che, però, non ci ha convinto è l’eccessiva faciloneria dei ritornelli che rompono, irrimediabilmente, la tensione costruita dalle strofe e dalle rime interessanti costruite dalla stessa Azalea.

Iggy Azalea_Photo_Work_300CMYK_2_mAd aprire il disco è “Walk The Line”: un brano midtempo vibrante, autoreferenziale e pretenzioso, tuttavia incoraggiante. A seguire “Don’t Need Y’All”: forte e sicura di sé, Iggy sconfessa tutti  aggiungendo un graffiante tassello autobiografico a questo debut album. “100” feat. Watch The Duck è il terzo brano del disco, uno string di chitarra acustica mandato in loop e la voce folk country dell’artista in featuring ci proiettano al centro di un sentiero diverso, fuorviante. “Change Your Life” feat. T:I. rappresenta la testimonianza diretta di un forte feeling artistico tra i due anche se è “Fancy” il brano più apprezzato dal pubblico. Accompagnata dalla vocalist Charli XCX, Iggy si è lanciata alla conquista del mercato con questo brano dal ritornello contagioso e catchy: il compromesso che ci voleva per sfondare la barriera della diffidenza. La contaminazione tra rap, pop e dance è, però, una delle formule più rischiose e i risultati non sempre si rivelano innovativi, un chiaro esempio di questa verità è riscontrabile in “New Bitch”. “Nothing is impossible” è, invece, l’emblematico titolo di un brano suggestivo e coinvolgente, ancora una volta incentrato sulla vita di Iggy. Tanta, troppa autoreferenzialità in questo album che prosegue con “Goddess” e “Black widow”, cantata in duetto con Rita Ora, e “Fuck Love”: se non si era capito Iggy è da sola al centro del suo universo. Arriviamo alle bonus tracks: la commercialissima “Bounce”, la più rilassata “Rolex, e “Just Askin’” non aggiungono e non tolgono nulla ad un disco che, inserendosi in un ampia fetta di mercato, è riuscito a stabilizzare la credibilità artistica di una ragazza dal forte temperamento e con le carte in regola per costruire un percorso sicuramente interessante. Le quote rosa del rap sono in espansione. Stay tuned.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Fancy”

Intervista a Romina Falconi: “Sono imprenditrice di me stessa”

Attraverso_EP_cover b (2)Energica e spontanea, Romina Falconi è una cantautrice romana che, all’amore per la forma canzone tradizionale, associa una vena sperimentale fresca ed innovativa. Dopo le prestigiose esperienze, vissute anche in qualità di corista, nell’ “Ali e Radici World Tour” di Eros Ramazzotti e al fianco di altri importanti personaggi del mondo musicale italiano, Romina ha scelto di mettersi in gioco con una trilogia di ep davvero molto promettente, insieme al produttore Filippo Fornaciari alias The Long Tomorrow, nuovo interessante nome della scena dubstep-elettronica italiana. Abbiamo raggiunto Romina al telefono per lasciarci conquistare dalla sua personalità forte e schietta al contempo; imprenditrice di se stessa, Romina Falconi ha le idee molto chiare sul da farsi e si è già rimboccata le maniche per raggiungere gli obiettivi che si è prefissata.

“Attraverso” è il secondo capitolo della trilogia intitolata “Certi sogni si fanno attraverso un filo d’odio”… Ci spieghi il significato del titolo di questa trilogia…il perché della suddivisione in 3 capitoli e i temi che affronti nei 5 brani di questo secondo ep?

Avevo tantissimo da scrivere e, pur avendo la possibilità di far uscire un disco, ero consapevole di quali fossero le operazioni discografiche che mi aspettavano perciò mi è venuta in mente questa cosa un pochino rivoluzionaria. L’idea è quella di provare a fare tre mini album e spalmarli nel tempo, facendo lo stesso anche con la successiva promozione: fare bene i videoclip, farne uscire più di uno. Visto che non sono un artista famosa, ho deciso entrare in questo mondo in punta di piedi e soprattutto a modo mio. Pur non avendo un budget stellare e senza una produzione holliwoodiana, siamo riusciti a raggiungere degli ottimi risultati, questo testimonia che l’importante è fare un lavoro dignitoso con i mezzi che si hanno a disposizione. Un pò di rivoluzione ci vuole, mi sono detta facciamo il nostro e troviamo un modo originale per farlo. In base a questo ragionamento ho suddiviso anche i brani che avevo scritto. In “Certi sogni si fanno” descrivo quello che sono, senza mezze misure, ho scelto le produzioni più estreme per far vedere come io mi approccio al mondo in generale. “Attraverso”, invece, è l’ep dei segreti, in cui si va più a fondo per far vedere quello che provo, quello che desidero. Infine in “Un filo d’odio” ci sarà il rischio vero perchè, dopo essermi presentata, dopo aver fatto vedere quello che ho dentro, ci saranno i pensieri taciuti e cose politicamente scorrette… ci saranno un po’ di sorprese a riguardo.

Il testo di “Circe” è particolarmente tosto ed immediato… queste caratteristiche rispecchiano anche la tua scrittura e la tua personalità?

Sì assolutamente! Partendo dal presupposto che adoro la musica italiana, ho molto da ridire sul pensiero comune che la donna debba sempre lanciare dei messaggi molto puliti, semplici. Io voglio raccontare anche la parte scomoda di noi donne, mi piace dire delle cose, che di solito non si dicono, ma che sono assolutamente reali.

Sei un artista piuttosto poliedrica, hai prestato la tua voce a diversi generi musicali… quale senti quello più vicino a te?

Mi piacciono gli ibridi, se dovessi cantare un lentone con lo stesso vestito che conosciamo, con gli arrangiamenti di sempre, non riuscirei a rendere al meglio, come invece faccio, quando, per esempio, faccio un pezzo soul e ci metto su un arrangiamento new wave. Ho notato che sto bene con l’elettronica perché possiede una miriade di colori e sfumature.

Come hai lavorato con Filippo Fornaciari?

Filippo Fornaciari è un pazzo visionario, amico fraterno, ormai. Ci conoscevamo da tempo ma non abbiamo mai lavorato insieme, ci siamo incontrati in studio per mettere delle voci su un suo progetto. Filippo non ascolta musica italiana ed è predisposto a fare cose estreme, io che, invece, adoro la musica tradizionale, ho pensato che sarebbe stato molto bello scrivere dei pezzi con lui che mi proponeva di stravolgerli: due mondi avulsi che si incontrano. Avevo paura di una cultura musicale diversa dalla mia, siamo stati 6 mesi a cercare soluzioni, sembravamo dei pazzi ma poi, nata la prima canzone, ogni giorno abbiamo fatto qualcosa che è poi diventato definitivo. In sintesi, trovare la formula giusta è stato molto difficile poi però, una volta capito il senso di quello che volevamo, non ci siamo più abbandonati.

Romina Falconi

Romina Falconi

Ci parli del forte legame di amicizia che ti lega ad Immanuel Casto e della collaborazione nel brano intitolato “Eyeliner”?

“Eyeliner” è nata perché io sono cresciuta con una vicina di casa trasgender, si chiama Gio e mi ha aperto un mondo facendomi capire le difficoltà del suo di mondo. Quando ho scritto questo brano ho pensato a questo tema così delicato, il testo parla di tutte quelle persone che ne hanno passate di ogni ma che, nonostante tutto, non hanno perso quello che hanno dentro. Quando ho scritto “Eyeliner” ci tenevo moltissimo, non volevo solo descrivere il mondo dei trans, l’ho dedicata a Gio ma mi son detta: “chi vuol capire, capisce… chi ha provato certe cose, può capire.. .”  In seguito mi sono rivolta ad Immanuel Csto, che adora i pezzi loschi, anche quelli più ambigui, in cui non è necessario spiegare tutto per bene. Il risultato, con l’inserimento della sua voce, mi è piaciuto tantissimo; lui è il mio Albano. Immanuel è la persona con cui sto crescendo artisticamente, è l’artista che amo di più, ha un coraggio invidiabile, che è quello di mostrarsi per come è, senza tornare indietro. Crescere insieme a lui è bellissimo poi stiamo diventando sempre più amici, questo è il terzo featuring che facciamo, ormai è un sodalizio, lui è un mio compagno artistico. Sono fiera di avere accanto lui come maestro, complice, compagno di viaggio anche se tante volte mi fa sentire una piccola Bridget Jones.

A proposito di questo brano, com’è stato partecipare alla Giornata Internazionale contro l’omofobia?

Essendo cresciuta con Gio che, oltre a mia madre, ha rappresentato una figura molto importante nella mia crescita, ci tengo tanto a far capire che non se ne può più. Bisogna far qualcosa, ho pensato di postare una foto su instagram con su scritto: “Si scrive omofobia, si legge basta”. Questo è un argomento che mi sta a cuore soprattutto per colei che ero solita chiamare  “la mia mamma col distintivo”. Non riesco a capire perché ci siano ancora episodi omofobi, se ci pensiamo basterebbe così poco per vivere tranquilli e andare d’accordo. Purtroppo invece no, sembra quasi che quello che per noi è diverso ci fa talmente paura da essere aggredito. Adesso, con la vittoria di Conchita Wurst all’ Euro Song Contest 2014, bisognerà  trovare il modo per farne parlare ancora di più. Sono convinta che ce la faremo, così come le donne sono riuscite a fare delle rivoluzioni immense, si riuscirà a debellare l’omofobia una volta per tutte. Chiedo anche agli altri di esprimere solidarietà e fare qualcosa, secondo me se ci fosse un  uomo, etero, uno forte, famoso, che si schierasse contro l’omofobia sarebbe un fatto mediatico di notevole risonanza.

Come ti sei trovata durante le riprese del video di “Attraverso”?

Io adoro il regista Luca Tartaglia, anche lui è una persona che considero amica e che mi accompagnerà ancora per tutto questo percorso. Luca parte ogni volta da una mia idea, perché avendo scritto io i testi delle canzoni, partiamo da quello che è venuto in mente a me e magari costruiamo il video su quello. Per il video di “Attraverso” mi sono fatta cucire da mia madre questo vestito per avere un look senza tempo, non volevo appartenere a qualche sponsor o avere i soliti vestiti addosso, mi immaginavo uno scenario piuttosto apocalittico. Stavolta interpretavo il ricordo, lo staff è stato bravissimo a realizzare ogni volta i miei pensieri. La cosa più divertente del video è stata rompere tutto, piatti, bicchieri. Mi piace molto essere teatrale, questa cosa all’inizio non la sopportavo, poi ho cominciato a farmela piacere e a mettere questa teatralità anche in musica. Se non lo faccio adesso che sono imprenditrice di me stessa, non lo farò mai più.  Per me ora è come stare dentro un sogno e, avere delle persone accanto che mi permettono di sperimentare, è davvero bellissimo.

Come hai vissuto l’esperienza da corista con Eros Ramazzotti e quali sono gli insegnamenti che ne hai tratto?

Dal tour di Ramazzotti ho imparato che la famosa frase “The show must go on” è vera, l’importante è fare bene sul palco e dare il massimo. Questo mi ha insegnato molto, anche il fatto di avere ogni sera un pubblico diverso, di paesi diversi, mi ha fatto mettere  in gioco anche in questo senso. Eros stesso, all’epoca mi diceva che non vedeva l’ora che io smettessi di fare la corista per seguire il mio sogno. Ora, finalmente, è giunto il momento: stiamo cercando di studiare la soluzione live più adatta a me e alle mie canzoni… Vorrei creare lo stesso palco in ogni posto e, quando comincerà il tour, che stiamo organizzando, anche insieme a Barley, vorremmo fare in modo che ovunque ci sia sempre lo stesso palco, come se noi ci teletrasportassimo tutti. In ogni caso vedo l’ora di far ascoltare le mie cose al pubblico.

Si ringraziano Romina Falconi e Marta Falcon per Parole e dintorni

Raffaella Sbrescia

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Video: “Attraverso”

Maggio della Musica: grandi emozioni con il Quartetto d’Archi del Teatro di San Carlo

Quartetto d'Archi del Teatro di San Carlo

Quartetto d’Archi del Teatro di San Carlo

Lo scorso 29 maggio la veranda neoclassica di Villa Pignatelli a Napoli ha ospitato il concerto del Quartetto d’Archi del Teatro di San Carlo. L’evento, organizzato dall’associazione musicale Maggio della Musica, ha visto protagonisti del palco Cecilia Laca (violino), Luigi Buonomo (violino), Antonio Bossone (viola), Luca Signorini (violoncello). I quattro professionisti hanno proiettato il pubblico indietro nel tempo, regalando ai sensi e allo spirito una parentesi all’insegna della qualità e della classe. Temprati dal rigore, dalla disciplina, dallo studio e dall’esperienza, i quattro musicisti hanno estasiato il pubblico con la cura per il dettaglio, il vigore , la gestualità e la sintonia di chi riesce ad intendersi anche solo attraverso uno sguardo. Spartiti dal fascino senza tempo sono quelli scelti dal quartetto d’archi: ad inaugurare il concerto, il “Langsamer Satz für Strichquartett” di Anton Webern, una composizione emblematica e rappresentativa della produzione di Webern, membro di un contesto storico mittleuropeo strutturato in maniera eterogenea e complessa. Fortemente legato al vissuto privato del compositore, questo brano è dotato di forte lirismo espressivo. Il secondo momento musicale della serata prende vita sulle note del “Quartetto per archi in do minore n.8 op.110″ di Dmitrj Šostakovič. Il brano fu composto in appena 3 giorni  (12-14 luglio) a Dresda, provocando una forte emozione anche nello stesso autore. Caratterizzato da frequenti cambi repentini di ritmo, il brano ha potere di sortire un forte effetto perturbante: la crisi, il dubbio, l’incertezza, il patimento, l’incubo, il tormento sono gli elementi che raffiorano alla mente suscitando un’immediata ed estatica ammirazione. La delicatezza e la grazia di Maurice Ravel emergono, invece,  in “Quartetto per archi in Fa maggiore”, una composizione che trasforma la musica da camera in uno strumento per viaggiare. Scherzi in successione, virtuosismi e pizzicati toccano le corde del cuore in maniera ipnotica. Ogni momento è quello buono per lanciarsi in apnea in un ascolto che non conosce distrazioni. Superbo.

Raffaella Sbrescia

“Duri come me”, Levante estrae il quarto singolo dall’album “Manuale distruzione”

levante“Duri come me” è il quarto singolo estratto da “Manuale Distruzione”, l’album che la cantautrice siciliana Claudia Lagona, in arte Levante,  ha pubblicato lo scorso marzo per Inri, l’etichetta di Davide Pavanello, riscuotendo una notevole e meritata attenzione. Dotata di una personalità originale e allo stesso tempo mai troppo fuori gli schemi, Levante scrive con sottile ironia e pungente cinismo. La sua voce, pulita e raffinata, ha riscosso un particolare interessamento da parte del pubblico e degli addetti lavori, anche grazie alla grinta con cui Claudia è solita esibirsi dal vivo. A proposito del singolo “Duri come me”, il cui videoclip ufficiale è stato pubblicato in esclusiva su Vevo e girato da Marco Cremascoli, Levante accompagna un testo importante ad un arrangiamento minimal, in cui è la batteria a dettare i ritmi di una marcia simile ai passi da compiere nella vita.

Levante ph Corrado Murlo

Levante ph Corrado Murlo

Uno sfogo ed un mantra quotidiano, “Duri come me” è un brano sinceramente ispirato al detto “o bere o affogare”, una lotta per la sopravvivenza. “Capisco la difficoltà di viver di sogni/ Osservo con invidia chi realizza i sogni…Ma questa è la guerra e combatto/ E stringerò i denti finché ne avrò”, recita il testo della canzone. Chi, tra tutti noi, non si è rispecchiato in queste parole almeno una volta nella vita? Chi non si è guardato allo specchio e non ha cercato di infondere fiducia a se stesso? Di darsi la spinta per continuare la lotta del quotidiano vivere? Levante lo sa bene e lo mette nero su bianco “Duri come me, duri come me a morire/ Duri come me, duri come me a morire per vivere”: duri a morire, per vivere, un ossimoro intensamente espressivo. Poche parole per esprimere un concetto che racchiude tutto l’amore per la vita, il nostro bene più prezioso. E non importa quanto grandi saranno le avversità che abbiamo davanti, perché “questa è la terra e la mangio/Mi pulirò i denti quando potrò”.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Duri come me”

“Fomenta”, delizie e tormenti nel nuovo album di Antonio Castrignanò

antonio fomenta“Fomenta” è il nuovo progetto discografico di Antonio Castrignanò, riconosciuto come uno dei più apprezzati e dei più innovativi rappresentanti della musica tradizionale salentina ma anche, e soprattutto, un ricercatore di suoni ed emozioni. Non è necessario sottolineare quanto la pizzica sia una danza davvero molto amata in tutta Italia, rappresentando, a tutti gli effetti, un punto di intima connessione con le nostre radici. Quello che bisogna evidenziare è, piuttosto, la dimensione sempre più internazionale che questa musica sta acquisendo, ritagliandosi un ruolo centrale all’interno dello scenario musicale mondiale.

Antonio Castrignanò Ph Carlo Piro

Antonio Castrignanò Ph Carlo Piro

In “Fomenta” luoghi, storie, leggende, profumi, sapori, lacrime e gioie della tradizione classica si ricongiungono al mondo contemporaneo e, attraverso il meticoloso lavoro di ricerca strumentale e contenutistica di Castrignanò, il risultato è un pregevole lavoro di ispirazione cosmopolita. “Fomenta”, prodotto su etichetta Ponderosa, rappresenta un’evoluzione all’interno del percorso artistico di Castrignanò il quale, anche grazie all’incontro con il dj e polistrumentista turco Mercan Dede, ha aperto le proprie composizioni ad interessanti incursioni elettroniche e suggestivi innesti di musica orientale.

Antonio Castrignanò Ph Giuseppe Rutigliano

Antonio Castrignanò Ph Giuseppe Rutigliano

Il ballo scaturito dai brani composti in “Fomenta” racchiude percorsi spirituali e rimandi a scenari che trascendono dal contesto contingente. Brani come “Core meu”, “Funtana gitana”, Lu culuri della terra”, “Sciamune”  spaziano in lungo e in largo, regalando immagini e suggestioni oniriche di grande impatto artistico ed emotivo Così come avviene nel cantato vibrato di “La ciuccia nera”, in “Stornelli” e nell’appassionante “Luna Otrantina”. La grande varietà di suoni, strumenti, storie proposte in questo album, si rivestono di un fascino esoterico, quasi mistico. Le tracce strumentali, “Terraferma”, in particolare, rivelano in maniera decisamente efficace tutto il pathos, il dramma, l’emozione della vita: un’irresistibile fusione tra delizia e tormento.

Raffaella Sbrescia

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Classifica FIMI: I Coldplay subito in testa. Ghost Stories è già disco d’oro

coldplayNella prima settimana di vendita “Ghost Stories”,  il nuovissimo album dei Coldplay ha già stabilito un nuovo record, con il maggior numero di album, fisici e digitali, venduti, debuttando direttamente al numero 1 della classifica FIMI/GFK degli album più venduti della settimana in Italia e ottenendo da subito la certificazione di Disco d’Oro. Al secondo posto i Dear Jack, vincitori del premio della critica durante l’ultima edizione di “Amici”, con l’album “Domani è un altro film”. Al terzo posto l’album postumo di Michael Jackson “Xscape”, seguito dall’ep omonimo di Deborah Iurato, neo vincitrice del talent show targato Mediaset “Amici”. Al quinto posto c’èLogico”, l’apprezzato album di inediti di Cesare Cremonini, seguito dall’unica new entry della settimana; si tratta di “Curriculum”, il nuovo disco di Denny Lahome. All’ottavo posto troviamo “L’amore comporta” di Biagio Antonacci, alle sue spalle c’è Caparezza ed il suo “Museica. Soltanto nono è “Al Monte”, l’originale lavoro del cantautore romano Alessandro Mannarino. Chiude la top ten Laura Pausini con “20 The Greatest Hits”.

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Intervista a Silvia Tancredi: “The Cage è un assaggio del mio nuovo album”

Silvia Tancredi Ph Roberto Borgo

Silvia Tancredi Ph Roberto Borgo

Silvia Tancredi è una cantante e autrice torinese, diplomata in canto presso il CPM di Milano e laureata in D.A.M.S. presso l’Università degli Studi di Torino. Innamorata da sempre del gospel, Silvia vanta una nutrita carriera come vocalist al fianco di artisti come Neja, Arthur Miles & The Allstars Gospel, Lee Brown, Fred jr. Buscaglione, Fabrizio Consoli, Anthony Morgan’s Inspirational Gospel Choir Of Harlem. Sempre pronta a sperimentare ed a mettersi in gioco, Silvia Tancredi sta lavorando al suo nuovo album di inediti e nel frattempo ci ha parlato di “The Cage”, il brano scelto dalla regista Mirca Viola per la colonna sonora del suo film “Cam Girl” (al cinema dal 22 maggio) e disponibile anche in versione remix a cura di Jeffrey Jey (Eiffel 65).

Silvia, il tuo percorso musicale è per lo più incentrato sullo studio e la pratica del contemporary gospel…cosa rappresenta per te questo universo musicale e cosa ti ha dato fino ad oggi in termini sia umani che artistici?

Il gospel è stato il mio primo amore e, in quanto tale, questo genere è stato una continua fonte di spunti per andare alla ricerca di aspetti musicali sempre nuovi. Il gospel è una musica che ha radici molto antiche, è nata nell’800 e ha preso forme sempre nuove fino ad arrivare al contemporary,  una musica un po’ più difficile da inquadrare per noi italiani. In realtà si tratta di un genere che viene suonato su tutti i palchi in continuazione, uno stile musicale assolutamente vivo, che mi sono portata in tutti i miei progetti.

Quanto sono importanti per te lo studio e la ricerca quotidiana?

Beh, lo studio è fondamentale. Credo che la cultura possa darci delle chiavi per aprire le porte della nostra vita. L’approfondimento dell’aspetto musicale e la ricerca per la tesi della laurea specialistica per me sono stati importanti perché ho avuto modo di attuare un percorso di studio approfondito su un argomento molto attuale ovvero il mondo legato ai talent show. Il mio punto di vista non è stato solo quello di una studiosa, di una ricercatrice, si tratta, piuttosto, di un punto di vista etnoantropologico; in questo modo ho ottenuto dei riscontri e dei risultati molto più completi.

Silvia Tancredi Ph Roberto Borgo

Silvia Tancredi Ph Roberto Borgo

“The Cage” è il tuo nuovo singolo che, insieme a “Sing your love”, brano tratto dal tuo primo album intitolato “L’importante è crederci”, fa parte della colonna sonora di “Cam Girl”, il nuovo film della regista Mirca Viola. Di cosa parlano questi brani e in che modo si ricollegano alla trama del film?

Sono convinta che Mirca abbia scelto queste due canzoni innanzitutto per la loro musicalità ma anche per il loro contenuto testuale. “Sing your love”è una canzone in cui compaiono pianoforte, archi e voci e nel film è stata messa, infatti, come musica di sottofondo in un momento più tranquillo della narrazione cinematografica. “The Cage”, invece, è una canzone che non ho scritto per il cinema quindi l’incontro con Mirca è stato molto fortunato. La mia canzone parla dell’illusione di trovarsi all’interno di una gabbia dorata, dell’impossibilità di riuscire a volare. Per queste ed altre ragioni, il contenuto del film si identifica con i concetti contenuti nel mio brano: quattro ragazze si troveranno, senza rendersene conto, intrappolate nella scelta di aprire un sito di Cam Girl. La mia canzone comunque lascia una porta aperta alla possibilità di realizzazione.

Che ne pensi della versione remix di “The Cage” curata da Jeffrey Jey degli Eiffel 65?

Conosco Jeffrey da tempo e, quando lui mi ha proposto il remix, ho temuto che il risultato si discostasse dalla canzone invece devo dire che ha fatto un lavoro veramente entusiasmante!L’ultima volta che ho ascoltato il remix ballavo da sola per casa come una pazza perché Jeffrey ha messo nel brano tutta la sua energia.

Stai lavorando ad un nuovo album? Se sì, in che direzione ti stai muovendo?

“The Cage” è in effetti, il singolo che precede il mio nuovo album che è praticamente finito… A breve seguiranno dei nuovi singoli e poi uscirà l’album intero! In estate ci saranno delle belle novità in questo senso…

Si ringraziano Silvia Tancredi e Tatiana Corvaglia per Parole e Dintorni

Raffaella Sbrescia

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Video: “The Cage”

“Mojo Rising”, la psichedelia rock dei Concreat

concreat“Mojo Rising”, è il titolo del primo ep del quartetto palermitano denominato Concreat e composto da Riccardo Villanti (voce, chitarra, tastiere); Manfredi Mazziotta (voce, chitarre); Gaetano Solazzo (voce, basso); Marco Villanti (batteria, percussioni). Appassionatissimi degli eterni Beatles, i Concreat si sono lanciati in un progetto di ricerca strumentale raggiungendo un’inattesa formula musicale in grado di risultare innovativa, pur facendo riferimento a repertori e generi che hanno fatto la storia della musica mondiale.

L’ep dei Concreat si compone di 6 tracce, pubblicate per Som Non-Label lo scorso 11 aprile, che si districano tra la psichedelica ed il desert-stoner rock. Questo coinvolgente mix sonoro rimane,tuttavia, legato a doppio filo ad una melodia diretta ed spontanea. Riverberi di chitarre, synth studiati ad hoc e travolgenti cori sono gli elementi che il quartetto palermitano ha sposato al blues garage. I testi sono cantanti in lingua inglese, ad ulteriore dimostrazione della matrice completamente esterofila delle sonorità proposte dal gruppo. Tra i brani più interessanti, segnaliamo “Time”: una sequenza dall’identità fortemente strumentale e dai connotati decisamente seventies. Sporco, ruvido, virile, perturbante, epico, il sound dei Concreat è in grado di creare atmosfere ibride e particolareggiate al contempo;  “Tea in the desert” rappresenta sicuramente l’esempio più adatto per testimoniare questa definizione. Lo stacco tra la nostalgia retrò di “Middle of the town pt.1” e lo strumentalismo importante di “Middle of the Town pt.2” si aggiunge, infine, alla lista di presupposti interessanti con cui i Concreat si affacciano allo scenario musicale internazionale.

Raffaella Sbrescia

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Intervista a Daniele Ronda: “La rivoluzione siamo noi”

Daniele Ronda Ph Alessio Pizzicannella

Daniele Ronda Ph Alessio Pizzicannella

Daniele Ronda è un cantautore piacentino, noto all’interno del panorama musicale italiano, non solo per i propri originali progetti discografici, ma anche per aver messo la sue notevoli capacità compositive anche a disposizione di famosi cantanti nostrani come Nek, Massimo Di Cataldo, Mietta, dj Molella. Attento, curioso, appassionato, Daniele è riuscito a costruire, tassello dopo tassello, un percorso artistico davvero molto articolato. Il suo cantautorato profuma di terra, di storie, di vite, di ragionamenti. La dimensione live per lui rappresenta il raccolto delle emozioni, il bagaglio di gemme e pietre preziose da riversare nel calderone delle sue canzoni.

In attesa di ascoltarlo dal vivo, in una delle numerose date estive che lo vedranno anche protagonista delle aperture dei concerti di Ligabue allo stadio Olimpico a Roma il 31 Maggio e allo stadio di San Siro a Milano il 7 giugno, abbiamo raggiunto Daniele al telefono per farci raccontare “La Rivoluzione”, il suo ultimo album di inediti, e per lasciarci conquistare da un cervello acceso, curioso,  rivoluzionario.

DANIELE RONDA_cover del disco LA RIVOLUZIONE_b (2)“La Rivoluzione” è il titolo del tuo ultimo album. Partiamo da questo singolo per entrare nei dettagli di questo lavoro… quali sono i temi e le chiavi interpretative di questo disco?

Il disco ha una caratteristica importante, si tratta di un lavoro nato in maniera quasi inconscia. Mentre lo stavo registrando, mi sono trovato ad ascoltarlo e mi sono reso conto che le 11 tracce erano diventate una sorta di concept album. Tra le canzoni c’è un legame forte, qualcosa che le unisce ed è la necessità di cambiare una serie di cose che a mio parere stanno minando la nostra serenità, l’unione della nostra società. Questa voglia, questa forza, questa rabbia nei confronti di questa situazione mi è sembrata una sorta di rivoluzione, non di quelle classiche, una rivoluzione interiore che, secondo me, bisogna fare ogni giorno senza accettare tutta una serie di compromessi. Tutte le volte che decidiamo di incuriosirci, di informarci, di amare la cultura, di guardarci intorno, tutte le volte in cui facciamo cose che racchiudono i nostri valori, mettendo le cose davvero importanti al primo posto, ci avviciniamo verso la nostra felicità. Ogni volta che facciamo questo facciamo l’unica vera rivoluzione efficace. Alla luce di questo pensiero, mi ci è voluto poco per chiamare il disco “La Rivoluzione”, il brano che dà il titolo al disco è, tra l’altro, uno dei pezzi nati dopo le altre canzoni che compongono l’album.

Nel corso della tua carriera hai avuto modo di misurarti con vari generi musicali, nella veste di autore, attraverso molteplici collaborazioni artistiche. Qual è il contesto compositivo in cui ti senti più a tuo agio e come cambia il tuo approccio alla scrittura di volta in volta?

Lavorare e scrivere per altri è diverso dal lavorare per se stessi, si tratta di due mestieri che hanno sì qualcosa in comune ma hanno due approcci differenti. Quando lavori per un altro artista dipendi dalle sue esigenze, bisogna capire qual è il suo linguaggio, quale cosa detta da lui sarà più efficace, credibile, cosa lo rappresenterà di più e questo è un lavoro molto stimolante perché ti spinge a toccare dei temi, degli stili, dei suoni, dei generi che magari non avresti mai affrontato… Questa cosa mi ha spinto ad aprirmi a tanti mondi musicali. Quando si lavora con se stessi, invece, il lavoro diventa più doloroso, più difficoltoso. Nonostante ci si conosca, spesso ci si trova a combattere di fronte a dei conflitti interiori. Questa cosa ti fa crescere e, allo stesso tempo, ti consente di raccontarti attraverso la musica ed è una cosa che a me dà tanto, questo è il mio modo di urlare quello che sono, quello che sento, il mio modo di raccontare quello che vedo e che mi tocca in modo particolare.

Come ti è venuta la voglia di legare la tua musica al territorio piacentino in particolare ed emiliano più in generale?

La musica è una parte fondamentale della mia vita, tutte le scelte del mio quotidiano si rispecchiano nel mio modo di fare musica. Sono stato per un periodo lontano da casa, lontano dalla mia terra perché consideravo la mia città quasi un luogo troppo piccolo, che mi stava stretto per i miei sogni e i miei progetti. Quando sono andato via, però, ho scoperto che mi mancava tremendamente, mi mancavano tutta una serie di cose che mi facevano sentire a casa. Allora ho cominciato a raccontare la mia città con l’intento di raccontarle tutte. Il legame con le proprie radici è qualcosa di universale, questo non significa che siamo ancorati al posto in cui siamo nati, significa che abbiamo un punto di riferimento, un posto che, guardandoci indietro, possiamo ritrovare sempre e comunque trasformandolo in una ricchezza, una nostra peculiarità. Nel mio caso è stato così, sono orgoglioso di raccontare le storie che sono nate nella mia terra.

Secondo te l’uso del dialetto nella canzoni può rappresentare un valore aggiunto?

Il dialetto è una forma di comunicazione, prima ancora che una lingua. Credo che certe cose dette in dialetto abbiano un’efficacia, una forza, una potenza particolare ed è per quello che ho scelto e sceglierò ancora di scrivere in dialetto. Non è una scelta commerciale e, anche se in questo mio ultimo disco non ci sono canzoni in dialetto, per me si tratta di una necessità, certe cose mi viene spontaneo dirle in dialetto perché dietro ogni parola, ogni modo di dire, c’è tutta una serie di incastri etimologici e questa è una cosa meravigliosa.

In “Ognuno di noi” parli della comune usanza di fare grandi progetti di notte e di ritrovarsi al mattino dopo con il ricordo appannato della sera prima….Si tratta di un racconto dalla valenza universale?

Ho parlato della notte perché a me è capitato di notte, ma credo anche a tanta altra gente capiti che in certi momenti del giorno ci si senta padroni del mondo e altri in cui ci si sente persi, distrutti, abbattuti… Questo ci destabilizza, ci aggrappiamo a una serie di cose che ci vengono propinate in maniera assillante, io invece credo che dobbiamo credere in noi stessi, non dobbiamo voler essere qualcun altro, dobbiamo credere in quello che siamo e, su questa base, dovremo costruire la nostra vita. Il brano ha anche un video che, con ironia, dice che cercare di vivere la vita di un altro significa frustrazione. Io sono uno che guarda, che si informa, che cerca la gente… poi, però,  prendo quello che mi interessa, lo faccio mio, lo rielaboro, lo modifico, lo riutilizzo per quando mi servirà. In sintesi: vivo la mia vita con tutti i pregi ma anche con tutti i difetti che mi contraddistinguono.

“Le donne italiane” si riferisce ad una storia in particolare o intende parlare di una tematica più generale?

In Italia abbiamo tantissime diversità, tradizioni diverse, lingue diverse, storie diverse e queste differenze rappresentano una delle nostre ricchezze più grandi a livello culturale, storico e sociale.  Spesso sembra che cantando in dialetto ci vogliamo chiudere e non voler scoprire quello che c’è intorno, invece è il contrario! Quello che racconto nelle mie storie è il frutto di un viaggio in cui mi piace scoprire il luogo in cui vado, la storia dei luoghi che mi circondano. Questa è una pizzica salentina che ho scritto in Emilia Romagna, un asse tra nord e sud, un’unione della diversità. Ho voluto valorizzare quello che è diverso come qualcosa da scoprire, la diversità deve unire le persone, deve unire i popoli…La vera maniera che abbiamo per uscire da questa crisi è valorizzare la nostra diversità perché siamo uno dei paesi che ne ha più di ogni altro; ogni 23 km cambiano i dialetti, le storie, le tradizioni e questa è una cosa davvero speciale.

Che ruolo ha la fisarmonica nella tua musica?

Nei dischi precedenti la fisarmonica rappresentava addirittura la colonna portante di alcuni arrangiamenti. In questo disco è ancora tanto presente ma lo è in particolar modo in una canzone intitolata “La Regina”. Questo strumento è stato messo in disparte per tanti anni, era considerato vecchio, sembrava che con la fisarmonica si potesse fare solo musica da ballo come il liscio. Io penso, invece, che questo strumento sia vivo: l’aria passa attraverso piccole lamelle ed il suono fuoriesce quasi come se fosse un canto. La versatilità del suono permette di interpretare col cuore le canzoni, ecco perché la fisarmonica è uno strumento magico.

Daniele Ronda Ph Alessio Pizzicannella

Daniele Ronda Ph Alessio Pizzicannella

Ti esibisci spesso in contesti molto legati all’identità territoriale…che tipo di impressioni e riscontri ricevi ogni volta?

Per noi artisti il live è qualcosa di fondamentale, è la nostra forma di contatto con la gente. Io e i Folkclub siamo partiti da qualche settimana con il nuovo tour, questo è quel periodo dell’anno in cui diventiamo un po’ degli zingari, siamo in macchina e maciniamo chilometri incontrando gente. Anche sui palchi scopriamo cose che ci portiamo dietro. “La Rivoluzione” è, infatti, un disco che nasce molto in viaggio, incontrare le persone è fondamentale tanto quanto lo è vederle provare delle sensazioni insieme a te. Questa cosa mi arricchisce sempre tantissimo. Poi ovviamente ci sono dei periodi dell’anno in cui siamo in studio per lavorare il disco, ed è in quei momenti che a volte mi vengono crisi di astinenza da palco. Il live è veramente una di quelle cose che salva la musica. Mentre tutti parlano di crisi discografica, il live è qualcosa che è lì e che non si può scalfire perché è vero, è vivo, crea un contatto tra chi è sopra e chi è sotto il palco.

Come è andata al concerto del Primo Maggio a Roma?

Un conto è dire le cose, un conto è metterle in atto ed io l’ho fatto scegliendo di fare il mio set insieme ad un gruppo che fa musica popolare calabrese come i TaranProject. Addirittura una delle canzoni l’abbiamo cantata un po’ in dialetto piacentino, un po’ in dialetto calabrese per ricordare il concetto di asse nord-sud e di diversità che unisce. Questo è avvenuto perché sono sempre alla ricerca, scopro sempre cose nuove, tengo gli occhi aperti, non mi faccio influenzare da un meccanismo che fa comodo e che impone di non guardarci troppo intorno. Queste sono le cose che mi danno gioia, che mi arricchiscono, voglio capire perché si suona un determinato strumento e scoprire storie della terra. Tutte le volte riempio il mio bagaglio ed è una cosa che mi tiene su e mi dà sostegno.

 Si ringraziano Daniele Ronda e Tatiana Corvaglia per Parole e Dintorni

Raffaella Sbrescia

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Video: “La rivoluzione”

 

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