TheRivati: Non c’è un cazzo da ridere. La recensione di un album scomodo e necessario

The Rivati - Non c'è un cazzo da ridere

The Rivati – Non c’è un cazzo da ridere

Avevamo lasciato i TheRivati sulle note di “Black from Italy”, li ritroviamo oggi con “Non c’è un cazzo da ridere”. Un titolo eloquente come lo è da sempre il linguaggio musicale e testuale della band napoletana composta da Paolo Maccaro (voce e testi), Marco Cassese, Antonio Di Costanzo (basso), Saverio Giugliano (sax, tenore e dub master) e Salvatore Zannella(batteria).
In tre anni di vita, lavoro, scrittura, la band torna a muso duro con un impatto vivido e vibrante sulla nostra realtà. Il mezzo è un concept album in cui le tracce si avvilupano una dopo l’altra nell’affresco audio-visivo di un’attualità avvilente in cui, difatti, non c’è davvero un cazzo da ridere.
Intensi, genuini, sfrontati, irriverenti, i TheRivati conservano inalterata la loro identità e lo fanno perseguendo una cifra stilistica autentica e fastidiosa al contempo. Fastidiosa sì, soprattutto per chi si è lasciato abbindolare dall’uso massiccio di elettronica e synth buttati qui e lì alla spicciolata. Qui si fa sul serio, si suda, si maledice, si impreca, si usano gli strumenti con cognizione di causa e lo si fa nel nome della scuola del neapolitan power, sulla scia della afro black music, sugli echi di un blues polveroso e dannatamente sexy.
Il mood è subito chiaro con le premesse di “Intro nervoso” che riprende una scena del film del 1982 “No grazie, il caffè mi rende nervoso”: l’invettiva è diretta alle fondamenta del music business e i TheRivati non le mandano proprio a dire a nessuno. Tanto inquietante quanto tristemente realistica è la trama di “Nun sto buono”, una canzone che prova a mettere nero su bianco la sensazione di totale estraniamento e inspiegabile avulsa malinconia che avvince l’anima di chi si ammala di depressione. Ancora temi scomodi in vista tra l’interludio di “Così parlò” e “Cocaina”, tra i mali più diffusi dell’epoca ultra contemporanea. Il dramma esistenziale viene sviscerato, senza soluzione di continuità in “Trent’anni”, la soglia in cui ciascun individuo sente su di sé una sorta di spada di damocle e si sente obbligato a tracciare bilanci tra passato e futuro. Le testimonianze del nostro vivere continuano in “Bataclan” e “Eyewitness (interludio)” con tanto di stralci audio a sancire nero su bianco un dramma epocale per la storia contemporanea. La forza dei The Rivati sta però nel perseguire e individuare il modo per reagire e vivere anche in questo marasma totale. A riprova di quanto detto troviamo “’O sce’”, “Rapsofollia” e “Stai tutta sudata” una triade di canzoni con cui la band mette in scena tutta la grinta del suono da cui trasuda l’anima e l’intenzione di chi, forte del sapersi reinventare anche in un contesto complicato, trova sempre le risorse necessarie per andare avanti a testa alta e con un bagaglio emotivo che possa bastare non solo per se stessi ma anche per tutte le anime affini che scelgono di sposare uno stile di vita, forse rude. ma decisamente più vero e più affascinante di quello di tante macchiette che, ad oggi, non hanno davvero un cazzo da raccontare.
Raffaella Sbrescia