Ferro: il documentario su Prime Video di Tiziano Ferro è il manifesto della rinascita dell’artista

Tiziano Ferro ph Giovanni Gastel

Tiziano Ferro ph Giovanni Gastel

Non importa come cadi, importa solo come ti rialzi. Se non fai nulla, ricorderanno solo la caduta. Ma se recuperi alla grande, la cosa che più ricorderanno di te è come ti sei rialzato. Partiamo proprio da queste parole per parlare di “Ferro”, il documentario Amazon Original in esclusiva su Prime Video in Italia e in tutto il mondo con cui Tiziano Ferro sceglie di prenderci coraggiosamente per mano e accompagnarci attraverso un viaggio intenso, vero e trasparente nella sua vita privata e professionale. L’artista arriva subito al sodo cominciando il racconto proprio dall’ultima lotta che ha dovuto combattere e che in pochissimi conoscevano, quella contro la dipendenza dall’alcol. In realtà sono tanti i demoni contro cui Tiziano ha dovuto fare i conti: il continuo confronto con se stesso, i disturbi alimentari, le dipendenze, la depressione, l’ansia. In realtà più che demoni, Tiziano Ferro li definisce cicatrici attraverso cui filtrare la vita per trovare nuove soluzioni. Ecco perché sebbene il documentario sia un lavoro che mette in risalto le imperfezioni e l’emotività di Tiziano, l’obiettivo è trasmettere un messaggio a tutti coloro che si trovano a lottare contro loro stessi per divenire se stessi. Il film è ricco di filmati inediti che ci mostrano gli esordi di Tiziano, la sua trasformazione, il trionfo e la gloria ma anche gli incontri ormai regolari con altri ragazzi alcolisti anonimi, il matrimonio e le promesse ricche di amore e di consapevolezze finalmente raggiunte, la vita casalinga a Los Angeles con Victor Allen e le visite alla famiglia a Latina. La musica rimane sempre il filone che Tiziano riconosce come salvifico insieme ad un forte impegno quotidiano grazie al quale cui ha finalmente ottenuto l’equilibrio e la serenità. Nessun santino, Ferro è verità e noi lo ringraziamo perché mai come oggi mostrarsi fino in fondo è appannaggio di pochi ed è veramente un peccato.

Raffaella Sbrescia

 

Amy: il documentario dedicato alla talentuosa artista sarà nelle sale italiane a settembre

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Dopo aver suscitato le più controverse reazioni da parte di critici e addetti ai lavori, “Amy” il documentario girato dal regista Asif Kapadia e dedicato alla vita di uno dei più grandi talenti vocali del nostro tempo, si appresta ad essere distribuito da Nexo Digital e Good Films anche nelle sale italiane i prossimi 15, 16 e 17 settembre. Due ore e sette minuti di racconto sono il frutto di un lungo ed estenuante lavoro di ricostruzione di una storia dolorosa e intrisa di momenti oscuri. La burrascosa conquista di fiducia e materiali utili da parte dei filmmaker ha senza dubbio rappresentato la parte più complessa del processo di realizzazione del film. Il risultato, in effetti, lascia trasparire in maniera tangibile lo sforzo attraverso filmati di repertorio, alcuni privati, altri privatissimi, che vanno dall’adolescenza di Amy fino al suo ultimo giorno di vita. Al centro della narrazione non ci sono gli eccessi, le depressioni, le delusioni, i disturbi alimentari e le dipendenze di Amy, bensì i personalissimi testi delle sue canzoni che, scorrendo sullo schermo durante l’intero film, rappresentano l’elemento cruciale per comprendere a fondo le dinamiche espressive dell’artista. Scrivere canzoni per Amy era una sorta di catarsi o di terapia attraverso cui riusciva ad elaborare emozioni  e momenti particolarmente difficili. La scrittura rappresenta il fulcro di tutto il documentario perché nei suoi testi sono racchiuse delle vere e proprie richieste d’aiuto attraverso versi diretti ed espliciti che lasciano ben poco all’immaginazione.

Amy Winehouse ph Alex Lake

Amy Winehouse ph Alex Lake

A svolgere un ruolo importante nella vita di Amy sono figure distruttive e parassitarie come quella del padre della Winehouse,  del suo manager e soprattutto quella del marito Blake Fielder-Civil. Kapadia dedica ampio spazio a questi personaggi lasciandoci intuire quanto abbiano influito nel corso delle vicende personali di Amy eppure, nel condannare loro e i paparazzi senza scrupoli, il regista commette un importante autogol proponendo al pubblico anche le foto più dolorose, i momenti più controversi senza risparmiare nemmeno le immagini del cadavere della cantante che, coperto dal sacco mortuario, viene caricato dall’ambulanza fuori dalla casa di Camden, dove l’artista ha perso la vita lo scorso 23 luglio 2011. A controbilanciare momenti così drammatici ci sono, però, le preziose esibizioni live di Amy Winehouse, dagli esordi al successo mondiale, l’intensa sessione di registrazione del singolo “Back To Black” in studio con il produttore Mark Ronson e l’indimenticabile espressione  con cui la cantante apprende la notizia della vittoria del Grammy come Record of the year con il brano “Rehab”. A tenere in piedi il lavoro è la tesi di fondo proposta dallo stesso Kapadia: “Questo è un film su Amy e sulla sua scrittura, è la storia di una persona che vuole essere amata, che ha bisogno di amore e non sempre lo riceve”. Un talento cristallino, un personaggio eccezionale capace di rompere schemi e convenzioni, una donna estremamente complicata, carismatica eppure ipersensibile, forse vittima di un mondo ormai abituato a mercificare il dolore e che sistematicamente disconosce la parola rispetto.

Raffaella Sbrescia