Henosis: Joep Beving chiude la trilogia in modo maestoso. La recensione dell’album

Joep Beving

Joep Beving

Viene dall’Olanda e ha già abbondantemente dato prova del suo indiscutibile talento. Lui è il pianista Joep Beving che con Henosis, pubblicato il 5 aprile per Deutsche Grammophon, chiude una trilogia imponente. Massiccia è, tra l’altro, la quantità di note e di stimoli offerti da questo suo mastodontico ultimo album composto da ben 23 brani per oltre 100 minuti di musica. Un’esperienza sensoriale plurima, è il caso di dire. Il comune denominatore delle nuove composizioni strumentali di questo artista visionario rimane chiaramente il pianoforte: un vecchio Schimmel verticale ereditato da sua nonna in cui ogni tocco si intinge di ricordi e di sfumature che rendono il suono fortemente personale e inscindibile dall’artista. L’intento di Beving è il perseguimento della connessione tra l’uomo e il cosmo. I due album precedenti sono perciò da considerarsi dei passaggi propedeutici a questa finalità ultima. L’analisi dell’interiorità diventa uno strumento, una risorsa per addentrarsi all’interno di un più ampio processo di ampliamento semantico. La proattività dell’ascoltatore è l’immediata reazione che l’istinto mette in atto soprattutto nei brani in cui compare la mano di Maarten Vos. Per questo progetto, Beving si avvale infatti di archi, synth ed elettronica minimale per una molteplice declinazione di sfumature raggiungendo sempre un risultato di grande impatto acustico. C’è bisogno di tempo da investire e pensieri da raccogliere per ascoltare questo disco, non è di certo un lavoro che può essere fruito da ascoltatori mordi e fuggi, sarebbe davvero uno spreco perdersi la bellezza, la nobile intenzione metafisica dell’autore, la prospettiva finale di un viaggio compositivo durato quattro anni e che per qualche attimo ci offre l’ologramma fedele della vacuità della nostra mente.
Brani preferiti: Into the dark blue, Nebula.
Raffaella Sbrescia

Prehension: il minimalismo confortevole di Joep Beving

Joep Beving

Joep Beving

Malinconia intesa come protensione ricettiva dell’anima. Questa è l’essenza di “Prehension”, il nuovo lavoro del pianista olandese Joep Beving il cui suono si muove con disinvoltura tra neoclassicismo e minimalismo. Musica alta ma fruibile è quella composta dal musicista dal tocco gentile. Senza l’ausilio dell’elettronica, l’artista si destreggia tra titoli ispirati ad un repertorio classico ma si rivolge ad un pubblico semplice. Il suo suono intende essere confortevole in modo essenziale: Beving pesca a piene mani dall’impressionismo classico ma anche dalla più contemporanea new age, alterna note rapide a note complesse creando un’atmosfera di tipo meditativo. Si comincia con “Ab ovo” in cui tutto il discorso viene racchiuso in momento unico e definitivo. Si continua con il flusso lunare con “Kawakaari” che ci immette nell’evanescente inconsistenza di “Impermanence”. Il nucleo dell’album si annida in “A heartfelt silence”, “Le souvenir des temps gracieux” e “Pippa’s theme”: la triade in oggetto spicca per delicatezza ed eleganza mai troppo forzata. Il piglio malinconico e solitario s’interseca con la solarità propositiva di “432” e la conclusiva “Every ending is a new beginning”, brano con cui Joep Beving porta a compimento un discorso strumentale di tipo circolare, capace di trovare una propria collocazione semantica in tanti contesti diversi.

Raffaella Sbrescia

Ascolta qui l’album: