L’Arcipelago: la recensione del nuovo album di Giorgio Barbarotta

Giorgio Barbarotta- L'Arcipelago

Giorgio Barbarotta- L’Arcipelago

“L’arcipelago” è il nuovo album di inediti del cantautore trevigiano Giorgio Barbarotta. Facendosi largo tra 12 canzoni, l’artista traccia una mappa esistenziale con diverse rotte da seguire. Avvalendosi della partecipazione di Angelo Michieletto alle chitarre e tastiere, co-produttore, Stefano Andreatta al basso e flauto traverso, Nicola Accio Ghedin alla batteria e Andrea De Marchi del Virtual Studio come ingegnere del suono al mixer e post produzione, Barbarotta spazia dal pop, al folk, al rock senza mai perdere la bussola dell’emotività. Il disco si apre con ‘In un mondo migliore’: nel brano l’immagine più evocativa è quella del farsi largo a spallate tenendosi saldi al timone per continuare a credere in un mondo migliore. L’entusiasmo, figlio di un nuovo amore, zampilla dal testo de “Nelle tue mani”: ”Tutto scorre, si sa/ e i giorni fuggono via come meteore impazzite. Resta pure, ti va? Senza un prima né un dopo goditi questo gioco tra le lenzuola e il cielo”. L’ascolto prosegue con un fotogramma quantomai fedele al nostro vivere quotidiano: “Navigare a vista tra la chiglia ed il fondale profondo quanto basta da potersi accontentare di un’oncia di felicità”.

Video: Nelle tue mani

“Scava la tua piccola trincea ma non dimenticare il delirio che sta fuori”, canta Barbarotta ne “I Capricci del destino” mentre “L’ultima notte dell’anno” si destreggia tra linee e bilanci senza mai distogliere lo sguardo dai rimorsi e dai rimpianti. L’ode alla “chimica del corpo” è una pimpante marcetta pop mentre il testo de “Le anime restano in bilico” riportano l’immaginario in un mood più intimista e malinconico. “Il mio mecenate” è il brano più debole del disco, fuori rotta e fuori contesto. Molto meglio “In mezzo ci sei tu”, ispirato ai mali e alle paure che ci attanagliano. Vividi e incendiari gli aggettivi usati per “Quaranta gradi celsius”: La fronte cola sulla gola, la testa bolle trai pensieri, la suola ustiona sotto i piedi”. La traccia migliore del disco è “Quei piccolissimi gesti”: “E intanto tu tieni attaccati i tuoi pezzi mentre la vita si prende gioco di noi. Quante maschere da buttare, quanti dubbi da affrontare di cui non abbiam tenuto conto mai”; Giorgio Barbarotta costruisce il suo arcipelago di poesie mantenendo sempre vivo il focus su un tipo di emotività mai scontata. A conferma di quanto appena scritto c’è l’ultimo brano che chiude il disco, intitolato “Cinica è la sera”: “Si possa meditare su ciò che siamo stati e adesso diventati che cosa chi lo sa”; un punto interrogativo scomodo ma fondamentale in un disco che dimostra di avere qualcosa di utile da dire.

Raffaella Sbrescia