Padroni di niente: Fiorella Mannoia ci racconta la verità.

Fiorella Mannoia @Francesco Scipioni

Fiorella Mannoia @Francesco Scipioni

Fa veramente impressione imbattersi in un disco che ti fa ragionare, che ti fa riflettere su te stesso e su quello che ti circonda. Sì, fa molta impressione perché é necessario ma è anche raro e difficile da trovare, così difficile che tante volte fa paura. Ecco quello che succede ascoltando “Padroni di niente” di Fiorella Mannoia, un’artista che è abituata a dare un significato ad ogni parola che canta e che con estrema naturalezza veicola parole importanti senza retorica alcuna. L’album, prodotto da Carlo Di Francesco, raggruppa 8 canzoni in grado di fotografare con un zoom ravvicinato alcune delle più intime riflessioni che ci stanno accomunando in questi mesi ma anche tanti dei sogni che molti di noi non riusciamo più a fare. D’altronde “Padroni di niente” è figlio del nostro tempo malato, sia fisicamente che metaforicamente. Il carico di riflessioni da fare è importante ma non è mai pesante. Lo sguardo di Fiorella e del suo raffinato parterre autorale non è quello di chi si mette sul piedistallo è, bensì, una coccola, un modo di osservare orientato alla comprensione e alla ricerca di una plausibile soluzione. Il valore chiave, nonché motore attorno a cui gira tutto il lavoro, è il valore della vita, qualcosa di cui non siamo mai padroni ma fortunati affidatari.

Si parte dalla omonima titletrack in cui la penna di Amara è più a fuoco che mai: la voce di Fiorella Mannoia di muove tra disincanto e speranza cantando: “C’è che siamo padroni di tutto e di niente/ C’è che l’uomo non vede, non parla e non sente/ Qui c’è gente che spera in mezzo a gente che spara e dispera l’amore/Qui c’è chi non capisce che prima di tutto la vita è un valore”. Si passa poi ad un mood più introspettivo con i corsivi di Ultimo che, attraverso la voce di Fiorella, diventano interrogativi intrisi di poesia: “Chissà quante domande ho fatto senza mai far capire cosa ho detto perché la vita è una commedia al buio dove per ridere serve del trucco e questa sera non voglio mentire solo guardarmi dentro per cambiare/ E chissà se questi giorni chiusi avranno un prato per volare fuori/ Io non trovo mai una spiegazione ma forse è proprio dai tuoi occhi che nasce una canzone”. L’impattante e centratissimo concetto di rottura attraversa le righe del brano “Si è rotto”: “Si è rotto il vetro, il cuore, l’emozione/ Si è rotto il filo, la chiave nel portone/ Le sere accese al mare a bere le parole a spegnere fatica, la fame e la ragione/ Si è rotto tutto, il manico e l’ombrello/ Il desiderio, si è rotto questo e quello/ Si è rotto il mondo, la luce delle scale il gusto dei sapori, la voglia di giocare/ Si è rotto il sogno, si è rotto all’improvviso quando guardavo il mondo che mi baciava il viso”, canta Fiorella, mostrandoci in maniera incredibilmente nitida la fotografia di uno stato d’animo circondato dalla nebbia e immerso nel torpore dell’incertezza.

Fiorella Mannoia @Francesco Scipioni

Fiorella Mannoia @Francesco Scipioni

Il momento riflessivo non finisce di certo qui, “La gente parla”, brano firmato da Amara e Simone Cristicchi, tuona e rimbomba facendo decisamente rumore in un modo così scomodo da provocare piacere in chi lo ascolta: Frasi dette così per caso/ Frasi senza senso o significato/ Frasi scontate e già sentite/ Le solite frasi trite e ritrite dette per gioia o per consolazione giusto per esprimere un’opinione/ Le frasi dette per circostanza/ quelle che restano dentro a una stanza /Le frasi dei soliti qualunquisti/ Quelle da veri professionisti/ Frasi da finti intellettuali/ Sempre diverse ma tutte uguali” sono quelle che ci bombardano il cervello a tutte le ore del giorno cercando di spegnerlo. E invece no, la resiliente Fiorella ci riprende per mano con “Sogna” prima: Sogna amore mio/ Sogna al posto mio/ Vivi il tempo tuo inseguendo un principio, un valore, inseguendo l’amore che guarisca le paure” e con “Olà” poi: Ti accende, guarisce, difende, trascina, ti arrende ricostruisce l’amore”. Bisogna raccontare la verità fino in fondo, anche quando non ci piace ed è questo quello che fa Fiorella che in “Eccomi qui” canta: “È un giorno che grida e mette pauraE che ci fa chiedere dove corriamo/ È un giorno che abbraccia tutti i confini/ Tra quello che siamo e quello che vogliamo”. Sempre più lontana dalla comfort zone e dalle verità scontate, Fiorella Mannoia chiude l’album con coraggio e lascia il segno con “Solo una figlia”, un brano tragico scritto dall’emergente Arianna Silveri (in arte Olivia XX) in cui l’artista duetta con l’autrice raccontando le drammatiche storie di due adolescenti accomunate da un destino tanto infausto quanto tragicamente comune a tante, troppe donne. Non può esserci il lieto fine in un disco intriso di verità.

Il vero in questo momento fa male ed è giusto esprimere gratitudine a chi come Fiorella sceglie di osservarlo e di raccontarcelo invece di distorcerlo.

Raffaella Sbrescia

 Tracklist

Padroni di Niente” (Amara), “Chissà Da Dove Arriva Una Canzone” (Ultimo), “Si È Rotto” (Enrico Lotterini, Fabio Capezzone, Fiorella Mannoia), “La Gente Parla” (Amara, Simone Cristicchi), “Sogna” (Edoardo Galletti, Fiorella Mannoia), “Olà” (Bungaro, Cesare Chiodo, Fiorella Mannoia), “Eccomi Qui” (Bungaro, Cesare Chiodo, Carlo Di Francesco) e “Solo Una Figlia (con Olivia XX)” (Arianna Silveri).

Ólafur Arnalds: Some kind of peace per affrontare il caos.

Ólafur Arnalds

Ólafur Arnalds

Il polistrumentista e compositore islandese Ólafur Arnalds ha pubblicato il nuovo album, “Some kind of peace”. Il lavoro nasce da una presa di coscienza ben precisa: tutto quello che possiamo fare è lasciarci andare e scoprire come reagiamo a ciò che la vita ci offre. Per la prima volta il pianista islandese lascia fluire la vulnerabilità e l’emotività più intima attraverso un viaggio musicale introspettivo che si muove sullo sfondo di un mondo caotico e privo di certezze.

Some kind of peace è stato registrato nel nuovo studio di Ólafur nel porto nel centro di Reykjavik. Una finestra sulla natura che ha offerto all’artista un modo unico e straordinario per esprimersi al meglio e lasciarsi ispirare da un contesto speciale ma anche dalla sua vita personale . Suoni di pianoforte e tastiere scintillanti si muovono vorticosamente raccontando sia il mondo reale che pezzi di vita vissuta dall’artista che, come di consueto, utilizza magistralmente tecniche di campionamento per unire archi e pianoforte in modo delicato e sognante. In virtù di questa sua passione per la sperimentazione, in Some Kind Of Peace, Arnalds, unisce le forze con altri artisti per dare vita ad un progetto ancora più personale. Per questo album, infatti, i collaboratori non sono stati scelti solo per quello che potevano offrire, ma anche per il legame che Arnalds condivide con loro. Nel brano di apertura “Loom”, il musicista britannico Bonobo contribuisce a un suono pulsante e un po ‘eclettico. La loro chimica è nata durante un’escursione nella natura islandese lo scorso anno e il risultato è magico. Il sognante e malinconico brano “The Bottom Line” vede Arnalds affiancato dal suo amico Josin, un cantautore tedesco. “Back To The Sky” vede invece la partecipazione del collega islandese JFDR: una voce pura e cristallina, perfetta per dare luce agli strati di suono di Ólafur. L’album si chiude con “Undone” : il concetto da cui nasce la trama del brano è spiegato dallo stesso artista. “Di tanto in tanto nella vita, senti delle increspature e non sai cosa siano, e la maggior parte delle volte scegliamo di ignorarle”. Il messaggio del disco è proprio questo: seguiamole queste increspature, offriamo conforto a noi stessi e a chi è stanco del mondo. Scorgiamo i barlumi di magia che ci circondano e facciamone tesoro, ci serviranno quando i nostri migliori piani verranno scombinati dal caos.

 Raffaella

Video: Loom

Tracklist

1. Loom (Feat. Bonobo) 2. Woven Song 3. Spiral 4. Still / Sound 5. Back To The Sky (Feat. JFDR) 7. Zero 7. New Grass 8. The Bottom Line (Feat. Josin) 9. We Contain Multitudes 10. Undone

Vent’anni: lo sfrontato ritorno dei Måneskin

Maneskin - Oliviero Toscani

Maneskin – Oliviero Toscani

Vent’anni” è il nuovo singolo che segna il fresco, sfrontato, ragionato ritorno dei Måneskin a distanza di due anni dall’album “Il ballo della vita”.

Damiano, Victoria, Thomas e Ethan, ospiti della web serie “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica”, hanno presentato in anteprima il singolo con una performance in live streaming dai palazzi imperiali sul Palatino e hanno incontrato virtualmente la stampa per approfondire la genesi, il messaggio e il significato di un brano che li traghetterà verso l’uscita del nuovo atteso album. Scritta dai Måneskin e prodotta con Fabrizio Ferraguzzo, “Vent’anni” è una rock ballad che ha preso il là durante il lockdown da un giro di chitarra di Thomas e da una visione avuta da Damiano. La band ha lavorato molto in analogico, dando spazio agli strumenti con l’idea di riportare i suoni dal vivo direttamente in studio e così è stato.

I pensieri di Damiano s’innervano con quelli del suo alter ego più maturo; il risultato è un dialogo sincero, crudo, spiazzante ma anche incoraggiante. La voglia è quella di liberarsi dal peso dei giudizi ed è per questo che il gruppo dedica il brano alla propria generazione con la voglia di lasciare il segno: “e c’hai vent’anni ti sto scrivendo adesso prima che sia troppo tardi e farà il male il dubbio di non essere nessuno sarai qualcuno se resterai diverso dagli altri ma c’hai solo vent’anni”, scrive Damiano seguendo un filone introspettivo con un messaggio che si amplia ambiziosamente alle generazioni dei non più ventenni. Ad accompagnare l’uscita del brano, il fotografo Oliviero Toscani firma la campagna di lancio ritraendo la band a nudo in un abbraccio di gruppo che racchiude volutamente un messaggio forte: liberarsi dalle sovrastrutture ed essere autentici, se stessi, senza veli inutili. Se queste sono le premesse, ne sentiremo e ne vedremo delle belle.

Raffaella Sbrescia

Con il senno di poi: la poesia solista di Marco Guazzone

Marco Guazzone

Marco Guazzone

Ci eravamo lasciati con un Marco Guazzone autore per Andrea Bocelli nell’album “Sì”, lo ritroviamo finalmente cantautore con il brano “Con il senno di poi”, una ballad prodotta da Elisa, la cui voce è presente anche in questa canzone, che fa da preludio al nuovo percorso da solista dell’artista romano.

Per gli estimatori storici, niente paura Stefano, Edo e Josh degli Stag continueranno a lavorare con Marco, tanti degli inediti presenti nel nuovo album sono nati proprio insieme a loro e ci saranno anche sul palco non appena sarà possibile. Ora però è tempo di lasciarsi andare ad una nuova avventura e lo sa bene Marco Guazzone che anche nel videoclip girato da Beniamino Barrese interpreta con coraggio una significativa coreografia di Paolo Ermanno dando vita ad una danza parlante.

Video: Con il senno di poi

Il brano veleggia sulla possibilità di rincontrarsi dopo la fine di una storia importante e scoprire che ci si può amare ancora ma con nuove consapevolezze. Il testo della canzone è ispirato a una poesia di Eugenio Montale del 1967 dal titolo “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale” (poesia n. 5 di Xenia II, Satura). Marco Guazzone si è dunque lasciato ispirare scrivendo: In tutti i miei sogni si parla di te e più ti allontani mi chiedo perché. Non posso più amare nessuno, nemmeno per fingere danzando tra dubbi e certezze potrò svuotare le tasche dai pesi che ho. E vengo a cercarti leggero per dirti che ti raggiungerò addormentando i giganti e ti riporterò ma con il senno di poi dove eravamo io e te, dove eravamo io e te, come eravamo io e te. Io e te”. I versi selezionati mettono in rilievo la sensibilità, la delicatezza, la poesia con cui Guazzone esprime e disegna un mondo fatto di parole dolci, carezzevoli e pregne di significato. Il protagonista riconosce con saggezza gli errori, li individua e ne fa tesoro per ripartire con nuovo slancio e affrontare la paura, il vuoto, il viaggio, i pericoli, gli spettri del passato e sa che non si tratta di malinconia ma di puro, semplice, prezioso, genuino, amore. Lasciamoci cullare dalla poesia in attesa dell’album che ci auguriamo possa segnare la definitiva svolta artistica di un artista prezioso.

Raffaella Sbrescia

“Mentale strumentale”: il tesoro nascosto dei Subsonica. Recensione

mentale-strumentale-subsonica-cover

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Mentale strumentale” nasce nel 2004 per sancire in modo netto, anticonvenzionale e definitivo la virata verso la libertà dei Subsonica. La rottura all’epoca fu drastica, radicale e soprattutto scomoda. Sedici anni dopo, quel lavoro ritrova la luce per offrirci un viaggio spaziale e artistico, culturale con una finalità nobile: le royalties dell’album andranno infatti a sostegno della Fondazione Caterina Farassino, impegnata con il progetto “Respira Torino”, nato per supportare le attività degli ospedali di Torino e Asti durante l’emergenza sanitaria in corso. La linea di continuità dal passato a oggi risulta evidente nelle intenzioni, in quel sano gusto per la jam session nel senso più autentico del termine. La tracklist non è semplice, così come non è di immediata fruizione. Suoni freddi, distopici, industriali cercano una via di ingresso all’interno del substrato cognitivo e si fanno via via strada in modo contorto e tortuoso. Si passa dal mood metallico di “Decollo a voce off” passando dagli strumenti acustici di “Detriti nello spazio” fino alle percussioni esotiche delle corde boliviane e di un bodhran indiano arrivando alle voci angeliche di Madame Mystere “A di addio”. L’attualità del progetto è tangibile grazie al saggio utilizzo di synth analogici mixati con strumenti a corde e le oniriche suggestioni delle voci trasfigurate di Samuel.Malinconia, oscurità, esoterismo hanno spesso accompagnato il percorso musicale dei Subsonica che, in questo senso, non si sono mai risparmiati. Inquietudini, angosce, speranze, desideri convivono in modo a tratti originale e curioso, a tratti perturbante e sinistro. Il flusso musicale è liquido, così come la fruizione di questo album non può che essere soggetta a diverse interpretazioni anche mutabili nel corso di diverse occasioni di ascolto. “Mentale Strumentale” richiede concentrazione, attenzione e analisi. Le tracce finali e in particolare “Rientro in atmosfera” appaiono come il preludio a una nuova parte di un racconto emozionale rimasto in sospeso, pronto per raggiungere nuovi mondi inesplorati.

Raffaella Sbrescia

  1. Decollo – Voce Off
  2. Cullati Dalla Tempesta
  3. Artide 3 A.M.
  4. A Nord Di Ogni Lontananza
  5. Detriti Nello Spazio
  6. A Di Addio
  7. Tempesta Solare
  8. Delitto Sulla Luna
  9. Strumentale
  10. Rientro In Atmosfera

Scritto nelle stelle: la recensione del nuovo album di Ghemon

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Scritto nelle stelle” è il nuovo album di Ghemon (Carosello Records). In queste nuove undici tracce, l’artista mette a fuoco una fotografia nitida, vivida, concreta di un rinnovato status quo. Coerente alla sua filosofia, Ghemon riesce ad affinare ancora una volta l’uso delle parole ma soprattutto lavora molto bene con il sound. Soul, r’n’b, hip hop, rap, jazz convivono in una miscela sonora che è un unicum raffinato, vivace e mai banale. Trasparente, onesto, per questo a tratti scomodo, Ghemon mette in risalto una personalità spigolosa, mai facile da accettare nella sua totalità ma sempre capace di mostrarsi attraente.

Si parte da “Questioni di principio”, all’interno del brano la disamina di Ghemon è ampia: analisi, giudizi, ridimensionamento, libertà sono i grandi temi che ruotano in questi 4 minuti intrisi di classe. Elettricità e chimica attraversano la trama di “In un certo qual modo”, in cui traspare purezza di intenti e di penna. I pensieri fuori tempo massimo di “Champagne” come Stappo una boccia di champagne per il pericolo scampato, chissà se non mi fossi fermato dove sarei a quest’ora sanciscono una sana presa di coscienza e la voglia di chiudere finalmente un cerchio. Le giornate incompiute raccontano di un periodo diverso da quello che viviamo ma riescono a incastrarsi stranamente benissimo con questa quarantena in lockdown: No, ma quale cena fuori, non provarci nemmeno / Hai ragione, che i miei amici non li vedo da un po’ / È un momento pieno zeppo di giornate incompiute / E di pessime battute nei gruppi WhatsApp / Di delivery che tanto mangio davanti al computer. Così canta Ghemon un po’old school, un po’ avanguardista. Molto intima è “Cosa resta di noi”: un’elaborazione del lutto, il racconto di un’evoluzione personale complessa e mai facile. Tu sei il coraggio che a volte mi manca, scrive Ghemon in “Inguaribile e romantico”. E ancora: faccio fatica in mezzo alle persone perché non so cosa ci si aspetti da me”. Il genio senza coraggio serve a poco. Quanta verità in “Buona stella”. Suggestivi i flashback fedelmente aderenti alla quotidianità tra scuse, assenze, silenzi, ritardi, prese di coscienza di “Io e te” e “Un vero miracolo”. Di grande impatto e promettenti sono le velleità da crooner mostrate nella perla del disco “Un’anima” piena di macchie e di zone d’ombra sì, ma anche fascinosa e raffinata. Il disco si chiude con “K.O”: una ritmica più dura ma funzionale a una dichiarazione d’intenti nitida e definita: mettere da parte l’aria da vittima e non mollare mai il colpo.

 Raffaella Sbrescia

Video: Buona stella

TRACKLIST 

01. Questioni di principio
02. In Un Certo Qual Modo
03. Champagne
04. Due Settimane
05. Cosa Resta Di Noi
06. Inguaribile e Romantico
07. Buona Stella
08. Io e Te
09. Un Vero Miracolo
10. Un’Anima

Settebello: la recensione del nuovo album di Galeffi

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SETTEBELLO” (Maciste Dischi/Polydor/Universal Music) è il titolo del secondo album del cantautore romano GALEFFI pubblicato lo scorso 20 marzo 2020. Prodotto dai Mamakass, duo composto da Fabiò Dalè e Carlo Frigerio, l’album si contraddistingue all’interno di un mare magnum di proposte grazie ad un tipo di approccio alla musica decisamente vivo, frenetico, creativo. Galeffi, all’anagrafe Marco Cantagalli, fa tesoro del felice connubio con i produttori che insieme a lui fanno parte della squadra autorale della Warner Chapell e, senza la frenesia di voler sfornare tormentoni, si prende la sacrosanta libertà di sperimentare mettendo in piedi una tracklist di tutto rispetto. “Settebello” strizza l’occhio al passato in maniera intelligente e dinamica, i testi nascono da suggestioni contemporanee e da rapporti difficili da mantenere ma si accompagnano a reminiscenze jazz, a giri di basso caldi e sinuosi, a echi funky e ad affondi blues. “Ho un cruciverba nella testa, ma quasi mai la soluzione”, canta e scrive Galeffi, a tratti molto vicino allo stile e alle intenzioni di Cesare Cremonini. Inquieto, incerto, appassionato, sguaiato, violento, crudo, nudo, Galeffi mette in campo la sua voce lasciandone scorgere diverse sfumature, vive e attraversa le note rendendole vive, significanti, intense. Cantautorato, itpop, rock, jazz funky, blues, surf garage convivono felicemente senza stancare mai. Il brano più controverso del disco è “Cercasi amore”: nata come una canzone elettronica, successivamente diventata un pezzo per chitarra e voce, poi una ballad ed infine una canzone rock. La gemma della tracklist è invece “America”, il colpo di scena, l’asso dal cilindro, il frutto della volontà dell’artista di prendersi il lusso di mostrarsi per quello che è e intanto “Butto la pasta quel tanto che basta per non sentire il vuoto che c’è”. Vibrano i richiami allo stile di Ghemon in “Grattacielo”, ormai immancabile il divertissement strumentale, stavolta intitolato “Quasi quasi”. Il disco si chiude con “Bacio illimitato”,quasi a sigillare l’epopea sentimentale fallimentare che attraversa un’emotività incerta e in cerca di una nuova consapevolezza che l’esperienza sicuramente saprà dare ad un cantautore dall’ottimo potenziale.

Raffaella Sbrescia

Video: America

Tracklist:
1. Settebello
2. Monolocale
3. America
4. Dove Non Batte Il Sole
5. Grattacielo
6. Quasi Quasi
7. Tre Metri Sotto Terra
8. Cercasi Amore
9. Gas
10. Bacio Illimitato

Immensità: la recensione della suite di Andrea Laszlo De Simone

Immensità - Andrea Laszlo De Simone

Immensità – Andrea Laszlo De Simone

Immensità è il titolo dell’ultimo lavoro discografico del cantautore torinese Andrea Laszlo De Simone, pubblicato lo corso 8 novembre per 42 Records. L’opera è una suite della durata di 25 minuti: nove tracce suddivise in 4 capitoli, con un brano cantato per ogni capitolo. Preludi, interludi, conclusioni si susseguono all’interno di una vorticosa spirale emotiva senza fine. Andrea Laszlo De Simone è un artigiano della musica, la sua visione è il frutto di una ricerca artistica immaginata, concepita, lavorata, veicolata in solitudine. Nella costruzione dei suoi arrangiamenti, l’artista osa, mescola, mette a nudo influenze, idee, suggestioni con calma, tranquillità, lasciandosi cullare dal tempo. Navigando lo spettro delle illusioni Andrea Laszlo De Simone mette a punto un immaginifico percorso di accettazione della realtà attraverso il naturale scorrere del tempo. La musica avanza con prepotenza per raccontarci che siamo in grado di rivoluzionarci completamente molte volte all’interno di una sola vita: ogni volta si ricomincia con dei presupposti nuovi sempre basati sulle stesse dinamiche: c’è una fase di entusiasmo possibilista (il sogno), seguita da un fisiologico ridimensionamento (la realtà), giunge immancabile  lo smarrimento (lo spazio) fino all’accettazione o alla rinascita (il tempo). L’atmosfera ovattata, avvolgente, onirica de “Il sogno” viene incalzata dagli archi e le percussioni de “La nostra fine”. La vita che racconta l’artista è un piano inclinato in cui il domani scivola via. “Così è successo lo sai, la nostra vita sceglie per noi”, canta Andrea mentre prendono vita le suggestioni, gli arpeggi e i violini del brano più ibrido:“Mistero”, incluso nel capitolo “Lo spazio”. Suoni del passato e del presente si incrociano come in una sorta di contrasto biblico, precursore di una svolta empirica. L’ultimo capitolo è il “Il tempo”, raccontato dal brano “Conchiglie”: Ti sei un po’ spaventato / proprio come pensavo / vedrai non serve a niente rintanarti in te stesso / siamo solo conchiglie sparse sulla sabbia / niente potrà tornare a quando il mare era calmo. Ed è tutto chiaro, limpido, nitido e devastante. Il cerchio si conclude e l’opera può finalmente ritenersi pienamente riuscita nell’intento di regalarci un bel mucchio di emozioni. Per chi desidera godere appieno di ogni singolo frame di questo lavoro, da non perdere il mediometraggio con soggetto e musiche dello stesso Andrea Laszlo De Simone.

Raffaella Sbrescia

Mediometraggio: Immensità

TRACKLIST

01. Preludio: Il sogno

02. Capitolo I: Immensità

03. Interludio primo: La realtà

04. Capitolo II: La nostra fine

05. Interludio secondo: Lo spazio

06. Capitolo III: Mistero

07. Interludio terzo: Il tempo

08. Capitolo IV: Conchiglie

09. Conclusione

Dente: la recensione del nuovo album

Dente

Dente

Dente” è il titolo del disco omonimo che Giuseppe Peveri, in arte Dente, ha pubblicato a tre anni di distanza dal suo precedente lavoro discografico. Consapevolezza, coraggio e testi maturi caratterizzano questa nuova prova del cantautore fidentino che per questa volta ha scelto di avvalersi della collaborazione di Federico Laini e Matteo Cantaluppi. Il percorso di lavorazione del disco è stato tortuoso, complesso, a tratti doloroso. Dente mette al setaccio la sua poetica e le certezze acquisite con i precedenti lavori, rimette mano alla narrativa che da lo sempre lo contraddistingue per dare credito a una cifra pop semplice ma allo stesso tempo articolata e ricca di sfumature sonore. E’ proprio in questo fondamentale passaggio che risiede la chiave di interpretazione di questo disco in cui l’autore mette la faccia per testimoniare una chiara intenzione: tirare fuori parti di sé, ora chiare e definite, ora rimaste oscure e in via di definizione. Dente lascia per un attimo la chitarra e scrive al pianoforte, esattamente come accade per accompagnare l’ineludibile testo di “Anche se non voglio”. Liberatoria è anche “Adieu”, una canzone scritta di getto per mettere in chiaro cosa può restare e cosa no. Perturbano gli interrogativi di “Tra 100 anni” e le ipotesi di “Sarà la musica”. Intense, autentiche, immaginifiche le suggestioni di “Trasparente” e “Paura di niente”. Inaspettata la vena romantica e accasata de “L’ago della bussola”. Preziosi i ricordi e le consapevolezze raccontate in “Non te lo dico” ma soprattutto ne “La mia vita precedente” e nel brano di chiusura “Cose dell’altro mondo”. Osso duro di provincia con anima cosmopolita, Dente trova il giusto bilanciamento tra presente e passato, tra giovinezza e maturità, tra punti fissi e nuove prospettive aprendosi e lasciandosi ascoltare senza filtri. Con buona pace dei puristi.

Raffaella Sbrescia

Video: Adieu


Inizia da
0:12

Tracklist

1) ANCHE SE NON VOGLIO

2) ADIEU

3) TRA 100 ANNI

4) COSE DELL’ALTRO MONDO

5) SARÀ LA MUSICA

6) TRASPARENTE

7) L’AGO DELLA BUSSOLA

8) NON TE LO DICO

9) PAURA DI NIENTE

10) LA MIA VITA PRECEDENTE

11) NON CAMBIO MAI

Cosa faremo da grandi? La recensione del nuovo album di Lucio Corsi

Lucio Corsi

Lucio Corsi

“Cosa faremo da grandi?” è il titolo del nuovo lavoro discografico del cantautore Lucio Corsi. L’immaginario di questo giovane artista di Castiglione della Pescaia si destreggia tra allegoriche visioni e metaforiche trasfigurazioni di suoni, immagini, ricordi, concetti, personaggi rappresentati in modo originale e fiabesco. Le 9 ballate che compongono l’erede di “Bestiario musicale” si snodano tra sonorità figlie del glam rock anni ‘70 con il prestigioso contributo di Antonio “Cooper” Cupertino alla co-produzione e di Francesco Bianconi, sempre più magister user di mellotron, prophet, moog, cori, acme siren. Da cantastorie a cantore del surreale, Lucio Corsi si distacca dalla contingenza e dalle tendenze che scorrono frenetiche per mettere in evidenzia un modo di esprimersi e raccontare tutto personale. Le canzoni prendono vita da spunti autobiografici per poi evolversi in riflessioni profonde mascherate da liete novelle. La prospettiva di ascolto è una visuale molto ampia, e lo diventa sempre di più se chi si trova ad ascoltare questo disco è un sognatore, uno ricco di spirito. Si parte dalla title track, concepita tra le rive di Castiglione della Pescaia, per descrivere uno stile di vita peculiare in cui si festeggiano più le partenze che i traguardi, in cui si può smontare tutto ciò che si è fatto per ripartire serenamente verso altre avventure. Il viaggio continua passando tra le evoluzioni sonore di “Freccia bianca” in cui fanno capolino gli echi delle chitarre elettriche tipici del glam rock anni 70 e ispirati a Brian Eno, ai Roxy Music, ai T. Rex. Suggestivi anche i cambi di prospettiva di “Trieste”: l’effetto del vento cambia a seconda di dove si va: se giriamo le spalle e cambiamo direzione, il vento diventa spinta e non è più un freno. E così andare, la narrazione del disco diventa un cortometraggio a colori e si arriva alla figlia del surrealismo puro “Big buca”. La canzone è la messinscena di un’impresa in cui il bambino, protagonista del brano, non lascia nulla al caso: si porta l’aria se non c’è, l’acqua se manca, calcola la forza del vento, tutto per attuare l’agognato piano di arrivare in Cina, dall’altro lato della Terra, e scoprire se il cielo sia un tetto o meno. Magici e commoventi i versi e gli arpeggi di “Amico vola via”. Il racconto armonico si chiude con l’immaginifica “La ragazza trasparente”, una canzone d’amore aulica dedicata a una donna partorita dalla mente di un giovane uomo pronto a sorprendersi e a regalare sogni, quale è Lucio Corsi.

Raffaella Sbrescia

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