Nicola Piovani dal pianoforte al libro in “La musica è pericolosa”: la recensione

Nicola Piovani“La musica è pericolosa” è il titolo del libro scritto da Nicola Piovani, edito da Rizzoli nella collana Saggi Italiani. Il titolo del volume si ispira ae una frase di Federico Fellini, l’indimenticabile regista con cui Piovani, musicista, compositore, direttore d’orchestra, creatore di musica “d’avanguardia e di retroguardia” ha collaborato per diverso tempo. Ad unire queste due speciali personalità una rara amicizia e una profonda sintonia spirituale, raggiunta attraverso l’irresistibile e reciproca attrazione nei confronti della musica.

Proprio la musica, scrive Piovani, agisce ad un livello profondo e inconscio e, attraverso, la fedele narrazione di idee, pensieri e impressioni personali, l’artista ci porta per mano nella sua vita, ci lascia affacciare alla finestra della sua anima per scoprire aneddoti, incontri, esperienze, momenti di vita vissuta e  conoscere le persone, i fatti, i momenti che lo hanno ispirato. Privo di orpelli, appellativi ed onorificenze Piovani racconta se stesso presentandosi innanzitutto come un appassionato e attentissimo amatore della musica, nei cui riguardi invoca amore e rispetto: “La musica merita rispetto, che si chiami leggera o pesante, colta o commerciale. Usarla come uno zerbino sonoro mi ricorda quei milionari texani cafoni che hanno la Gioconda stampata sugli asciugamani, il macinapepe a forma di Tour Eiffel e Albinoni in sottofondo”.

E poi, ancora, “ tanti e diversi sono i modi di frequentare la musica, tante e diverse le ragioni che ci inducono a frequentarla”, scrive Piovani, “una grandissima parte delle musiche che ascolto con attenzione silenziosa, è stata concepita all’origine per espletare una funzione. Il livello espressivo di una musica non è strettamente legato alla nobiltà dell’occasione che l’ha vista nascere”.  Lo sa bene lui che ha composto tante musiche, ormai celeberrime, ispirate anche dalla sua infanzia, come “La banda del pinzimonio” composta per Benigni, la combinazione mi-fa-sol de “Il bombarolo”, scritta per De André, o la canzone “Quanto t’ho amato”, scritta con l’amico Vincenzo Cerami, al fianco del quale ha lavorato per tanti anni. Lui che, nel suo libro, ricorda com’è cambiata la sua vita con l’arrivo in casa della rivoluzionaria Lesaphon Perla, la fonovaligia acquistata per le feste di suo fratello e su cui lui ascoltava insaziabilmente Bach e Beethoven per studiarne ogni singolo dettaglio.  “La musica che mi seduce è quella che sa sorprendermi e arriva spesso da zone diverse da quelle che mi aspetto, quando meno me l’aspetto”,  spiega Nicola, che aggiunge,“ chi non sa stare al tempo, prego andare”, cantava Enzo Jannacci, chi va fuori tempo a volte si crede un artista trasgressivo ma spesso è solo un somaro”.

Attento ai dettagli e alla cura artigianale della costruzione del suono, Piovani dedica anche un’ampia critica al teatro lirico contemporaneo: dal volgare stravolgimento dei grandi classici, all’introduzione dei microfoni a teatro, definiti “viagra della virilità vocale”. Piovani si scaglia contro l’utilizzo delle nuove tecnologie a teatro che rischiano di uccidere l’essenza e l’anima del linguaggio teatrale criticando l’opulenza invasiva della tecnologia. Lui che si è sempre inoltrato come uno sprovveduto esploratore in zone distanti per scoprirne il lessico e le retoriche, detesta la musica passiva, la cosiddetta “musica da parati”, quella musica banale, “di sottofondo”, priva di idee o spunti di riflessione, che spesso accompagna le azioni di ogni giorno, nei luoghi pubblici, in albergo o persino al supermercato e che ci viene proposta per scampare all’abominevole condanna dell’anonimato.

“Le canzoni vivono nell’aria, vengono respirate anche da chi non ci fa attenzione. Le canzoni attraversano la vita dei nostri giorni, delle nostre città, delle nostre intimità, se ne infischiano della critica. Il segno che una canzone lascia nel suo tempo è qualcosa che sfugge all’analisi critica, è qualcosa di imprevedibile, “una delle testimonianze più irrazionali e convincenti dell’essenza del soprannaturale”, per dirla alla Piovani.

Raffaella Sbrescia

Rocco Hunt racconta ‘A verità: la recensione del disco

a-verita-cd-cover“A verità” è il titolo del sorprendente disco di Rocco Hunt, all’anagrafe Pagliarulo. Composto da ben 18 tracce 19 (nella versione digitale),  l’album, pubblicato per Sony Music Italy, dell’acclamato vincitore della sezione giovani dell’ultima edizione del Festival di Sanremo si affaccia nel mondo mainstream mantenendo una spessa corteccia hardcore, grazie ad una serie di assi nella manica. Rocco, originario di Salerno, mette sul tavolo le rime migliori di un repertorio davvero denso di questioni da tenere in considerazione. Questo album sorprende per lo spessore, per il dinamismo, per la franchezza e la qualità dei testi e degli arrangiamenti. Aldilà delle prestigiose collaborazioni presenti nel lavoro, colpisce la visione che Rocco ha del mondo, così giovane eppure così diverso, ma mai distante, da una generazione sbandata e disorientata.

Hunt ha più volte ribadito di voler essere “A’ voce de guagliune” pur non essendo affatto il primo della classe. Il suo parlato è naturale, è sincero e soprattutto rispecchia esattamente una realtà vera, tangibile, che in tanti, troppi, toccano con mano tutto il giorno, tutti i giorni. Bando alle accuse di speculazione e di strumentalizzazione di tematiche difficili e costantemente inflazionate dalla stampa come quelle citate nell’ormai nota “Nu juorno buono”: nelle canzoni di Rocco Hunt c’è gente che si accontenta di mettere il piatto sulla tavola, c’è gente che si arrangia, che si reinventa e che, nonostante il maledetto disinteresse dello Stato, trova ogni giorno la forza per ricominciare una lotta, quasi sempre persa in partenza. Forse quello che si può rimproverare a Rocco è un’ eccessiva dose di positività e di speranza ma come potrebbe non averne un giovane che è riuscito a far fortuna in un contesto inavvicinabile ai più?

Rocco Hunt live @ Teatro Trianon Ph. Luigi Maffettone

Rocco Hunt live @ Teatro Trianon Ph. Luigi Maffettone

Hunt scrive e lo fa tanto, lo ha fatto per anni in strada, con un calzino come filtro per il microfono, dedica una canzone alla madre e chiede più rispetto per le donne in “Na vota ancora”: «Nascimm a na femmena, crescimm cu na femmena, amma purtà cchiù rispett e femmen».  Hunt non le manda a dire a nessuno, canta in “Rh Staff”, di parole al vetriolo ne ha per il presidente del consiglio, per le ragazzine perdute di oggi e per i ragazzi scapestrati di “Giovane disorientato”. C’è spazio anche per l’amore in “Tutto resta” e “Come una cometa”, il dolcissimo brano realizzato in collaborazione con Tiromancino. Rocco usa il dialetto napoletano sottolineando che si tratta di una lingua riconosciuta dall’Unesco in “Vieni con me”, parla di vittorie e sfide in “Replay” e di rimpianti e pensieri in “Nun è fernut’”.

Il testo più completo e più profondo è proprio quello della title track “A verità” in cui Rocco Hunt riesce a toccare nervi scoperti e questioni mai risolte. Si tratta di un testo che fa male, fastidioso, doloroso, prezioso. Il sax e le parole strette tra i denti del maestro Enzo Avitabile scorrono come un flusso di coscienza all’altezza del midollo spinale, da brividi.

Rocco Hunt live @ Teatro Trianon Ph. Luigi Maffettone

Rocco Hunt live @ Teatro Trianon Ph. Luigi Maffettone

Di Emiliano Pepe è invece la voce di “Senza Chances”: «Te può piglia’ ’o Rolex, ma ’ o tiempo non t’’o può accatta’… simme ’e guagliune senza chances», cita il ritornello del brano, che si allaccia a “Ce magnamm’”, la canzone che Rocco Hunt interpreta insieme a Clementino suggellando una fraterna alleanza di intenti.  Poi c’è “Devo parlare”, con Noyz Narcos, in cui ogni parola canta la coscienza sporca di chi giudica, condanna, specula sugli altri.  Nazo e Zoà sono i compagni di microfono di Rocco in “RH staff” che, insieme a “The Show”, in cui compare il featuring con Gemitaz, Nitro e Madman, rappresenta uno dei pochi momenti goliardici di tutto il lavoro discografico di Hunt.

Rocco Hunt live @ Teatro Trianon Ph. Luigi Maffettone

Rocco Hunt live @ Teatro Trianon Ph. Luigi Maffettone

Molto interessante è l’arrangiamento di “Credi”, in duetto con Eros Ramazzotti, per una buona rivisitazione dello storico brano di Edoardo Bennato del 1973, intitolato “Un giorno credi”. “Die young”, porta il featuring con Ensi e, nel condannare una generazione di doppioni che parla al mondo con whatsapp, Rocco trova anche il coraggio di rivelare le sue paure nei riguardi di un domani nebuloso e incerto. Stando alle premesse, per lui ci saranno sicuramente tante soddisfazioni.

Raffaella Sbrescia

Video: “Nu juorno buono”

Snap live, Arenile Reload in love with 90′s

Thea Austine e Turbo B

Thea Austine e Turbo B

Continua la stagione musicale dell’Arenile Reload di Napoli che, lo scorso 29 marzo, ha ospitato sul proprio palcoscenico gli Snap. Si è trattato di un vero e proprio tuffo indietro nel tempo quando, agli albori degli anni ’90, i produttori Luca Anzillotti e Michael Münzing diedero vita all’ambizioso progetto che scalò le classifiche di tutta Europa, grazie alla fortunata miscela di due generi molto diversi tra loro come l’Hip Hop e l’Eurodance.

La carica esplosiva e la carica aggressiva dei due performer Thea Austine e Turbo B sono gli indiscussi elementi chiave che hanno arricchito e completato un repertorio non vastissimo.

Turbo B

Turbo B

Tra i brani più apprezzati dal pubblico naturalmente “The Power” e “ Rhythm is a dancer” eppure gli Snap sono stati in grado di rivisitare i loro stessi brani integrandoli con le più svariate contaminazioni, passando, tra le altre canzoni, dalla contemporanea “Get Lucky” dei Daft Punk alla molto meno recente “The Rythm of the night” di Corona.

Thea Austine

Thea Austine

Techno, acidhouse, drum’n bass convergono nel calderone dance degli Snap che, con “Ooops Up”, “Cult of Snap!”, “Mary Had a Little Boy”, “Welcome to Tomorrow” provarono ad essere i precursori della dance, un movimento musicale che, nonostante gli alti e bassi, è riuscito a mantenere intatto un fascino senza tempo. Dopo il concerto degli Snap, la serata è proseguita con gli interventi in consolle del trio di dj composto da Marco Corvino, Roberto Biccari e Claudio Cerchietto per una notte incurante delle lancette dell’orologio.

Raffaella Sbrescia

Video: “SNAP live, NOI ARE IN LOVE WITH 90′S”

Enrico Rava e Andrea Pozza ci mostrano “certi angoli segreti” del jazz

Enrico Rava 3

Enrico Rava e Andrea Pozza Ph. Luigi Maffettone

Si è tenuto lo scorso 29 marzo, presso l’Auditorium Salvo D’Acquisto di Napoli, il terzo ed ultimo concerto previsto dalla rassegna  “I Colori del Jazz”, prodotta dal Live Tones. Protagonisti del palcoscenico il celeberrimo Enrico Rava alla tromba e Andrea Pozza al pianoforte, due veri e propri fuoriclasse che, insieme, hanno conquistato l’affollata platea partenopea.

Partendo dal presupposto che si sta parlando di musicisti di fama internazionale, straordinariamente preparati dal punto di vista accademico, l’aspetto che, più di altri, rimane impresso è sicuramente quello legato alle speciali doti interpretative con cui i due artisti sono riusciti a trasformare toni e significati di ciascun brano. Risulterebbe superfluo sottolineare gli innumerevoli successi ed il consenso mondiale che Enrico Rava ha saputo conquistarsi nel corso di una carriera a dir poco stellare perché, anche chi  non ascolta jazz abitualmente e non conosce il grande repertorio da cui egli è solito attingere materiali e ispirazioni, sa rendersi perfettamente conto che il suono della sua tromba è un richiamo ancestrale alla bellezza.

Enrico Rava e Andrea Pozza Ph. Luigi Maffettone

Enrico Rava e Andrea Pozza Ph. Luigi Maffettone

Rava e Pozza hanno spaziato tra  melodie e brani tratti dalla miglior tradizione jazzistica, dagli standards più antichi, tratti dal repertorio di Miles Davis e Chet Baker, a qualche incursione nella musica brasiliana di Jobim fino a brani composti dallo stesso Rava; il tutto elaborato in maniera originale ed estemporanea. Il tocco delle dita di Enrico Rava assume la fisicità di una ritualità inquieta, pronta a stravolgere suoni e pensieri. Elegante e consapevole, l’andatura del suo suono rappresenta un monito algido e austero in grado di trasformarsi, da un momento all’altro, lasciando che le increspature strumentali di Andrea Pozza s’intersechino come temibili cavalloni all’interno della melodia.

Enrico Rava Ph. Luigi Maffettone

Enrico Rava Ph. Luigi Maffettone

Enrico e Andrea hanno saputo lasciarsi andare ad un giocoso scambio di intro e out, prima sulle note di uno standard americano, poi su volteggi di “Certi angoli segreti”. Il brano di Rava rappresenta una ricerca strumentale verace e vorace in cui il pianoforte rimane coinvolto in un’affannoso gioco amoroso; un continuo rincorrersi e ritrovarsi dedicato a Nino Rota.

 Andrea Pozza Ph. Luigi Maffettone

Andrea Pozza Ph. Luigi Maffettone

Sulle note di “Retrato em braco e Preto”, Rava e Pozza ripercorrono la costruzione del suono, segmento per segmento, niente è lasciato al caso eppure una grossa percentuale di quello che abbiamo sentito è soprattutto frutto della personalità dei musicisti in questione. Questa è, forse, una delle caratteristiche più affascinanti del jazz: si passa da un’energia frizzante, “malupina” e beffarda alla cupa drammaticità  di un soffio finale nella tromba. Il lirismo e le infinite capacità improvvisative di Rava trovano terreno fertile nella padronanza che Andrea Pozza ha del pianoforte, insieme viaggiano nel tempo e tra i generi musicali, vanno da “Cheek to Cheek” alla bossanova e in questo viaggio c’è tanto spazio anche per il pubblico che, su invito di Rava, si lascia coinvolgere in una corale esperienza di compartecipazione che, insieme all’ultimo bis, ha segnato la conclusione di una serata davvero speciale.

Raffaella Sbrescia

Intervista ad Alessandro Errico: canzoni tra precariato e cantautorato d’avanguardia

Alessandro Errico

Alessandro Errico

Alessandro Errico è un cantautore comparso sulle scene della musica italiana a metà degli anni ’90. Dopo uno sfolgorante inizio di carriera, Alessandro decise improvvisamente di lasciare il palcoscenico per ritrovare una dimensione di equilibrio, necessario per assimilare e comprendere se stesso e le proprie necessità personali e artistiche. Nel corso del tempo Alessandro si è dedicato a svariati progetti e, a distanza di tanti anni, ha deciso di tornare sulle scene a modo suo e con i suoi tempi. Scopriamo come, in questa intervista che l’artista ci ha gentilmente concesso.

Alessandro, il tuo percorso artistico nasce nel 1995 e ha attraversato una serie di fasi molto diverse tra loro… come si è evoluta la tua ricerca musicale nel tempo?

Proverò a raccontare 15 anni della mia storia facendolo a grandi linee. Ho pubblicato due dischi nel 1996 e nel 1997 ottenendo un discreto successo. A quei tempi avevo 19 anni e, probabilmente, ad un certo punto ho spezzato un po’ la corda; ho sentito l’esigenza di prendermi il mio tempo e fare un percorso diverso per ricominciare a crescere. Il successo a volte ti toglie la possibilità di seguire i tuoi tempi, io ero un ragazzino iscritto al primo anno dell’università, volevo capire quello che mi succedeva intorno. Ho fatto una serie di , anche non lontane dalla musica, ho realizzato un progetto discografico prodotto da Gianni Maroccolo, ho lavorato con Edoardo Sanguineti dedicandomi ad un genere più di nicchia. Questo disco rappresenta, quindi, una sintesi tra quello che facevo un tempo e quello che ho fatto in tempi più recenti. Con il singolo “Il mio paese mi fa mobbing” sono partito da una musica molto popolare per arrivare ad un tipo di ricerca avanguardistica.

Alessandro Errico

Alessandro Errico

Quali sono la storia, la genesi e gli obiettivi del brano “Il mio paese mi fa mobbing?

Si tratta di una lettera.  Ho pescato nella tradizione epistolare, il mio referente è un presidente a cui racconto come vivo il mio paese e quello che il mio paese mi fa. Questa è l’unica canzone che ho scritto di getto in vita mia ed è effettivamente uno sfogo rielaborato perché, in fin dei conti, la forza di una canzone è riuscire ad essere il più possibile universale. Ho cercato di raccontare non solo quello che ho vissuto durante la mia esperienza di 15 anni da precario ma ho anche voluto raccontare cosa significa vivere in un paese come il nostro, in chiave ironica. Odio la polemica sterile del muro contro muro, dell’uno contro uno. Credo che un artista vada valutato non solo per le sue canzoni ma anche per la sua coerenza, nonché per la capacità di raccontare qualcosa senza entrare nei meccanismi della polemica sterile.

“La guerra si combatte tutti i giorni e tutti i giorni si muore un po’”?

Il riferimento principale di questa frase è “Le Déserteur”, una canzone pacifista di Boris Vian, cantata anche da Fossati con una traduzione bellissima. Il personaggio principale del brano non vuole andare in guerra, è un disertore che non ha armi e non sa sparare. Io ho riletto questa canzone in maniera tagliente, il mio paese mi ha portato a dire “Maledizione, io armi non ne ho”. Questo paese è quello che ti porta a dire che sei in guerra, una guerra diversa dal disertore di Vian, una guerra non convenzionale come può essere quella del mobbing, qualcosa che in molti hanno sperimentato sulla propria pelle sottoforma di un continuo e lento disgregarsi dell’anima e della mente, a causa di fattori esterni che non sono ben identificabili.

Ci racconti la tua esperienza di #sanremoperforza?

Il retroscena è molto situazionista. L’idea era quella di fare riferimento alle scelte dei selezionatori del Festival con canzoni che parlavano solo di sentimenti. In un periodo così drammatico per il paese, fare un festival in chiave intimista non è il massimo della coerenza ma, onde evitare la solita polemica pre-sanremese, mi sono chiesto come avrei potuto fare per raccontare un’altra realtà e mi sono inserito subdolamente con finti scoop e finte pagine di giornale ed è stato un divertente corto circuito tra finzione e realtà …Tutti mi chiamavano per chiedermi perché non mi fossi esibito sul palco ed è stato stranissimo! Alla fine, attraverso questo gioco, io ed il mio staff  siamo riusciti a parlare di lavoro e di crisi in un contesto che non dovrebbe essere una zona franca.

A cosa stai lavorando adesso? Ci sono nuovo brani pronti per l’album? Che prospettive hai?

In realtà non sono convinto che l’album implichi il fine di un progetto. Sento che quello sia un po’ uno schema, un paradigma che nasceva qualche anno fa, quando ancora esistevano i cd. Per quanto mi riguarda è già uscita una canzone qualche mese fa, molto diversa da “Il mio paese mi fa mobbing”, s’intitola “Mai e poi mai”. Dopo 15 anni di assenza vorrei portare avanti un discorso un po’ più a lungo termine ed entrare in un circuito diverso da quello classico.

E per quanto riguarda la dimensione live?

 Sto preparando qualcosa di molto speciale che annuncerò sui miei canali… sto cercando di capire come fare per portare questa lettera al suo legittimo destinatario!

Raffaella Sbrescia

Si ringraziano Alessandro Errico e Alessandra Placidi per la disponibilità

Video: “Il mio paese mi fa mobbing”

Marco Mengoni: nel video de #Lavalledeire è il sovrano delle emozioni

Marco Mengoni

Un fotogramma tratto dal nuovo video di Marco Mengoni

“Tornerò all’origine” cantava Marco Mengoni ne “#L’Essenziale” e così ha fatto anche nel videoclip de “#Lavalledeire”, il nuovo singolo estratto dal fortunatissimo album “#Prontoacorrere”, scritto per lui da Cesare Cremonini. Il video, nato proprio da un’ idea di Mengoni e girato da Gaetano Morbioli per Run Multimedia, contiene delle immagini inedite che riprendono alcuni dei momenti più belli e più significativi dell’infanzia dell’artista. Trasmesso in anteprima da Sky Uno, il video ha subito assunto una fortissima valenza emotiva per i tantissimi fan di Marco, che hanno interpretato questo gesto come una dedica alla loro costante presenza e come intento di totale condivisione di idee, ricordi, sogni, speranze.

 Marco Mengoni da bambino in un fotogramma tratto dal video dell'artista

Marco Mengoni da bambino in un fotogramma tratto dal video de “#Lavalledeire”

Nelle immagini di questo video Marco stabilisce un’intima connessione tra la quotidianità del passato e quella del presente all’insegna della semplicità: niente corone, niente palazzi, niente regine, solo sorrisi e affetti sinceri su cui contare per proseguire dritti per la propria strada.  Il suo presente contiene il passato e viceversa, l’arrangiamento magico e onirico del brano si accompagna a delle immagini che, nella loro autenticità, racchiudono un mondo fatto soprattutto di emozioni veraci. Marco ha voluto mostrare la sua essenza spogliandosi degli orpelli che fin troppo spesso finiscono per infangare l’idea che abbiamo della parola arte. Arte è riuscire a rimanere se stessi pur seguendo un percorso ben preciso. Mengoni ha dunque lasciato che il “fanciullino” Pascoliano venisse fuori, si è messo a nudo davanti a tutti e lo ha fatto proprio in un’epoca in cui si ha tanta difficoltà a mostrarsi per quello che si è davvero. Nell’era dei social addicted si ha paura di essere fraintesi, di apparire fragili e vulnerabili ma Marco Mengoni ha saputo fare di tutto questo un punto di forza attingendo energia dalle sue radici. Se nel disco Marco canta “e non mi importa se tu non ci sei…” sul palco, durante il tour, l’artista ha spesso modificato il testo della canzone cantando con gli occhi velati di emozione “Anzi, mi importa se tu, tu ci sei”, un appello a cui sanno sempre rispondere con puntualità i fedelissimi fan dell’artista che, come membri di una grande famiglia, di minuto in minuto postano sui canali social di Marco commoventi dediche e testimonianze di profondo ed incondizionato affetto. Marco è il re delle emozioni perché in tutto quello che fa mette sempre il cuore davanti.

Raffaella Sbrescia

Perturbazione live a Napoli tra fiumi di note e sudore

Perturbazione live@ Duel Beat

Perturbazione live@ Duel Beat

La macchina sforna note del Suo.Na continua a mietere successi. Ultimo, in ordine di tempo, il concerto dei Perturbazione, tenutosi lo scorso 27 marzo presso la Sala 1 del Duel Beat di Agnano. La band made in Rivoli, provincia di Torino, è approdata a Napoli, caricata a molla, per una serata fatta di canzoni cantate a squarciagola e di fiumi di sudore. Ad inaugurare l’evento il sofisticato djset di Irene Ferrara, regina della movida partenopea, e i Borderline che hanno eseguito brani inediti, voce e chitarra, per dare spazio a urlate riflessioni esistenziali. Cinque brani che lasciano intendere l’esistenza di una gioventù ancora attenta a ciò che smuove il mondo che ci circonda… da approfondire.

Alle 23.30 salgono sul palco i beniamini della serata: Tommaso Cerasuolo (voce), Gigi Giancursi (chitarra), Elena Diana (violoncello), Cristiano Lo Mele (chitarra), Rossano Antonio Lo Mele (batteria), Alex Baracco (basso) si lasciano subito travolgere dal gran calore con cui il pubblico di Napoli li accoglie. L’elettronica la fa da padrona in “Musica X”, primo brano in scaletta, seguito da “Se mi scrivi” e dalla fresca e coinvolgente “Diversi dal resto”. I Perturbazione rappresentano uno dei frutti migliori che il sottobosco della musica italiana ci propone, ascoltarli dal vivo è una gioia per gli occhi e per le orecchie.

Allegra è anche “Buongiorno Buonafortuna”, un po’ meno il testo de “Il senso della vite”: “Col senso della vite vai incontro a frustrazioni, non trovi il verso giusto  è come scrivere canzoni”, cantano i Perturbazione, che hanno un’idea molto chiara di cosa significhino le parole sacrificio e passione. La musica della band piemontese è fresca, è carica, è, in una parola, bella. I testi riescono ad offrire una chiave di lettura diversa della quotidianità e questo rappresenta un importante punto a favore dei Perturbazione che non si risparmiano nemmeno per un momento.

Perturbazione live

Perturbazione live

La scaletta continua sulle note del brano sanremese “L’Italia vista dal bar”: “questi siamo noi, poeti, santi ed avventori e mediamente eroi”, dice il testo della canzone, dipingendo un fedele ritratto del popolo italiano. “Se l’amore è un gioco quali regole ti dai?” , questo il leit motiv di “Battiti per minuto”, uno dei brani più apprezzati dal pubblico, seguito dal ritmo travolgente di “Questa è Sparta” e dall’arrangiamento romantico di “Baci vietati”. “Mondo tempesta” lascia che l’elegante ed irrinunciabile fascino del violoncello di Elena Diana  regali un’aura speciale al brano. “Non è la fatica è lo spreco che mi fa imbestialire, non è la fatica è lo spreco”, canta Tommaso in “Del nostro tempo rubato”. Lo spettacolo non conosce intervalli, i Perturbazione proseguono implacabili con la loro super scaletta. Subito dopo “La vita davanti” arriva “L’Unica”, il brano che ha riscosso un grande successo durante l’ultima edizione del Festival di Sanremo e che ha letteralmente fatto scatenare tutti i presenti. Al sopraggiungere dei bis c’è spazio per “Chiticapisce”,  l’intima magia di “Agosto” e “Nel mio scrigno” per non lasciare niente in sospeso in un  live di ineccepibile qualità.

Raffaella Sbrescia

Intervista a Valeria Vaglio. La cantautrice pugliese racconta “Il mio vizio migliore”

Valeria Vaglio

Valeria Vaglio

Valeria Vaglio  è una cantautrice pugliese. Il suo percorso si avvicina alla musica fin dalla più tenera età. Attiva sostenitrice di Amnesty International e delle campagne contro l’omofobia, Valeria è anche direttrice dell’etichetta discografica Bobo Records.  Da oggi, venerdì 28 marzo, è in rotazione radiofonica “Il mio vizio migliore”, il primo singolo estratto dal terzo omonimo album di inediti, disponibile in digital download e su tutte le piattaforme streaming.

Abbiamo raggiunto Valeria al telefono per raccogliere le sue impressioni su questo disco ma anche per imparare a conoscere la sua personalità forte e decisa.

“Il mio vizio migliore” è il titolo del tuo terzo album. In queste 10 tracce c’è tanta emotività e tanto spazio ai sentimenti. Quali sono i fatti a cui ti sei ispirata e con quale spirito hai lavorato a questo disco?

Questo non è nato come un disco completo, ho scritto man mano delle cose senza pensare che sarebbero finite in un album.  I contenuti sono abbastanza eterogenei: si parla di tante cose che mi sono successe ma anche di fatti che non ho vissuto in prima persona. Per me scrivere è soprattutto il frutto di una necessità. Dopo 4 anni ho sentito che il momento di scrivere qualcosa di nuovo era arrivato senza pensare alla situazione attuale della discografia italiana. Nelle mie canzoni parlo non solo di me ma anche degli altri e questa cosa l’ho riscontrata anche negli altri due dischi precedenti. Per quanto differenti possano essere le vite che viviamo, le problematiche da affrontare sono le stesse e non c’è niente di più bello che ritrovarsi nelle parole di un’altra persona.

“Torna presto” è uno dei brani più toccanti del disco. Come mai hai scelto di dedicare spazio ai pensieri di un soldato?

Si tratta di un tema che mi tocca molto, non ho parenti in esercito ma c’è stato un periodo in cui questo era un argomento molto trattato, e anche se oggi non fa più notizia,  lo stato delle cose è rimasto inalterato e il dramma della guerra continua a coinvolgere migliaia di famiglie.

Valeria Vaglio

Valeria Vaglio

Qual è il tuo “vizio” migliore?

Il mio vizio migliore è non parlare dei miei vizi ma fare in modo che si scoprano, elencarli diventerebbe una cosa triste! In ogni caso attraverso la mia musica e i mezzi di comunicazione, che utilizzo per essere sempre molto vicina alle persone che mi seguono, si può scoprire facilmente qualcosa della mia persona.

“Distesa” è una canzone di rinascita individuale?

Venivo fuori da un periodo buio poi, ad un certo punto, ho preso coscienza di quello che ero stata in grado di affrontare e, seppur con qualche graffio, ho ripreso in mano la mia vita…La frase più importante è “Nessuno è importante più di me”, sento tante volte dire “tu sei la persona più importante della mia vita”, secondo me, invece, se non ci vogliamo bene noi per primi, non possiamo amare nessun’altro.

Cos’è per te il viaggio?

Per me il viaggio rappresenta un momento di  arricchimento, anche senza pensare necessariamente ad un viaggio lungo. Il viaggio sono soprattutto le persone che si incontrano! Ogni giorno, quando giro per Roma, mi guardo molto intorno, mi piace tanto vedere la gente cosa fa, cosa guarda… il confronto con il resto del mondo è importante quindi che un viaggio duri 10 minuti o un anno, per me ha lo stesso identico valore.

Che rapporto hai con la musica? C’è qualcosa di autobiografico ne “L’ultima canzone”?

Sì, sicuramente! Io e la musica siamo legate da un legame che non si è riuscito a spezzare neanche quando ci ho provato …è successo già un paio di volte ma, nonostante sia la cosa più bella che ho, per me la musica è una specie di condanna, questo mi fa sorridere perchè alla fine, forse, non riuscirei a vivere senza. Non ho mai avuto la frustrazione del foglio bianco, anzi, se non scrivo, pace. Tuttavia ci sono momenti in cui questa instabilità lavorativa ti mette davanti alla condizione di pensare ad altro ed ogni volta ci si trova davanti a qualche evento che riesce a farti continuare. “L’ultima canzone” è un brano che ho scritto un po’ pensando che fosse veramente l’ultimo, poi, però, mentre lo scrivevo, mi sono resa conto che quello era proprio un modo per  ripartire.

Il sound di “ Sand like snow” si differenzia un bel po’ dagli altri brani…come mai?

Il brano è la colonna sonora di un’opera prima, cioè del film “Wax”.  Suonavo questa canzone in acustico nel film poi ho deciso di farne una versione molto aggressiva ed è venuta fuori così.

Valeria Vaglio in uno scatto tratto dalla fanpage di Facebook

Valeria Vaglio in uno scatto tratto dalla fanpage di Facebook

Come hai vissuto la collaborazione con il regista Lorenzo Corvino per la colonna sonora di “Wax”?

Insieme abbiamo dapprima  realizzato il  videoclip del brano “Dio quanto sto bene senza te”, tratto dal mio secondo album, girandolo interamente con un Iphone 4. Da questo rapporto lavorativo è venuta fuori una bellissima amicizia. Sono stata una delle primissime persone che ha letto la sceneggiatura del film e ne sono rimasta così incantata da riuscire a scrivere un pezzo immaginandomi il film, quasi come avessi letto un libro. A Lorenzo questa cosa è piaciuta a tal punto da decidere non solo di inserire  il pezzo dentro il film,  ma anche di renderlo il punto cardine intorno a cui ruotano una serie di eventi. Sono molto onorata di questa cosa anche perchè il film è davvero molto bello.

Tra le tante cose di cui ti occupi, sei anche direttrice dell’etichetta Bobo Records. Come gestisci questa tua doppia veste?

Ho creato questa etichetta con degli amici per fare qualcosa che rispecchiasse per davvero i gusti miei e di quelli di molte altre persone che non trovano riscontro in quello che, invece, la discografia in questo momento propone. Stiamo lavorando a progetti non troppo difficili, la musica per me non deve essere di nicchia, deve essere qualcosa di fruibile subito e in qualsiasi momento. Il mio disco è quello a cui ho lavorato personalmente ma mi piace interagire con gruppi giovani di ragazzi, che magari hanno delle bellissime idee, ma hanno altrettanto bisogno di essere diretti.  Quello della musica è un mare magnum e, se non si sa a chi rivolgersi, cosa fare e cosa dire, si rischia di essere inglobati in un sistema che finisce per buttarti via. Questo è proprio quello che voglio evitare cercando innanzitutto di valorizzare le risorse del territorio (Puglia). L’etichetta ha, infatti, sede a Bari e intende aiutare tanti artisti pugliesi che meritano di lavorare con tranquillità senza dover andar via come ho dovuto fare io.

Dove e quando potremo ascoltarti dal vivo?

Stiamo ancora definendo le date! Il 4 aprile sarò a Pila ( Valle D’Aosta), il 13 aprile a Bari il 26 aprile a Milano e il 18 maggio sarò a Genova in occasione della Fiera Internazionale della Musica. Ovviamente le date sono in continuo aggiornamento sia sul mio sito che sui canali social. Per quanto riguarda il concerto che intendo proporre, ho preferito pensare ad un acustico un po’ particolare: mi esibisco con una loop station con cui riesco a riprodurre grande parte del sound di una band. Questo perché muoversi con tante persone è molto più difficile sotto tanti aspetti ma anche perché mi piace esibirmi in posti intimi, dove la gente non è tantissima ed è attenta. Questa è la mia dimensione ideale, ho bisogno di sentire il contatto con le persone e di  ascoltare il respiro della gente in platea.

Raffaella Sbrescia

Si ringraziano Valeria Vaglio e Roberta Ruggiero dell’Ufficio  Stampa Parole e Dintorni per la disponibilità

I ritratti di… Roberto Panucci. L’intervista al fotografo delle emozioni sottopalco

Roberto Panucci

Roberto Panucci Ph. Fabrizio Caperchi

Roberto Panucci è uno dei fotografi professionisti più stimati d’Italia. La sua carriera, iniziata quando era ancora adolescente, lo ha visto protagonista di un percorso professionale estremamente variegato: dalla tradizionale camera oscura, Roberto è passato alla fotoriproduzione e alle arti grafiche conferendo un ulteriore aspetto di completezza alle sue competenze. Da tantissimi anni Roberto opera, con successo, nel mondo della fotografia musicale. Fotografo ufficiale di Pino Daniele e del concertone del Primo Maggio a Roma, Roberto collabora con alcuni dei più prestigiosi magazine specializzati in campo musicale. Sono centinaia i concerti che Panucci fotografa ogni anno attraverso la preziosa lente dei suoi super obiettivi ed è proprio per queste ragioni che l’abbiamo incontrato per conoscere i segreti, le problematiche e le soddisfazioni di un “ritrattista di note” come lui.

Roberto hai trascorso trent’anni e più dietro un obiettivo…Su cosa si orienta la tua ricerca visiva e come cambia in base al contesto in cui ti trovi ad operare?

Molte volte ti lasci trasportare dal momento, questo dipende anche dalla situazione e dal lavoro che stai facendo. In genere il lavoro durante i concerti è molto più difficile da gestire perché spesso abbiamo a disposizione solo uno, due o tre pezzi e, in un tempo minimo, devi riuscire a portare qualcosa di buono a casa. La cosa che sicuramente viene più naturale è lasciarsi trasportare, rapire da quello che succede di fronte a  te. Ognuno possiede, dentro di sé, il proprio modo di vede le cose ma, quando sei sottopalco, devi cercare di lasciare da parte i tuoi pensieri e gli eventuali problemi che attanagliano la mente. Il tuo compito è dedicarti anima e corpo a quello che succede sul palco.

Marco Mengoni Ph. Roberto Panucci

Marco Mengoni Ph. Roberto Panucci

Spesso le tue foto costituiscono un filo che unisce l’artista e lo spettatore, ti capita di pensare all’importanza che riveste il tuo ruolo?

Certo, ci penso spesso! Si tratta di un grande onore per me perché è una cosa bellissima. Secondo me riuscire a rendere anche un  solo decimo di quello che vedo e trasmettere alle persone che vedranno le mie foto i momenti e le emozioni, che ho il privilegio di poter vivere, spesso a pochi metri o addirittura  a una manciata di centimetri di distanza dagli artisti, è un dono molto prezioso. Magari alcuni di questi artisti sono degli idoli per tante persone mentre per noi, addetti ai lavori, non lo sono ed è molto importante cercare di lasciare da parte proprio questo. Molte volte capita, infatti, di fotografare qualcuno che non ci piace artisticamente ma, nonostante ciò, dobbiamo pensare di dover dare la possibilità alle persone di vedere qualcosa attraverso i nostri occhi. Gli strumenti di questo lavoro sono ovviamente le attrezzature che, insieme all’esperienza e all’intuito,  costituiscono le risorse fondamentali per riuscire nel nostro compito. Molte volte le persone ci scrivono, ci arrivano dei messaggi davvero emozionanti ed è in questi momenti che ci si rende conto del fatto che esiste una linea che collega l’artista che sta sul palco, noi che lo fotografiamo e le persone che, attraverso i nostri scatti, rivivono o si interfacciano con le loro emozioni.

Quanto e come cambia l’approccio tecnico e l’attrezzatura necessaria a seconda delle location in cui dovrai scattare le tue foto?

Ovviamente l’attrezzatura è cambiata negli anni e si è adattata anche ai cambiamenti del mio ruolo. Attualmente ho tre corpi macchina: una Nikon D3s, una D3 e una  D700, che ormai uso per le emergenze, poi ho una serie di ottiche professionali della Nikon: 14-24,  24-70, E 70-200, della serie Nano Crystal in f.2.8 fisso che, a qualsiasi distanza focale, mantiene nello zoom il diaframma minimo sempre a 2.8. Poi ho anche un duplicatore Nikon 2x ed è quello che sta sempre in borsa; se so che saremo molto lontani dal palco, uso quello perchè è  un ottimo compromesso tra qualità e luminosità e la perdita focale è veramente quasi impercettibile. Infine ho il 400 F  2.8 della Nikon, un gioiello che uso solamente quando mi trovo ad una notevole distanza dal palco. Per esempio artisti come  Madonna, Sting, Bruce Springsteen danno forti limitazioni di spazio mettendoci a 40-50 metri di distanza e questo obiettivo è l’ideale, anche se ha bisogno di un monopiede in grado di  reggere un peso fino ai 12 chili perché,  tra macchinetta, obiettivo e duplicatore arriviamo già a oltre 7 chili.

Giuliano Sangiorgi Ph. Roberto Panucci

Giuliano Sangiorgi Ph. Roberto Panucci

Cosa pensi del fatto che sempre più spesso ci siano sedicenti fotografi sottopalco?

Per risponderti a questo serve una piccola riflessione.

Questo è sicuramente un periodo particolare. Il dietro le quinte non è assolutamente conosciuto. Per andare avanti in questo mondo bisogna essere scaltri e flessibili. Spesso, infatti, mi chiedono cose un po’ particolari: ad esempio, in occasione del prossimo concertone del Primo maggio a Roma,  mi hanno chiesto, in qualità di fotografo ufficiale della manifestazione, di scattare e pubblicare delle foto in diretta;  con me ci sarà uno staff a darmi una mano e in pochi minuti manderemo gli scatti alla redazione del Primo Maggio che, a sua volta, posterà le foto sui social networks. Questa, che può sembrare una stupidaggine, implica l’utilizzo di un computer importante che normalmente  è un Mac che ha dei costi non indifferenti, a cui bisogna aggiungere tutto il resto, pulizie e manutenzione delle macchinette e degli obbiettivi… e son sempre cifre non indifferenti… a questa, e ad altre cose, non ci pensa mai nessuno e il professionismo si è un po’ perso. Quando faccio corsi e, oppure, vado in Sicilia, come socio Onorario di Castelbuono Arte&Immagine, partecipo a piccoli stage. Si tratta di chiacchierate poco tecniche, senza presunzione. Spesso, però, nascono dei discorsi che ruotano proprio intorno all’idea di poter frequentare la pazzesca  zona sottopalco. Alla fine di tutto questo ti devo dire che purtroppo il 90% dei ragazzi che si avvicinano a questo mondo chiede l’accredito per incontrare o vedere da vicino il proprio artista preferito. Questo è accettabilissimo però, spesso, non capiscono che più della metà dei fotografi svolge questa attività come un lavoro serio per riviste importanti e non per stare a cantare e a ballare. Molte volte questi personaggi ci sono d’impiccio perché non c’è tempo da perdere, facciamo un po’ per uno e ci dividiamo i punti strategici. Con Ligabue, ad esempio, il palco è alto almeno 2 metri ed è dotato di un impianto particolare, comprensivo di una terrazza in cui lavorano i cameraman e il fotografo ufficiale dell’artista. Ovviamente si tratta di cercare di beccarlo tra gli spazi vuoti e spesso abbiamo solo 7 minuti a disposizione. Proprio in questi casi ci si rende conto di quanto sia importante riuscire a svolgere comunque un buon lavoro in totale collaborazione tra tutti… ma senza cantanti e ballerini sottopalco.

Pino Daniele Ph. Roberto Panucci

Pino Daniele Ph. Roberto Panucci

Qual è la tua condizione ideale di lavoro?

Ovviamente quando sei fotografo ufficiale di un evento o di un artista hai a disposizione tutto il tempo e lo spazio che vuoi. Posso salire sul palco, come mi succede con Pino Daniele, con cui lavoro da due anni, posso muovermi tra i musicisti, sbuco nascosto dalle batterie e dagli amplificatori trovando angoli di visione che altrimenti è quasi impossibile avere, si tratta di un  premio alla fiducia da parte della produzione ed è proprio in questi casi che mi sento  in un angolo di paradiso.

Normalmente l’ideale è trovare un pit tranquillo in cui nessuno ci ronza intorno, in cui tutti abbiamo facilità di visione con un palco non troppo alto, senza troppi monitor. Esempio: al Rock in Roma il palco è altissimo, si tratta di almeno 2 metri, 2 metri e 10, le visioni sono molto frammentarie e non è facile lavorare per nessuno. Quando, invece, i palchi sono più comodi, riusciamo ad ottenere dei risultati davvero ottimi.

Skin Ph. Roberto Panucci

Skin Ph. Roberto Panucci

Ci parli della tua mostra personale “Dentro la musica?

La mostra è andata molto bene, è piaciuta  davvero molto sia al pubblico che alla critica specializzata. Stavolta non l’ho prodotta io bensì un locale romano, si tratta del LӧKoo, un’associazione culturale con belle idee, il loro ufficio stampa è una mia collaboratrice per cui si è trattato di un lavoro collettivo. La mostra è stata presa in considerazione anche dal Lanificio 159, sempre a Roma, e verrà riproposta probabilmente a maggio. Si tratterà di un evento con qualche ospite musicale importante che si esibirà dal vivo. Questo progetto mi ha regalato tante soddisfazioni, si tratta di un grande riconoscimento che mi riempie di emozione. Sono cose di cui non mi vanto e che non mi piace sbandierare, spero solo che quello che faccio venga riconosciuto e che passi prima di tutto l’emozione.

Dave Gahan Ph. Roberto Panucci

Dave Gahan Ph. Roberto Panucci

Qual è lo scatto migliore che hai realizzato e quello che vorresti realizzare?

Normalmente si dice che lo scatto che vorrei realizzare è quello che verrà. Questo è vero perché, in fin dei conti, quando fai 200 concerti l’anno per non cadere nella routine, cerchi un modo per andare avanti senza farti del male, artisticamente parlando. Devo ammettere di aver avuto dei momenti magici come, ad esempio, la foto in cui Robert Smith sembra avere un’aureola attorno alla testa o quella in cui, durante il Neapolis, riuscii a beccare uno sguardo incredibile di Skunk Anansie: lei saltava sul palco, ad un certo punto scomparve, il palco era molto basso, io mi guardai attorno e me la ritrovai a gattonare, correndo verso di me, a quel punto ho alzato la macchinetta più vicina che avevo e scattai tre scatti al volo, in manuale, ed è venuto fuori uno sguardo intenso a circa 2 metri da me, dritto dentro la macchinetta. In quell’occasione ho avuto un brivido perché poi subito dopo è scomparsa. Sono cose che ti rimangono dentro ed è bello riuscire ad avere questo tipo di scambio umano. Ci sono artisti freddi, quasi teatrali, che fanno le stesse cose, altre volte, invece, nasce anche un dialogo fatto di sguardi e di sorrisi tra noi che siamo sotto palco e loro che ci sono sopra e questo ci fa sentire considerati, al centro di uno scambio emotivo.

Qual è uno degli episodi più recenti che ti è rimasto nel cuore?

Lo scorso 7 marzo Craig David ha fatto un’esibizione dal vivo per Radio Rai 2 di cui non sapeva nessuno. C’eravamo io, lui ed il suo manager. Craig mi ha salutato subito, mi ha chiesto come mi chiamavo, ho potuto fotografarlo ad  metro e mezzo di distanza dalla consolle e queste foto hanno fatto grossi giri in soli due giorni. Dico questo non per vantarmi ma per sottolineare che sono molto contento del cammino che quelle emozioni sono riuscite a fare. Trovo giusto dire anche che 30 anni fa tutto questo non sarebbe stato possibile e che l’importante è non montarsi la testa e rendersi sempre conto delle cose che ci circondano. Ai giovani dico, invece, di farsi rispettare un po’ di più, di non limitarsi alla gloria dettata dai social. Bisogna avere il coraggio di farsi rispettare con educazione e di far comprendere il valore del  proprio lavoro.

Si ringrazia Roberto Panucci per la disponibilità

Raffaella Sbrescia

Cesare Cremonini, la recensione del singolo “Logico #1″

Logico #1 coverNel giorno del suo 34º compleanno Cesare Cremonini presenta “Logico #1”, il primo singolo estratto dal nuovo album di inediti che l’artista bolognese pubblicherà il prossimo 6 maggio, a due anni di distanza da “La Teoria dei colori”, il lavoro discografico che ha contribuito in maniera essenziale alla consacrazione cantautorale di Cremonini. Sulla scia di questa felice e fortunata fase artistica, Cesare si è concentrato anima e corpo, lasciandosi coinvolgere dalla ricerca musicale e contenutistica che, negli ultimi tempi, ha scandito la lavorazione del suo nuovo album. Il primo entusiasmante risultato è già tangibile nella straripante energia di “Logico #1”: la sognante intro al pianoforte lascia subito spazio all’immaginazione, synth movimentati conferiscono un tocco british al sound della canzone che offre quasi la sensazione di essere nel bel mezzo di un viaggio. Frame dopo frame domande e risposte, autovalutazioni e speranze si susseguono tra rimandi ai The Kooks e ai Coldplay, senza tralasciare la spessa impronta de Le Strisce di Davide Petrella. “Per ogni domanda componi un verso, non siamo soli in questo universo”, canta Cremonini, e poi, ancora, “non succede quasi mai di credere che sia possibile trovare un complice in questo disordine” e, nell’ammettere che “la logica non è sincera”, il poeta delle note si chiede se “l’amore sia una cosa vera”. Mentre proviamo a scoprirlo le sue parole ci aiuteranno senza dubbio a barcamenarci tra tentativi, incontri e scoperte.

Raffaella Sbrescia

Next Posts