Ballate per uomini e bestie: la mastodontica opera d’arte di Vinicio Capossela

Poesia, filosofia e denunzia confluiscono in “Ballate per uomini e bestie”, il nuovo album del cantautore, ri-trovatore e immaginatore Vinicio Capossela. In questo undicesimo lavoro in studio l’artista studia, analizza e metabolizza la realtà in un modo del tutto inusuale, complesso, ricco e potente. In questi 14 brani Vinicio si rapporta con storia, letteratura, filosofia, religione, poesia. L’Arte a tutto tondo prende il volo in queste ballate potenti e maestose, impreziosite da arrangiamenti strutturati, originali, spesso ispirati a medioevo, rinascimento e barocco. Un excursus antropologico di una portata tanto imponente quanto ben al di soprà delle possibilità cognitive di chi andrà ad ascoltarlo.
Nel presentare il disco, Vinicio Capossela racconta: “Questo lavoro parla della scomparsa dei vincoli sociali, si mette in luce l’aspetto anarchico del sé. All’interno del contesto in cui avviene questa autoanalisi c’è la peste. Il filo discorsivo sviscera la propagazione virale della stessa. I protagonisti sono animali antropomorfizzati in una dimensione plurale e ricca di spunti e mezzi narrativi. Il disco offre tante letture e porta a termine una serie di studi, approfondimenti, spunti, idee che ho portato avanti per 7 anni. La forma della ballata mi permette di raccontare delle storie attraverso un linguaggio erudito, edotto. Mi piace l’idea di fornire spunti, richiami, analogie e confondere l’immaginario di chi ascolta. In questo disco mi sono cimentato anche con nuove sonorità, su tutte quelle date dagli archi ipnotici di Teho Tehardo, si tratta di un mondo che ho scoperto da poco e che mi ha affascinato”. Il lavoro è stato scritto, composto e prodotto da Capossela mentre è stato registrato nell’arco di due anni tra Milano, Montecanto (Irpinia) e Sofia (Bulgaria) da Taketo Gohara e Niccolò Fornabaio. I compagni di viaggio di Vinicio sono stati: Alessandro “Asso” Stefana, Raffaele Tiseo, Stefano Nanni, Massimo Zamboni, Teho Teardo, Marc Ribot, Daniele Sepe, Jim White, Georgos Xylouris e l’Orchestra Nazionale della Radio Bulgara”.
In un’epoca in cui il mondo occidentale sembra affrontare un nuovo medioevo inteso come sfiducia nella cultura e nel sapere e smarrimento del senso del sacro, Capossela mette in mostra le similitudini e il senso di attualità che lo legano profondamente alle cronache dell’oggi prestando particolare attenzione al suono e al significato della parola scritta. All’interno di questi racconti c’è spazio per la contemplazione e la denuncia. Antico e moderno, rurale e urbano, forme primitive ed evoluzioni contemporanee convivono dando forma a inquietudini e pulsazioni, coadiuvandosi con riferimenti musicali storici e immaginifici. I movimenti dei suoni si allineano con quelli delle parole. Il contrasto tra sacro e profano racconta ed esorcizza il presente. In questo medioevo altro e tecnologicamente evoluto, fatto di nuove crociate, rinnovate guerre di religione, oscurantismo, lavoro industriale sulla paura, diffusione virale di pestilenze, dietro di noi o nella nostra mente inconscia ci sono gli animali: le bestie rappresentano pertanto l’ irrisolto punto di accesso al mistero della natura umana.
La narrazione prende il via con “Uro”, un animale estinto capace di incarnare la forza e il mistero di un unico buio primordiale. Fin dall’inizio l’accesso al sacro, al mistero, ha per l’uomo il volto dell’animale. Il viaggio prosegue con “Il povero Cristo”, ispirato alle vicende narrate dal Vangelo e che ci ricorda la grande croce di ciascuno di noi: Amare la vita e vivere sapendo di morire. Cristo non è riuscito ad insegnare agli uomini a salvarsi con il precetto più semplice che è quello in cui è racchiusa tutta la buona novella, il lieto annunzio: “ama il prossimo tuo come te stesso”.
La ballata più viva, ricca, furente è “La peste”: scorrono a cadaveri parole nel respiro della rete a mucchi interi. La meravigliosa peste virale che tutti ci fa liberi, che tutti ci fa uguali , la meravigliosa peste che libera il bubbone tutti in polluzione. Selfie, servie, selfie, servie. I nuovi crociati, un nuovo medioevo, il vecchio fascio nero.
Ci troviamo in una fase primitiva, una zona ibrida che non ha un’ etica, una normativa, in cui vale tutto, soprattutto i contenuti intimi della persona. Il brano è dedicato a Tiziana Cantone e vede Vinicio Capossela cimentarsi con l’autotune e un certo uso della tecnologia particolarmente ben riuscito.
L’uso della paura si fa strumentale in “Danza Macabra”, un brano ispirato all’immaginario universo di Tim Burton e di grande suggestione grazie ad un arrangiamento superbo. La danza della morte fa ballare tutti al suo ordine. Vince la maledizione eterna: ad mortem festinamus! Oggi a me domani a te”.
Ballate-Per-Uomini-E-Bestie-album-cover

Ballate-Per-Uomini-E-Bestie-album-cover

Ricchezza di parole e metafore si possono godere ne “La ballata del porco”: il maiale, animale totemico della cività contadina, mette in luce il tema del sacrificio: dopo una vita d’ingrasso, la creatura più prossima all’uomo, tanto negli organi interni, quanto nei nomi e negli aggettivi fa testamento. Ed è il testamento dell’uomo che ha voluto vivere con tutto il suo corpo che è appunto anagramma di porco.
Ne “La ballata del carcere di Reading”, Oscar Wilde, grande cultore della bellezza e dell’artificio scopre nella caduta il sentimento della com-passione e lo restituisce in questa ballata. “Ma ogni uomo uccide quello che ama”.
Un punk tribale, vivo e vibrante scandisce le “Le nuove tentazioni di Sant’Antonio”: un aggiornamento nel mondo contemporaneo delle tentazioni del celebre Abate che, come Prometeo, si calò all’inferno per rubare il fuoco. Famose sono le sue tentazioni che, in questa narrazione, si adeguano al mondo moderno: fare merce dell’attrazione, artificiare l’immaginazione, fare selfie in masturbazione, fare sesso in digigrafia, avvelenare la natura, bloccare il mondo con la paura. Fare un inferno di questa terra in nome del Paradiso, fare un deserto e riempirlo di niente.
Un pezzo preraffaelita viene definito “La belle dame sans merci”, ispirata alla poesia di John Keats per provare a spiegare in altri termini lo spinoso tema della solitudine.
Ancora una visione ispirata ad antichi temi per “Perfetta Letizia”, direttamente figlia dei fioretti di Francesco d’Assisi per provare a spogliarsi di tutto e andare oltre noi stessi e sostenere la pena della vita con leggerezza.
L’asino e poi il cane, il gatto e il gallo sono i protagonisti de “I musicanti di Brema”. Animali che impersonificano esseri umani destinati a morte da esaurimento nel ciclo produttivo e si uniscono per fare finalmente una cosa magnificamente inutile.
Giunge poi il western notturno di “Le loup Garou”: la metafora dell’uomo che in fase elettorale mette in piena luce la voglia di carne cruda. Il mannaro è l’infrazione della barriera tra uomo e animale. Un’altra corsa senza lieto fine è quella de “La giraffa di Imola”: nella corsa di questa giovane giraffa ci sono tutti i recinti e i fili spinati e il mare-sepolcro che circondano la “fortezza Occidentale”. L’amore non colto e l’esilio a vita, nella vita sta tra le righe del brano “Di città in città”. Da estraneo sono venuto, da estraneo me ne vado. Portando l’orso.
Chiude questo lavoro antologico “La lumaca”: una poesia per ricondurre il mondo all’umile e piccolo. Fuori dal tempo dell’Utile e del Lavoro. Il Sacro è lento e immanente. Capossela celebra la sacralità della lentezza, unica forma di eternità possibile: portarsi il cosmo sulle spalle e godersi la scia, esattamente come metaforicamente fa la lumaca.

 Raffaella Sbrescia