Blue & Lonesome: i Rolling Stones rispondono al richiamo del blues

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I Rolling Stones ritrovano la via della stella polare, quella del Chicago Blues grazie al nuovo album “Blue & Lonesome” (Polydor Records). Registrato in soli 3 giorni a Londra presso i British Grove Studios a West London e coprodotto da Don Was e The Glimmer Twins, l’album racchiude dodici cover che rispecchiano le radici e l’essenza stessa della band; un omaggio agli esordi da blues band, anni quando, ancora imberbi, i Rolling Stones suonavano Jimmy Reed, Willie Dixon, Eddie Taylor, Little Walter e Howlin’ Wolf, gli stessi artisti grazie ai quali ha preso forma questo album che possiede a tutti gli effetti le caratteristiche di un dono autentico e disinteressato. Mick Jagger (vocals & harp), Keith Richards (guitar), Charlie Watts (drums), e Ronnie Wood (guitar), insieme ai fidati Darryl Jones (bass), Chuck Leavell (keyboards) e Matt Clifford (keyboards hanno riversato in questo lavoro privo di sovraincisioni tutto l’amore per la produzione di casa Chess e dintorni. Presente anche Eric Clapton nelle vesti di guest star in “Everybody knows about my good thing” e in “I can’t quit you baby” di Willie Dixon.

Video: Hate To See You Go

Per quanto riguarda la tracklist dell’album non troviamo standard di fama bensì una selezionata manciata di perle di genere. Dieci pezzi su dodici risalgono al periodo 1955-1961, mentre “All of your love” (1967) e “Everybody knows about my good thing” (1971) rappresentano, ancora una volta, la tangibile testimonianza di un amore per il blues che è rimasto invariato nel tempo. Istinto, chimica e bel suono sono i lati più lucenti di questo prisma sonoro che, sebbene non rappresenti una pietra miliare, è sicuramente un piccolo gioiello di cui i Rolling Stones potranno fare sfoggio come solo loro sanno e possono fare.

  Raffaella Sbrescia

Questa la tracklist completa:

 

1. Just Your Fool (Original written and recorded in 1960 by Little Walter)

2.  Commit A Crime (Original written and recorded in 1966 by Howlin’ Wolf – Chester Burnett)

3. Blue And Lonesome (Original written and recorded in 1959 by Little Walter)

4. All Of Your Love (Original written and recorded in 1967 by Magic Sam – Samuel Maghett)

5. I Gotta Go (Original written and recorded in 1955 by Little Walter)

6. *Everybody Knows About My Good Thing (Original recorded in 1971 by Little Johnny Taylor, composed by Miles Grayson & Lermon Horton)

7. Ride ‘Em On Down (Original written and recorded in 1955 by Eddie Taylor)

8. Hate To See You Go (Original written and recorded in 1955 by Little Walter)

9. **Hoo Doo Blues (Original recorded in 1958 by Lightnin’ Slim, composed by Otis Hicks & Jerry West)

10. Little Rain (Original recorded in 1957 by Jimmy Reed, composed by Ewart.G.Abner Jr. and Jimmy Reed)

11. Just Like I Treat You (Original written by Willie Dixon and recorded by Howlin’ Wolf in December 1961)

12. *I Can’t Quit You Baby (Original written by Willie Dixon and recorded by Otis Rush in 1956)

 Ascolta qui l’album

TheRivati: un blues tutto da godere nel nuovo album “Black from Italy”

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Con “Black From Italy”, la band napoletana denominata TheRivati, composta da Paolo Maccaro (’85, voce e testi), Marco Cassese (’82, chitarra), Stefano Conigliano (’88, batteria), Antonio Di Costanzo (’87, basso), Saverio Giuliano (’84, Sax Tenore) arriva al secondo lavoro discografico ufficiale compiendo un nuovo importante passo verso la ricerca di un suono che, sebbene faccia riferimento al leggendario Neapolitan Power degli anni ‘70, sta riuscendo a tessere i cardini di un nuovo filone musicale valido e riconoscibile. Il progetto musicale del frontman Paolo Maccaro fonde, infatti, il blues e i suoi “derivati” con la musica italiana, le influenze della tradizione napoletana e i richiami di quella afroamericana. Con la produzione esecutiva dell’album firmata dal rapper Clementino, presente come featuring nella traccia “Emigrante”, nonché fratello del cantante dei TheRivati, quest’album intende tratteggiare a grandi linee un paese allo sfascio e la vita dell’italiano medio che si barcamena tra l’arte dell’acchiappanza” e una tragica mancanza di opportunità. Nelle dieci tracce che compongono questa cooproduzione tra l’ etichetta discografica napoletana Jesce Sole e della stessa band – i TheRivati continuano il loro personalissimo percorso musicale perseguendo un  concept specifico già a partire dal titolo: “Black from Italy” riconduce al duplice significato di nero, nel senso di “sporco che viene dall’Italia” e quello prettamente musicale di una delle poche band di black music nel panorama Italiano.  Pezzi come “Italy”, “Emigrante” (con la collaborazione di Clementino e Dario Sansone dei Foja) e “Addore”, dipingono il Bel Paese come una nazione fatta da individui che pensano a farsi la guerra tra loro invece di unire le forze per far funzionare il paese, la classica “guerra tra poveri” che non fa altro che inaridirci al centro di un circolo vizioso da cui desideriamo solo di poter uscire. In “Posteggia” (termine di uso comune tra i giovani napoletani) si esalta l’arte dell’ “acchiappanza” con tagliente ironia. Un sassofono imperioso ed un basso sornione ci introducono la trama di “Cassio’s blues” incentrata su un amore finito, dannata e fumosa “Black woman, ancora una commistione tra sacro e profano in “Hallelujah hallelujah!”. A metà strada tra mito e leggenda “Mr.Johnson”, un omaggio alla leggenda di Robert Johnson, il bluesman che vendette l’anima al diavolo per imparare il blues e lasciare una traccia nella Storia. Impareggiabile la bellezza fuori dagli schemi di “Comm è difficile”, una ballad d’amore autentica, verace, diretta, travolgente così lo è il suono dei TheRivati. Non rimane che ascoltarli live.

Raffaella Sbrescia

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Tracklist

01- Italy

02 – Addore

03 - Cassio’s Blues

04 – Posteggia

05 – Black woman pt.1

06 – Black woman pt.2

07 – Hallelujah hallelujah!

08 – Comm’è difficile

09 – Emigrante ft. Clementino & Foja

10 – Mr. Johnson

 Video: Black Woman

Black from Italy Tour:

29/01 | Parma – Circolo Arci Zerbini

30/01 | Sanremo (IM) – Torrefazione

06/02 | Noto (SR) – Voodoo

07/02 | Barcellona Pozzo di Gotto (ME) – Perditempo

20/02 | Milano – Ohibo’

21/02 | Roma – Le Mura

26/02 | Santa Maria a Vico (CE) – SMAV

03/03 | Perugia – Marla

12/03 | Bologna – Arteria

19/03 | Policoro (MT) – Absolute Cafè

Muore a 89 anni B.B. King, era l’ultimo “re del blues”

B.B.King

B.B.King

Lucille non canta più. La magnifica Gibson nera elettrica di Riley B. King, conosciuto da tutti come B.B. King, finirà a far immaginare note in un museo del blues. Il suo padrone se n’è andato ieri nella sua casa di Las Vegas, sconfitto da una ventennale battaglia contro il diabete e segnato dai continui litigi tra sua figlia Patty e la storica manager e procuratrice legale, Laverne Toney, accusata di addirittura di maltrattementi e furti.

Il “blues boy” diventato “re” ha segnato una pagina nella storia della musica del XX secolo, a partire dagli anni 40, quando, affinata a Memphis la tecnica appresa nei campi (veniva pagato 35 centesimi per ogni 100 libbre, circa 45 kg, di cotone che raccoglieva), iniziò a esibirsi nelle radio per soli neri. Il suo stile chitarristico è subito efficace e diretto, elaborato e lirico, per farsi col tempo più elegante e addolcito, ma sempre elaborato e ricco. La rivista specializzata “Rolling Stone” in un famoso referendum lo indicò come il sesto più importante chitarrista del secolo.

E i colleghi ne hanno sempre intessute le lodi: “Il punto di svolta è avvenuto attorno al 1965, quando il suo suono ha assunto una personalità che pare incontaminata dall’attualità, un tono tondeggiante con il pick-up anteriore della chitarra non in fase rispetto al posteriore e un amplificatore da tempo fuori produzione. Il suo suono proviene da quella combinazione. Ed è solo di B.B.” Così Billy Gibbons, il barbutissimo chitarrista degli ZZ Top.

Alle parti solistiche alla sei corde, King alternava il canto, disdegnando quasi sempre l’accompagnamento: la sua voce, forgiata da ragazzo nel coro gospel della chiesa, era piena e forte, maschia e sorridente, un poco affievolita negli ultimi anni. Quasi erosa da una carriera infinita, che lo ha visto sui palcoscenici per oltre 15 mila concerti, compresi quelli dello scorso anno. Ha suonato dappertutto, dalle bettole degli esordi al Vaticano e alla Casa Bianca (anche per lo stesso Obama), oltre che per milioni di fans nei festival blues, jazz, folk e rock e in tour nelle più grandi sale del mondo.

Di carattere gioviale e simpatico, B.B. ha collaborato con i più grandi bluesman, da Junior Parker a Little Milton, da Elmore James a un giovanissimo Ike Turner (il primo, manesco marito di Tina), e con le rockstar più amate: i Rolling Stones lo vollero come partner per un lungo tour nel 1969 ed Eric Clapton incise con lui nel 1964 “Live At The Regal” nell’omonimo teatro di Chicago, considerato uno dei dischi dal vivo più importanti di sempre. Collaborazione ripetuta nel più recente “Reading With The King”.

Ha piazzato 36 singoli e 28 album nella classifica generale americana, mentre già il suo secondo disco, “3 O’Clock Blues”, nel 1951 arrivò al numero uno di quella specializzata in rhythm&blues, seguito da numerosi altri, tra cui citiamo almeno le emozionanti “You Upset Me Baby”, “Every Day I Have the Blues” e “Sweet Little Angel”. Infine ricordiamo le sue 30 nomination per i prestigiosi premi Grammy, che vinse per ben 15 volte.

Raffaello Carabini

Gennaro Porcelli: “Il blues è la mia missione”

Gennaro Porcelli © Cristina Molteni

Gennaro Porcelli © Cristina Molteni

Gennaro Porcelli è uno dei più noti esponenti italiani del blues Made in Italy nel mondo. Nonostante la sua giovane età, il talento e la passione per la chitarra, lo hanno avvicinato ai più grandi musicisti che, in più occasioni, lo hanno accolto sotto la propria ala. Da ormai 8 anni è il chitarrista di Edoardo Bennato e, contemporaneamente, ha fondato “The Highway 61”, un trio blues che vede la partecipazione di Diego Imparato al basso e Carmine (Bulldog) Landolfi alla batteria. In questa approfondita chiacchierata, Gennaro ci ha raccontato la genesi del suo ultimo disco “Alien in transit” senza tralasciare aneddoti e confidenze.

Gennaro, come si è evoluta nel tempo la tua anima blues?

La continua ricerca, gli approfondimenti strumentali e svariate esperienze di vita vissuta hanno forgiato, non solo il mio spirito, ma anche il mio modo di suonare. Con la recente disavventura nel carcere statunitense, che mi ha visto prigioniero per due giorni, ho provato, nel mio piccolo, delle sensazioni di cui sentivo parlare nei testi dei miei miti musicali. Per quanto riguarda la parte strumentale ho imparato nuove tecniche chitarristiche, conosciuto nuovi artisti e scoperto nuove correnti musicali. Tutto questo mi ha portato a ragionare e a scrivere in modo diverso, più intimo, più diretto. La mia evoluzione personale mi ha anche permesso di essere apprezzato un po’ in tutto il mondo e, tra l’altro,  ho notato che il mio disco “Alien in Transit” sta avendo molto successo su Itunes, soprattutto in Europa. Questa cosa mi gratifica molto perché comunque fare il musicista non è mai semplice e, per me che vivo solo di musica, si tratta di una bella soddisfazione.

The Highway 61 Blues Trio nel backstage del Bloom

The Highway 61 Blues Trio nel backstage del Bloom

Come riesci a conciliare la tua vita on stage con Edoardo Bennato ed il progetto parallelo “The Highway 61”?

Fortunatamente lo gestisco molto bene. Edoardo è soprattutto un mio amico ed un grande appassionato di blues. Rispetto ad altri artisti, che vogliono una sorta di esclusiva, lui è felicissimo, viene a quasi tutti i miei concerti, quando può mi viene a trovare, si siede tra il pubblico dei club e nel frattempo giriamo l’Europa insieme, ormai da più di 8 anni. Prima che diventasse un amico, Edoardo era uno dei miei artisti preferiti da bambino, perché è stato uno dei primi a portare il blues in Italia quindi, quando ho avuto il piacere di iniziare a collaborare con lui  è stato il coronamento di un piccolo sogno, che continua con nuovi progetti insieme. Nel periodo invernale mi dedico ovviamente anche al mio gruppo “The Hightway 61”, che comunque non abbandonerò mai.

alien in transit“Alien in transit” è il tuo progetto discografico più recente. Ci racconti il disco, track by track, e le tante collaborazioni che ci sono al suo interno?

“Alien in transit” è il modo in cui viene chiamato il prigioniero di passaggio in carcere. Fu la prima cosa che mi salto all’occhio sul mio foglio di arresto negli Usa. Da lì è nato il primo brano del disco “Immigration man”, che ho scritto insieme a Mark Epstein, già bassista di Johnny Winter. Con lui avevo un rapporto già consolidato perché avevamo fatto un paio di tour negli Usa e uno in Italia. Fu proprio lui, all’aeroporto di Philadelphia, a cantarmi il tormentone “I’m the immigration man,  you are not wanted” e, da lì, è nato il brano suonato live in studio. Durante il periodo in cui facevamo un tour, qui in Italia, abbiamo approfittato dei days off per registrare questo brano e anche “I’m here”, un testo che abbiamo scritto insieme con una musica molto dolce, decisamente diversa dal mio groove generale. Si tratta di una ballata in versione acustica, anche questa registrata live in studio, una tipica  storia d’amore blues: un amore mai iniziato, di cui rimangono soltanto bei ricordi. “You don’t know me but I’m here”: lui si innamora di lei, capisce tutto di lei, ma la lei in questione non lo ha mai visto. Poi c’è “It takes a lot to lough it takes a train to cry”, un vecchio brano di Bob Dylan che ho rielaborato completamente insieme a Rody Rotta che, con la sua carriera quarantennale, è stato il mio maestro da piccolo e oggi è un mio grandissimo amico e collaboratore. Il disco contiene anche un brano anomalo, che non doveva essere in questo cd, intitolato “La giostra”, commissionatomi da una grossa radio italiana. Sicuramente è un brano che farà storcere il naso a un po’ di persone, visto che si tratta di una canzonetta ben suonata, ma l’ho messo all’interno del cd come provocazione, è stata una scelta voluta. Proseguendo questo viaggio nella valle del blues, vorrei parlarvi di  un brano, eseguito dal vivo al Capo d’Orlando Blues Festival, s’intitola “Dallas” ed è stato scritto da Johnny Winter, uno dei miei miti, con cui ho avuto il piacere interagire anni fa a Padova. Ho quindi ripreso questo brano suonandolo in duo con Andy J. Forest, uno dei più grandi armonicisti al mondo, anche lui caro amico mio. “Slim’s walk”, è, invece, un brano strumentale, scritto qualche anno fa, che ho registrato con l’aiuto di Ricky Portera, chitarrista storico di Lucio Dalla e degli Stadio. In pratica mi sono circondato di amici! Tra gli altri cito Ronnie Jones che ha iniziato a suonare con i padri fondatori del British Blues, con cui mi incontro e mi sento molto spesso. Poi c’è il nostro Enzo Gragnaniello, una persona eccezionale che ha scelto di riarrangiare “L’Erba cattiva”. In questo caso ho stravolto il brano nello stile blues di J. J. Cale, padre del toulsa sound ed il risultato, secondo me, è uno dei meglio riusciti, anche perché il napoletano, come l’inglese, è fatto di parole tronche.

Che relazione c’è, secondo te, tra Napoli ed il blues?

Beh, Napoli ha perso molto! Il blues è stato avvicinato da tante persone sbagliate negli ultimi anni… Rispetto a quando io ho iniziato, molti musicisti, anche bravissimi, si sono un po’ arresi alle leggi del mercato. A differenza di quando ero ragazzino, adesso, tranne qualcuno, pochi sanno cosa stanno suonando, per il resto vedo molte brutte copie. C’è chi dà più spazio alla parte scenica, ai luoghi comuni del blues rispetto all’essenza della musica e queste persone fanno solo un danno a questo genere musicale

Che progetti hai in programma e qual è l’evento più recente che ti lasciato qualcosa dentro?

Il 22 gennaio ho fatto un concerto molto importante, ho suonato allo storico Bloom di Mezzago ed ero in cartellone con John Hammond, Johnny Winter e tanti altri musicisti storici. Per me è stato un concerto davvero da ricordare. Quello del Bloom è un palco prestigiosissimo, ci hanno suonato i Nirvana, i Greenday e tutti i grandi del blues passano da lì. Il fatto che mi abbiano inserito mi ha onorato moltissimo! Per quando riguarda i progetti con “The Highway 61”, tra qualche mese vorremmo pubblicare un singolo, soltanto in formato digitale, con un altro ospite prestigioso… però non posso ancora dire di cosa si tratta! Posso solo anticiparvi che si tratta di un inedito bello tosto, non so ancora se farlo uscire in italiano o in inglese…. Sto lavorando anche in studio per alcuni amici e per tutto il resto vi basta seguire la mia pagina ufficiale su facebook https://www.facebook.com/gennaroporcelliofficial?fref=ts

Raffaella Sbrescia

Video: “L’erba cattiva” feat. Enzo Gragnaniello

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12 anni schiavo: l’analisi di musiche, suoni e voci

12 anni schiavoCandidato a 9 premi Oscar,  “12 anni schiavo” è l’acclamato film di Steve McQueen ed è considerato, a ragione, l’evento cinematografico dell’anno. Chiwetel Ejiofor (nei panni del protagonista), Michael Fassbender, Benedict Cumberbatch, Lupita Nyong’o, Paul Dano, Paul Giamatti e Brad Pitt incarnano i personaggi della pellicola che completa e continua un discorso cominciato dal cinema americano con “Lincoln” di Spielberg e “Django Unchained”  di Tarantino. I dialoghi, i silenzi, le cruente scene di violenza e i paesaggi mozzafiato di questa drammatica e sconvolgente storia trovano il filo conduttore principale nella musica. Solomon Northup è, infatti, uno stimato musicista che un giorno si risveglia in catene per essere venduto come schiavo nei campi di cotone. Il violino è lo strumento che costituisce, al contempo, sia il mezzo che stabilisce il legame di Solomon con il suo passato da uomo libero del nord America, sia la condanna ad essere riconosciuto come diverso dagli altri  neri, “allevati come bestie” per servire i padroni. La musica è, dunque, un elemento essenziale per nutrirsi della vita senza soccombere ad un destino atroce. “Io non voglio sopravvivere, io voglio vivere”, ripete Solomon, a più riprese, senza mai perdere la fiducia nella possibilità di un rapporto di reciproca stima con l’uomo bianco. Tutt’intorno, intanto, si spengono vite e speranze. Nei cocenti campi di cotone il blues e il gospel richiamano la provvidenza divina: gruppi di schiavi esausti trovano la forza per sopravvivere nel canto che, in qualità di naturale valvola di sfogo, diventa, in questo modo, un richiamo spirituale dalla forza travolgente. A questo proposito, è importante sottolineare la bellezza della tracklist del film. Delle 16 tracce disponibili, la dirompente forza evocativa del brano “Roll Jordan Roll” di John Legend, interpretato nel film da Topsy Chapman e dal protagonista Chiwetel Ejiofor, rappresenta il momento più intenso e doloroso. Le voci a cappella degli schiavi rendono omaggio ad uno di loro, che ha perso la vita pochi attimi prima, gli occhi sono rivolti al cielo, le mani dimenticano le ferite e la fatica levandosi al cielo. Schiocchi di dita vibrano nitidi scuotendo i sensi ma la collettività di un sogno eterno si spegne col sopraggiungere della notte.”(In the evening) When the sun goes down” di Gary Clark scandisce, invece, l’altro momento clou del film: gli occhi di Solomon seguono il calar del sole: attimo dopo attimo il colore ed il movimento delle pupille  descrivono le sofferenze di un animo disperato mentre la natura continua, indifferente, il proprio corso. “Misery Chains” di Chris Cornell, “Queen of the Field (Patsey’s song)” di Alicia Keys e “Little Girl Blue” di Laura Mvula si trasformano in richiami ancestrali, inni alla vita e alla libertà. Impossibile, infine, resistere al fascino di “Washington Hans Zimmer”: sullo schermo scorrono i titoli di coda ma il cuore batte ancora all’impazzata e negli occhi, colmi di lacrime, sono impresse le immagini di una colpa eterna.

Raffaella Sbrescia

TRACKLIST:

1. “Devil’s Dream” – Tim Fain
2. “Roll Jordan Roll” – John Legend
3. “Freight Train” – Gary Clark Jr.
4. “Yarney’s Waltz” – Caitlin Sullivan
5. “Driva Man” – Alabama Shakes
6. “My Lord Sunshine (Sunrise)” – David Hughey
7. “Move” – John Legend
8. “Washington Hans Zimmer”
9. “(In the Evening) When the Sun Goes Down” – Gary Clark
10. “Queen of the Field (Patsey’s Song)” – Alicia Keys
11. “Solomon” – Hans Zimmer
12. “Little Girl Blue” – Laura Mvula
13. “Misery Chain” – Chris Cornell
14. “Roll Jordan Rol”l – Topsy Chapman
15. “Money Musk” – Tim Fain
16. “What Does Freedom Mean (To a Free Man)” – Cody Chesnutt

John Legend – “Roll Jordan Roll”

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